Cosa rischia il Manchester City nel «processo del secolo» che inizia lunedì in un luogo segreto: il dibattimento che può sconvolgere la Premier
Al via lunedì in un luogo segreto il dibattimento che può sconvolgere la Premier: le infrazioni contestate in totale sono 115, quelle finanziarie 80
In Inghilterra lo hanno già ribattezzato «il processo sportivo del secolo». Ma la misura esatta sarà data dalla sentenza del procedimento che contrappone la Premier League alla sua squadra più forte, il Manchester City. Si inizia lunedì in un luogo segreto, di fronte alla Commissione indipendente che giudicherà sulle 115 infrazioni in 14 stagioni contestate al club di proprietà del consorzio Abu Dhabi United Group (Adug).
Il rischio, per la squadra che dal 2012 ha vinto 8 volte il campionato inglese, è quello di subire una grossa penalizzazione, fino alla retrocessione. O anche l’espulsione dal torneo. Pep Guardiola ieri ha parlato alla vigilia della partita di oggi contro il Brentford: «So bene di cosa la gente non vede l’ora. So che ci saranno nuovi rumors e nuovi specialisti di sentenze. E so anche cosa ho letto per molti anni. Tutti sono innocenti fino a prova contraria e vedremo come finirà. Sono felice che inizi presto perché spero finisca presto».
L’indagine è iniziata in realtà sei anni fa ed è entrata nel vivo con le accuse del febbraio 2023: nel frattempo i Citizens hanno rivinto la Premier altre due volte e hanno alzato al cielo la prima Champions a Istanbul contro l’Inter, che sfideranno mercoledì nell’esordio della nuova campagna europea. Al club, che sostiene di avere «prove irrefutabili» della propria innocenza, vengono contestate 80 infrazioni di natura finanziaria e 35 di mancata collaborazione con le indagini avviate dalla Premier.
Sotto esame — oltre alle sponsorizzazioni delle compagnie direttamente riconducibili all’Adug — c’è la scarsa accuratezza delle informazioni riguardanti i ricavi da sponsor e dei dettagli salariali, come ad esempio il contratto di Roberto Mancini sulla panchina del City dal 2009 al 2013: il tecnico (come anche alcuni giocatori) ha beneficiato di pagamenti extra non dichiarati per rispettare i parametri finanziari della Uefa e della Premier? A questa e ad altre domande dovrebbe essere data risposta in un paio di mesi, con la decisione della commissione indipendente attesa per il 2025.
Nel 2014 il City ha già dovuto pagare una multa da 60 milioni per il mancato rispetto del fair play finanziario Uefa. E nel 2020 ha vinto al Tas il ricorso contro l’esclusione di due anni dalle coppe europee. L’esito più gettonato sembra quello di una penalizzazione. L’aria che tira però è pesante, perché in gioco c’è la credibilità di due giganti contrapposti come la Premier League e il suo club più rappresentativo.
Ma non è da escludere nemmeno il lieto fine per la squadra che assieme al Psg ha rivoluzionato il calcio con i milioni degli emiri. In ogni caso il City potrà fare appello, per cui le tempistiche saranno lunghe. E se Guardiola da due anni ripete che resterà anche in caso di sentenza afflittiva, è vero anche che il suo contratto scade a fine giugno.
CorSera
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Como-Bologna
(ore 15 su Dazn)
Entrambe le squadre vanno alla ricerca del primo successo stagionale. «Ho in mente una formazione già da qualche giorno e penso che non ci saranno molti cambi rispetto all’ultima partita», ha detto Cesc Fabregas, il tecnico del Como. Dall'altra parte, il Bologna non si deve far distrarre dal debutto in Champions contro lo Shakhtar di mercoledì 18 settembre. Vincenzo Italiano vuole pensare solo al Como: «Dobbiamo migliorare a concretizzare quello che abbiamo prodotto. Sotto porta sono stati più efficaci gli avversari rispetto a noi ed è lì che si vincono le partite», le sue parole.
Empoli-Juventus
(ore 18 su Dazn)
L’inizio stagionale dell’Empoli è stato ottimo, con due pareggi e una vittoria. Ora la squadra di Roberto D’Aversa cerca l’impresa con la Juventus: «Thiago Motta non ha ancora preso gol, significa che lavora bene. A Bologna ha fatto un percorso molto importante, è un allenatore molto preparato e le sue squadre sono complete sia in fase difensiva che offensiva», ha detto il tecnico dell’Empoli. Così, invece, Thiago Motta: «Ora siamo pronti e concentrati solo per la gara contro l’Empoli. Sono una squadra in un buon momento, sanno stare bene in campo e dobbiamo essere determinati e fare un match serio. Douglas Luiz titolare? Vedremo, non c’è alcuna difficoltà con lui. Il doppio impegno non cambia la gestione e il gruppo risponde bene».
Milan-Venezia
(ore 20.45 su Dazn, Sky Sport, Sky Sport Uno, Sky Sport Calcio, Sky Sport 4k e in streaming su Sky Go e Now)
Il Milan insegue ancora la prima vittoria e per allontanare la crisi i rossoneri devono battere il Venezia a San Siro: «Non abbiamo vinto le prime tre partite, ora tutte sono importanti. Se mi sento sotto esame? Sono sempre sotto esame. Gli allenatori dipendono dai risultati. Sono concentrato solo sul mio lavoro. Tutti dobbiamo lavorare per migliorare», ha detto Paulo Fonseca. Così, invece, Eusebio Di Francesco: «Sta crescendo la condizione fisica della squadra. C’è stato qualche problema per Altare e Sverko al termine dell’allenamento. Da valutare anche Haps»
CorSera
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Onestamente non credevo che a Milano potessero avere tutti sti problemi per fare lo stadio di proprietà.
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Anni fa...avevo detto che forse avremmo visto il nuvo stadio nel 2030. Ora rilancio al 2035 almeno...più probabilmente 2040!
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Si, ma non è detto ancora nulla.
Almeno il Milan, non ha abbandonato il progetto dell'altra area.
Devono dare risposte certe.
Anche qua, una bella pantomima.
Ora c'è da vedere a chi vendono San Siro.
Se e come verrá ridotto.
A cosa adibito.
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In buona sostanza oggi i due club hanno avuto un incontro col sindaco e hanno detto che ristrutturare San Siro costa troppo, per cui si torna all'idea originaria di costruire uno stadio nuovo accanto a San Siro, che non verrà abbattuto, il succo (l'articolo è per abbonati) è questo qua.
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Inter e Milan, si torna al progetto del 2019: “Nuovo stadio accanto al vecchio San Siro”. Barbara Berlusconi: “Commedia che umilia Milano”
I club dicono no alla ristrutturazione e ritornano al disegno originario. Sala: “Ora abbandonino i progetti di San Donato e Rozzano”
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Il famoso "collante" è una figura mitologica che nel calcio (inteso come organigramma di un club) non esiste: o hai un ruolo dirigenzial-operativo o il tipo che fa da collegamento tra campo e società (di solito ci si raffigura una bandiera, un famoso ex calciatore) crea solo confusione e forse serve solo a collegare se stesso al piedistallo al quale è difficile rinunciare.
Guardate Ibrahimovic...che starebbe facendo, qualcuno lo saprebbe spiegare? Tra una vacanza e l'altra presiede alle conferenze stampa parlando pure un pò a sproposito (per giustificare la scelta di Fonseca ha pure messo un sacco di pressione al poveretto citando scudetto, calcio offensivo e simili).
Quindi o ad un Totti gli dai un ruolo ben definito, pienamente operativo, dirigenziale (modello Maldini che si occupava di costruire la squadra assieme a Massara) oppure le bandiere devono fare gli Zanetti, che all'Inter si limita a ricevere gli ospiti, si intefaccia coi tifosi, coi club di sostenitori ecc...Perchè la vera figura che serve è quella alla Marotta, cioè del dirigente esperto che toglie pressione all'allenatore e fa da scudo alla squadra...questa manca alla Roma...ma Totti non può essere quella figura, non ne ha le doti, l'esperienza, la diplomazia...e credo nemmeno il riuscire a mettersi "al servizio di", perchè è troppo settato su se stesso...e infatti un pò rosica che De Rossi sia l'allenatore, e se Totti fosse l'interfaccia tra l'allenatore e la società, non farebbe un bel lavoro, perchè se hai dentro della gelosia o simili, non faresti un bel lavoro e forse anzi magari ti augureresti che De Rossi andasse male - lo so, non è carino da dire ma siamo tutti uomini con moti, ambizioni, a volte invidie e sentimenti vari.
A Totti non si può trovare nessun ruolo nella Roma, a meno che non rinunci al piedistallo e si metta (come farebbe un professionista) alla completa disposizione di tutti e di ciascuno e della causa...quella del club e della squadra, non la sua.Last edited by Sean; 13-09-2024, 12:30:56.
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Originariamente Scritto da fede79 Visualizza Messaggio
Come ho più volte avuto modo di dire, ogni volta che parla fa danni, contro se stesso, contro gli "amici" e contro la società.
E' palpabile l'astio che nutre nei confronti dei Friedkin, ma evidentemente c'è un motivo se non l'hanno mai chiamato, e quello è da ricercare nel percorso che Totti, fuori dal rettangolo verde, non ha mai seguito, ossia studiare.
Detto questo, la società non può continuare ad "accollare" le vicende extra campo al solo De Rossi, qui Totti ha ragione, come l'aveva prima di lui Mourinho, ma neanche una finale europea mezza scippata ha smosso i Friedkin, figuriamoci le parole di Totti.
Rimane il fatto che il giudice è sempre il campo, per i giocatori, allenatore, staff tecnico e proprietà.
Ma poi lui aspirerebbe ad essere il collante tra allenatore, giocatori e società? Sarebbe lui "quello che ci mette la faccia" ed esce allo scoperto e spiegherebbe a 6 milioni di persone (cit) quello che fino ad oggi è stato omesso?
Uno che non ci metteva la faccia nemmeno da capitano per dio! Uno che altro che imparare l'inglese...ma manco l'italiano parla.
Lo dovrebbero chiama perché è stato il più grande calciatore della storia della Roma e uno dei più forti d'Italia, certo, come no.
Hanno molta più dignità Antognoni e Del Piero.
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La sostanza è che Totti poteva sta zitto
Non credo sia il momento adatto per instillare dubbi o cazzátine varie, se davvero vuole il bene della Roma, come credo
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioDe Laurentiis, le lacrime e il Napoli sostenibile: «Perché ho potuto spendere 150 milioni»
Il presidente del Napoli traccia un bilancio dei primi venti anni e si commuove: «Siamo un club libero e non ricattabile. Non apriremo mai a fondi esteri»
Le lacrime di De Laurentiis sono sì il segnale dell’emozione dell’imprenditore che in 20 anni ha portato il Napoli dall’inferno del fallimento al paradiso dello scudetto, ma c’è anche la commozione forte dell’uomo che si è ostinato a fare il calcio a modo suo, dandogli un’impronta famigliare, respingendo l’assalto di possibili investitori esteri, rinunciando ad adeguarsi alle diffuse opportunità del mercato.
La rifondazione dopo il fallimento
L’uomo spigoloso e visionario, che sa anche essere antipatico, all’alba del secondo ventennio si mostra vulnerabile: «Ho vinto, rispettando regole e persone», e si ferma per riprendere un tono fermo. Ha messo la famiglia al centro del suo grande business. E, allora, le lacrime sono anche un sussulto d’orgoglio: «Non abbiamo un euro di debito». Il suo calcio sostenibile in qualche modo è diventato un modello, o, se visto da un’altra prospettiva, è stato la possibilità di investire 150 milioni sul mercato, a fronte di una trentina incassati, rilancio inevitabile dopo una stagione disastrosa. «Non è che lo scorso anno ne abbiamo spesi molti di meno — dice — ma abbiamo sbagliato gli acquisti» ammettendo il fallimento calcistico dopo la stagione del trionfo. De Laurentiis rifonda il Napoli dopo il decimo posto dello scorso anno, ripristina l’alleanza con uno sponsor storico, Nicola Arnone, il signor Acqua Lete, ripropone sul retro della maglia il marchio Sorgesana, e riparte senza alcun tentennamento. «Io e la mia famiglia non faremo un solo passo indietro rispetto a comportamenti ostili e interessi privati, lo spettacolo del Napoli è appena cominciato. Non scendiamo a compromessi, non siamo ricattabili».
«Compro lo stadio Maradona»
Sembra un manifesto, quasi un messaggio mirato.
Il calcio inteso come azienda, il Napoli è una Spa, che diversifica gli investimenti, che ha creato un brand, vuole acquistare lo stadio Maradona e ristrutturarlo «per essere pronti per gli Europei del 2032» aspetta il via libera per l’acquisizione di terreni dove realizzare un nuovo centro sportivo. «Siamo l’altra faccia della medaglia, il calcio che non si è venduto a fondi stranieri, il calcio che ha vinto rispettando le regole».
Gli occhi restano umidi, la fotografia è inedita. De Laurentiis che urla nelle riunioni di Lega, che manda a quel paese chi non è d’accordo con le sue idee, che scompagina gli equilibri politici del Palazzo, oggi è un imprenditore di 75 anni sopraffatto dalle sue stesse emozioni. Le sue sono anche lacrime di rabbia: osteggiato, inviso, criticato a volte anche nell’ambito del suo stesso club, è andato avanti convinto di idee e scelte, quasi a farsene un vanto, anche quando erano sbagliate. «Il mio è un calcio libero» insiste.
Conte e Lukaku
«Dicevano che il Napoli era una squadra di passaggio, adesso tanti calciatori forti ci hanno scelto», sorride e riprende l’aplomb. L’esempio di riferimento è Lukaku, è sua la maglia che troneggia su un manichino sulla terrazza sul mare di Villa d’Angelo dove il presidente del club partenopeo ha tagliato il nastro dei venti anni. Mercoledì sera lo ha invitato a cena, c’erano anche i due scozzesi Gilmour e McTominay, a tavola anche le mogli dei calciatori. Nasce così la nuova era di un club prima ristretto a pochi intimi, oggi allargato a manager e dirigenti ai quali ha dato autonomia di manovra. Resta Adl l’uomo che decide, ma ha scelto di sistemarsi dietro la macchina da presa. In campo c’è il suo alter ego, Antonio Conte, allenatore e manager, che non ammette interferenze. Gli ha consegnato le chiavi dell’ ambito sportivo. Lo spogliatoio è un luogo privato, e lo è anche per De Laurentiis.
CorSera
lacrime di coccodrillo
ha gestito il post scudetto con una arroganza ed una prosopopea veramente indegna
il responsabile della scorsa oscena stagione è lui
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioTotti afferma che De Rossi è un amico ma le sue sono dichiarazioni che certo non aiutano un amico che copre un ruolo delicato in una stagione particolare e delicata.
E' evidente che prima dell'amico ha parlato l'uomo che, come confessa, si sente "messo da parte" dalla società mentre vede il suo "amico" stare in panchina...Totti non ha preso il patentino da allenatore, per cui non avrebbe potuto essere assunto in quel ruolo...e allora la sua aspirazione sarebbe ricoprirne uno alla Ibrahimovic...ma pure lì bisognerebbe chiarire che ruolo sarebbe, perchè quello che ricopre Ibrahimovic non è chiaro ancora a nessuno...e infatti è in bilico.
Nel calcio servono i professionisti. Quello che manca alla Roma è una figura dirigenziale di esperienza capace di supervisionare a livello calcistico il club e di sollevare il tecnico da certi ruoli e funzioni che non gli spettano, quella figura che ha (inutilmente) chiesto anche Mourinho nei 3 anni scorsi.
Se questo è vero, quel ruolo però non potrebbe ricoprirlo Totti, perchè non ne ha l'esperienza e nemmeno il tatto, come si vede anche da queste dichiarazioni.
Sul resto, viene da sè che nel calcio sono tutti legati ai risultati, questo lo si ripete fin dalla notte dei tempi ma perchè è vero, se c'è una cosa vera è questa...Il mercato, pure quello lo valuterà il campo.
E' palpabile l'astio che nutre nei confronti dei Friedkin, ma evidentemente c'è un motivo se non l'hanno mai chiamato, e quello è da ricercare nel percorso che Totti, fuori dal rettangolo verde, non ha mai seguito, ossia studiare.
Detto questo, la società non può continuare ad "accollare" le vicende extra campo al solo De Rossi, qui Totti ha ragione, come l'aveva prima di lui Mourinho, ma neanche una finale europea mezza scippata ha smosso i Friedkin, figuriamoci le parole di Totti.
Rimane il fatto che il giudice è sempre il campo, per i giocatori, allenatore, staff tecnico e proprietà.
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Totti afferma che De Rossi è un amico ma le sue sono dichiarazioni che certo non aiutano un amico che copre un ruolo delicato in una stagione particolare e delicata.
E' evidente che prima dell'amico ha parlato l'uomo che, come confessa, si sente "messo da parte" dalla società mentre vede il suo "amico" stare in panchina...Totti non ha preso il patentino da allenatore, per cui non avrebbe potuto essere assunto in quel ruolo...e allora la sua aspirazione sarebbe ricoprirne uno alla Ibrahimovic...ma pure lì bisognerebbe chiarire che ruolo sarebbe, perchè quello che ricopre Ibrahimovic non è chiaro ancora a nessuno...e infatti è in bilico.
Nel calcio servono i professionisti. Quello che manca alla Roma è una figura dirigenziale di esperienza capace di supervisionare a livello calcistico il club e di sollevare il tecnico da certi ruoli e funzioni che non gli spettano, quella figura che ha (inutilmente) chiesto anche Mourinho nei 3 anni scorsi.
Se questo è vero, quel ruolo però non potrebbe ricoprirlo Totti, perchè non ne ha l'esperienza e nemmeno il tatto, come si vede anche da queste dichiarazioni.
Sul resto, viene da sè che nel calcio sono tutti legati ai risultati, questo lo si ripete fin dalla notte dei tempi ma perchè è vero, se c'è una cosa vera è questa...Il mercato, pure quello lo valuterà il campo.Last edited by Sean; 13-09-2024, 09:25:09.
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Totti: «De Rossi parafulmine, rischia la fine di Mou. Io fuori dalla Roma? Forse sono ingombrante».
Parla l’ex capitano della Roma. E ne ha per tutti «Daniele capro espiatorio se non porta i risultati Il mercato? Un miscuglio. Avrei speso in altro modo. Non arrivare in Champions sarebbe un fallimento
Ma perché Totti non è nella Roma? Che cosa c'è di sbagliato in lei?
"Non lo so, forse troppa lealtà, eccessiva sincerità. Forse sono una figura ingombrante. Quello che dico io viene preso in considerazione, quello che dicono altri, meno. È come se avessero paura di avere una figura importante dentro la società, credono che non possa aiutare e invece uno potrebbe farlo".
Ha rivelato di essersi sentito spesso al telefono con De Rossi in questo ultimo mese. Non sarebbe più utile farlo come un referente tecnico?
"Sì, ma non è una mia decisione. Se nessuno mi chiama… Non sono io che vado a bussare alla porta".
In che ruolo si vedrebbe?
"Direttore sportivo non lo farei mai, però magari mi vedrei in un ruolo come quello ricoperto da Ibrahimovic o Zanetti: un riferimento tra società, squadra e allenatore. In poche parole, una figura come quella del direttore tecnico. Uno che ci mette la faccia, che dice le cose come stanno, è semplicissimo. Un incarico operativo, non uno da chiamare solo quando ci sono dei problemi".
Con De Rossi sareste una bella coppia
"Con Daniele non ho mai avuto problemi. Per lui non darei una mano, ma un braccio, per farlo stare bene e tranquillo. Anche perché, come è giusto che sia, se lavorassi per la società è come se lavorassi per Daniele. Cammineremmo insieme".
Ha mai pensato di utilizzare le sue competenze in un altro club?
"Qualche squadra mi ha chiamato. Comunque no, come ho sempre dichiarato, io sono fedele alla Roma".
Rimane sempre quella fedeltà? Anche ora che ha smesso di giocare?
"Sì. Perché se dovessi andare a fare il dirigente in un altro club sarebbe un fallimento. Ma per la Roma, non per me".
Ad oggi si è sentito più illuso o deluso
"Sono rimasto deluso e basta. Anche perché per quello che ho fatto io per la Roma, per la società, per tutti, mi aspettavo qualcosa di diverso. Ogni due, tre, quattro, cinque anni la proprietà cambia e chi arriva ha le sue idee e i suoi pensieri. E alla fine sono da rispettare".
Le piace questa Roma che sta nascendo?
"Ancora non l’ho capita sinceramente. Alla fine è stato un miscuglio di giocatori, chi prima, chi dopo, alla fine sono stati presi quattro calciatori insieme. Sono stati investiti tanti soldi. Io con settanta milioni avrei fatto altre scelte, li avrei spesi diversamente. Come? Non per due giocatori sicuramente, ne avrei presi quattro-cinque. Dovbyk? L’attaccante certamente andava preso e in quel caso meno di trenta è difficile".
Chi le piace di più dei nuovi arrivati?
"Koné, lui sì che mi piace".
Su Dybala si era espresso qualche tempo fa
"E rimango del mio pensiero, anche perché non ho mai parlato male di Paulo. Ho sempre avuto massimo rispetto e ammirazione anche perché ho sempre detto che il giocatore più forte della Roma perciò va tutelato. Ma adesso vediamo come lo gestiranno. Quello che è accaduto ultimamente forse è stata un’incomprensione o un malinteso, vedremo".
Crede che paradossalmente la sua permanenza nella Capitale possa complicare un po’ i piani di De Rossi che aveva lavorato per tutta l’estate su un determinato tipo di gioco e ora probabilmente dovrà cambiarlo?
"Diciamo che Daniele è l’unico che lo vede quotidianamente e lo sa gestire. E poi, quando lui reputerà di farlo giocare dal primo minuto, lo farà giocare, oppure lo metterà in panchina".
Come si concilia la panchina per quello che lei ha definito il “calciatore più forte della Roma”?
"Va gestito, perché non può fare determinate partite ravvicinate. E non lo sostengo solo io".
È la volta buona per arrivare in Champions?
"Vedendo le spese folli che ha fatto sul mercato, la Roma deve arrivarci, per forza. Se investi 100 milioni e non ci arrivi è un fallimento totale. Anche perché senza Champions, Daniele salta prima, non arriva fino alla fine".
Un errore che De Rossi non deve commettere?
“Deve chiudersi in se stesso e parlare con chi di dovere. Deve soprattutto farsi rispettare”.
Quando utilizza l’espressione “chi di dovere” a chi si riferisce?
“Al suo staff, alle persone che sono vicino a lui, quelle in grado di dargli una mano, che cercano di fargli capire gli errori. Daniele ha un gruppo di lavoro forte, valido. Mi auguro e penso che ci riuscirà perché conosce bene la piazza, l’ambiente e la società”.
Altrimenti rischia di diventare un parafulmine.
“Daniele è il parafulmine. E chi ci rimette è lui. Però, ripeto, fortunatamente è uno che conosce tutto e tutti”.
Così non rischia di diventare il nuovo Mourinho?
“Certamente, anche se in questo momento è l’unico che può fare l’allenatore a Roma. Ma torniamo al solito discorso, se c’è la società forte che esce allo scoperto e parla chiaro sugli obiettivi, allora è tutto tranquillo. In questo modo la piazza sa tutto. Invece ora la colpa, nel caso le cose non dovessero andare bene, ricadrebbe tutta su Daniele. È quello che è accaduto a Mourinho, perché José ci metteva la faccia. Però nessuno lo aiutava, nessuno parlava. Dopo è dura eh, mettersi contro sei milioni di persone. E dura, perché puoi essere chi vuoi, se non porti risultati, diventi il capro espiatorio. Ma Daniele ne è consapevole”.
Non crede che trattandosi di De Rossi, la gente lo perdonerebbe?
“No. Ormai no. Avete visto cosa gli hanno detto dopo queste prime partite? Quello che ha fatto l’anno scorso è già il passato. Se lo sono dimenticati tutti, è passato anche ciò che ha fatto da calciatore. Sono i lati positivi e negativi del calcio. Ci si dimentica facilmente, guardate cosa è accaduto con me. E poi un conto è essere calciatore, un altro allenatore. Lui adesso ha la responsabilità di tutto”.
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De Laurentiis, le lacrime e il Napoli sostenibile: «Perché ho potuto spendere 150 milioni»
Il presidente del Napoli traccia un bilancio dei primi venti anni e si commuove: «Siamo un club libero e non ricattabile. Non apriremo mai a fondi esteri»
Le lacrime di De Laurentiis sono sì il segnale dell’emozione dell’imprenditore che in 20 anni ha portato il Napoli dall’inferno del fallimento al paradiso dello scudetto, ma c’è anche la commozione forte dell’uomo che si è ostinato a fare il calcio a modo suo, dandogli un’impronta famigliare, respingendo l’assalto di possibili investitori esteri, rinunciando ad adeguarsi alle diffuse opportunità del mercato.
La rifondazione dopo il fallimento
L’uomo spigoloso e visionario, che sa anche essere antipatico, all’alba del secondo ventennio si mostra vulnerabile: «Ho vinto, rispettando regole e persone», e si ferma per riprendere un tono fermo. Ha messo la famiglia al centro del suo grande business. E, allora, le lacrime sono anche un sussulto d’orgoglio: «Non abbiamo un euro di debito». Il suo calcio sostenibile in qualche modo è diventato un modello, o, se visto da un’altra prospettiva, è stato la possibilità di investire 150 milioni sul mercato, a fronte di una trentina incassati, rilancio inevitabile dopo una stagione disastrosa. «Non è che lo scorso anno ne abbiamo spesi molti di meno — dice — ma abbiamo sbagliato gli acquisti» ammettendo il fallimento calcistico dopo la stagione del trionfo. De Laurentiis rifonda il Napoli dopo il decimo posto dello scorso anno, ripristina l’alleanza con uno sponsor storico, Nicola Arnone, il signor Acqua Lete, ripropone sul retro della maglia il marchio Sorgesana, e riparte senza alcun tentennamento. «Io e la mia famiglia non faremo un solo passo indietro rispetto a comportamenti ostili e interessi privati, lo spettacolo del Napoli è appena cominciato. Non scendiamo a compromessi, non siamo ricattabili».
«Compro lo stadio Maradona»
Sembra un manifesto, quasi un messaggio mirato.
Il calcio inteso come azienda, il Napoli è una Spa, che diversifica gli investimenti, che ha creato un brand, vuole acquistare lo stadio Maradona e ristrutturarlo «per essere pronti per gli Europei del 2032» aspetta il via libera per l’acquisizione di terreni dove realizzare un nuovo centro sportivo. «Siamo l’altra faccia della medaglia, il calcio che non si è venduto a fondi stranieri, il calcio che ha vinto rispettando le regole».
Gli occhi restano umidi, la fotografia è inedita. De Laurentiis che urla nelle riunioni di Lega, che manda a quel paese chi non è d’accordo con le sue idee, che scompagina gli equilibri politici del Palazzo, oggi è un imprenditore di 75 anni sopraffatto dalle sue stesse emozioni. Le sue sono anche lacrime di rabbia: osteggiato, inviso, criticato a volte anche nell’ambito del suo stesso club, è andato avanti convinto di idee e scelte, quasi a farsene un vanto, anche quando erano sbagliate. «Il mio è un calcio libero» insiste.
Conte e Lukaku
«Dicevano che il Napoli era una squadra di passaggio, adesso tanti calciatori forti ci hanno scelto», sorride e riprende l’aplomb. L’esempio di riferimento è Lukaku, è sua la maglia che troneggia su un manichino sulla terrazza sul mare di Villa d’Angelo dove il presidente del club partenopeo ha tagliato il nastro dei venti anni. Mercoledì sera lo ha invitato a cena, c’erano anche i due scozzesi Gilmour e McTominay, a tavola anche le mogli dei calciatori. Nasce così la nuova era di un club prima ristretto a pochi intimi, oggi allargato a manager e dirigenti ai quali ha dato autonomia di manovra. Resta Adl l’uomo che decide, ma ha scelto di sistemarsi dietro la macchina da presa. In campo c’è il suo alter ego, Antonio Conte, allenatore e manager, che non ammette interferenze. Gli ha consegnato le chiavi dell’ ambito sportivo. Lo spogliatoio è un luogo privato, e lo è anche per De Laurentiis.
CorSera
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