Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.

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  • Barone Bizzio
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    La differenza è che Albanese è una giurista di caratura internazionale, la quale sostiene quello che ormai tutti i giuristi e storici esperti di genocidio sostengono - e parlo anche di tanti studiosi ebrei e israeliani.

    Orsini è un vanesio.

    Purtroppo la TV italiana rende tutto una macchietta

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  • The_machine
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    Baro sei diventato troppo ermetico, ricordi Lap degli ultimi anni.

    Scherzi a parte, l'albanese è un personaggio pubblico che non conoscevo e non conosco tutt'ora, ma vedo che ha tanta risonanza mediatica e sembra rappresentare molte persone che la seguono e la citano. E' un po' come quando spuntò fuori Orsini sulla guerra russo ucraina, piaccia o non piaccia, le sue tesi sono quelle di molti. Queste figure vanno considerate in quanto incanalano un sentimento collettivo.

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  • Barone Bizzio
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    Siamo arrivati a criticare l'Albanese.

    Che imbarazzo

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  • The_machine
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    Le elezioni più democratiche



    È interessante osservare come il discorso pubblico si sia evoluto: molti dei sostenitori della causa palestinese oggi sembrano addirittura spingere l’equazione Hamas = palestinesi, un tempo evitata per sottolineare la distinzione tra civili e miliziani e l'assenza di uno stato (o comunque un'entità strutturata) contro cui fare la guerra.
    Oramai non serve più nascondersi.

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  • Sean
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    Lecornu ha già lasciato: terzo premier in un anno. La Francia nel caos

    L’Eliseo gli chiede l’ultimo sforzo: nuove trattative fino a domani

    Il premier nominato 27 giorni fa ma rimasto solo 13 ore alla guida del governo si è dimesso, eppure l’agonia ancora non è finita. Domenica sera Sébastien Lecornu aveva annunciato con soddisfazione la lista dei ministri, e dopo solo una notte ha rinunciato, con una decisione improvvisa che ha sconvolto i francesi e i mercati, ma adesso gli toccano altre 24 ore di sforzi: il presidente Emmanuel Macron gli ha chiesto di condurre fino a domani sera le ultime trattative per «definire una piattaforma di azione e di stabilità per il Paese».

    Il primo ministro dimissionario ha accettato, ma ha chiarito che se anche dovesse riuscire nell’impresa disperata di trovare un altro compromesso, non sarà più lui a fare il primo ministro. Quei 27 giorni gli sono bastati.

    È stata una giornata di caos istituzionale e di colpi di scena, preannunciati dal messaggio inquietante scritto dal capo dei Républicains, Bruno Retailleau, domenica sera, pochi minuti dopo l’annuncio dei componenti del governo. Ministro dell’Interno già con Barnier e Bayrou, Retailleau è stato confermato, ma più che essere contento di restare al governo, si è infuriato quando ha scoperto che l’unica novità di peso della nuova squadra era l’ingresso di Bruno le Maire, odiatissimo ex compagno di partito passato nelle file macroniste. Retailleau ha denunciato su X che l’esecutivo «non riflette la rottura promessa: di fronte alla situazione politica creata da questo annuncio, convocherò il comitato strategico dei Républicains» che riunisce le principali personalità del partito.

    La riunione della destra gollista è stata indetta per ieri mattina, e secondo le indiscrezioni avrebbe posto il premier Lecornu di fronte a un ultimatum: o se ne va Le Maire, ex ministro delle Finanze richiamato a sorpresa alla Difesa, o ce ne andiamo noi. Non ce ne è stato bisogno, è stato Lecornu ad andarsene.

    L’avversione per Bruno Le Maire, che appena una settimana fa in un’intervista escludeva totalmente un suo ritorno in politica, ha ragioni lontane — è considerato un traditore del partito perché nel 2017 preferì lasciare i Républicains e andare con Macron — e anche motivi più attuali, perché in quanto ministro delle Finanze per sette anni è giudicato almeno corresponsabile del disastro del debito pubblico (quasi 3.500 miliardi, mille durante la sua gestione) al quale qualsiasi governo dovrà tentare di porre rimedio, dopo che Barnier, Bayrou e Lecornu hanno fallito.

    La lista dei ministri annunciata domenica sera, quasi uguale a quella del governo Bayrou bocciato a inizio settembre, aveva provocato peraltro reazioni sconcertate tra tutte le formazioni politiche, persino tra i macronisti che pure erano sovra-rappresentati pur non avendo la maggioranza.

    Retailleau ha dato voce a un’indignazione diffusa, e mentre tutti gli altri ministri ormai dimissionari pranzavano con l’effimero premier Lecornu, lui è andato in tv per spiegare ai francesi di non essere colpevole del disastro: «Domenica pomeriggio Lecornu mi ha parlato per oltre un’ora, e lui non mi ha detto che al ministero della Difesa avrebbe chiamato Le Maire. Non è solo una questione personale su Le Maire, ma un problema di fiducia e di lealtà tra me e Lecornu». L’entourage del premier ha detto poi che Lecornu ha taciuto il nome di Le Maire solo perché non era ancora sicuro di nominarlo, e altre soluzioni erano ancora in piedi. E poi, un premier non deve consultare il ministro dell’Interno, per quanto potente e in ascesa, sul nome del collega da mettere alla Difesa.

    Mentre tutti i leader politici gridavano alla vergogna, cercando di farsi portavoce dello sdegno dei francesi nella speranza di rimanerne così indenni, nel primo pomeriggio è arrivato un nuovo colpo di scena: il ministro per qualche ora Le Maire ha annunciato di volersi tirare indietro, per il bene della Nazione. E Macron ha subito accettato: se il problema è Le Maire, addio Le Maire. Sono cominciate allora curiose manovre, Lecornu è stato visto prima all’Eliseo poi dal presidente del Senato, Gérard Larcher, vecchio gollista molto influente tra i Républicains. Finalmente, l’annuncio ufficiale: sgomberato il campo da Le Maire, Lecornu ci riprova, fino a mercoledì sera. Se non riuscirà a trovare l’accordo per un nuovo governo guidato dall’ennesimo nuovo premier, sarà Macron a «prendersi le sue responsabilità», assicura l’Eliseo.

    ​​​CorSera

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  • Steel77
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    Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio

    Per forza, il punto è quello. Si deve andare alle presidenziali, non alle politiche, perchè non è più questione di governo ma di presidente della repubblica. Macron è minoranza nel paese e nel parlamento. La Francia è nel caos politico e pure economico, è in una profondissima crisi di sistema in quanto Macron si rifiuta di far aderire la spinta del paese (che si biforca e verso la destra della Le Pen e verso la sinistra radicale di Melenchon) con le istituzioni, che tiene in un illusiorio riparo entro ormai ruinanti torri d'avorio.
    fulgido esempio di democrazia

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  • Sean
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    Originariamente Scritto da Arturo Bandini Visualizza Messaggio
    se non molla Macron niente cambia davvero
    Per forza, il punto è quello. Si deve andare alle presidenziali, non alle politiche, perchè non è più questione di governo ma di presidente della repubblica. Macron è minoranza nel paese e nel parlamento. La Francia è nel caos politico e pure economico, è in una profondissima crisi di sistema in quanto Macron si rifiuta di far aderire la spinta del paese (che si biforca e verso la destra della Le Pen e verso la sinistra radicale di Melenchon) con le istituzioni, che tiene in un illusiorio riparo entro ormai ruinanti torri d'avorio.

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  • Arturo Bandini
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    se non molla Macron niente cambia davvero

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  • KURTANGLE
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    Francia nel caos: il premier Lecornu ha presentato le dimissioni a Macron lunedì mattina. Nel pomeriggio un secondo incontro e la richiesta di condurre «le ultime trattative per definire una piattaforma d'azione per il Paese»



    ma come ***** si fa.....

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  • KURTANGLE
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    aldilà delle dichiarazioni di facciata le divergenze sono moltissime
    temo non se ne faccia niente

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  • Luke91
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    Troveranno un accordo immediato grazie alle rivolte di alcuni scappati di casa con i rasta che hanno dato fuoco alle auto nel centro di Roma

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  • Sean
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    Negoziati su Gaza al via in Egitto: l'ultimatum di Trump ad Hamas e la spinta su Netanyahu

    Il presidente americano incalza il premier: «Perché sei così negativo? È una vittoria per te». Poi minaccia gli islamisti: se non rilasciano gli ostaggi e cedono il potere saranno annientati, ma apre a modifiche del piano

    Il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Euronews: «Non posso garantire che Hamas accetterà di rilasciare gli ostaggi. Credo sia possibile. Spero che accada, ma non posso garantirlo». Il presidente Usa Donald Trump alla Cnn: «Se non dovesse accadere», se Hamas rifiuterà di liberare gli ostaggi e di «cedere il potere e il controllo» di Gaza, deve sapere che rischia «il completo annientamento». Ma noi «speriamo di poter concludere questa situazione nel modo più semplice e non in quello più difficile». Poi la strigliata a Netanyahu: «Non capisco perché sei sempre così fottutamente negativo. Questa è una vittoria. Accettala».

    Anche il movimento islamista fa filtrare informazioni sulle sue richieste. All’emittente saudita Al-Sharq alcuni suoi funzionari hanno spiegato che il punto di partenza per sedersi al tavolo è questo: un cessate il fuoco completo, con la sospensione di tutte le operazioni militari israeliane, il ritiro delle truppe dell’Idf nelle posizioni che occupavano durante il precedente accordo firmato a gennaio, ovvero al di fuori delle aree popolate della Striscia di Gaza, e la sospensione delle attività dell’aviazione e dei droni per dieci ore al giorno, dodici ore nei giorni in cui si svolgono gli scambi di prigionieri.

    La questione del ritiro israeliano è cruciale per arrivare a un esito positivo del piano di pace e fonti vicine ai mediatori dicono che le trattative dovrebbero riguardare anche discussioni sulle rotte e sulle tempistiche dell’uscita dei militari israeliani dalla Striscia. Voci non confermate parlano poi di richieste sulla liberazione di terroristi che hanno partecipato al 7 ottobre in cambio degli ostaggi israeliani (che fra vivi e morti sono 48). Intanto l’Egitto comincia ad allestire nelle aree a nord di Nuseirat grandi campi profughi per ospitare gli sfollati che dovrebbero arrivare da Gaza nord, mentre dalla Striscia il ministero della Salute di Hamas diffonde l’ultimo bilancio annotato nella contabilità della guerra: 67.139 dal 7 ottobre e quasi 170 mila feriti

    ​CorSera

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  • Ponno
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    Di gente comunque matta è piena l'Europa va detto

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  • Sean
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    Quali sono i punti critici del piano di Trump: disarmo, governo a Gaza, ritiro dell’esercito israeliano e tempi degli scambi

    Il «piano Trump» per la fine del conflitto nella Striscia e le divergenze che lo mettono a rischio

    1 Quanti sono i punti del piano di pace per Gaza?
    In tutto sono 20 punti, uno in meno rispetto alle bozze circolate prima che Trump e Netanyahu lo annunciassero. È stato cancellato il punto numero 18 che impegnava Israele a non attaccare più il Qatar, come ha fatto il mese scorso cercando di uccidere i leader di Hamas. Cancellato anche perché lo stesso Netanyahu ha chiamato Doha per scusarsi e poi perché Trump ha firmato un ordine esecutivo che impegna gli Stati Uniti a garantire la sicurezza del Qatar: ogni futuro attacco al Qatar sarà come un attacco agli Usa.

    2 Quando e dove sono previsti i colloqui per arrivare all’intesa definitiva?
    Le trattative partiranno oggi in Egitto, a Sharm el-Sheikh, dove saranno ospitate le delegazioni di Hamas e di Israele oltre che l’inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero del presidente Usa nonché «consigliere non ufficiale», Jared Kushner.

    3 Perché sul sì condizionato di Hamas stavolta si ripongono più speranze?
    Perché il sì riguarda il punto fondamentale del piano che è il numero 4: tutti gli ostaggi (48), vivi e deceduti, saranno restituiti entro 72 ore dall’accettazione pubblica dell’accordo. In cambio Israele rilascerà 250 ergastolani e oltre 1.700 palestinesi arrestati dopo il 7 ottobre. Ci sarà però da discutere sui nomi degli ergastolani da rilasciare. Hamas vuole scegliere i detenuti in base all’anzianità, all’età, e alla data di arresto per ottenere nomi importanti come Marwan Barghouti, alto dirigente di Fatah in carcere dal 2002 con cinque ergastoli. Inoltre le 72 ore sono considerate «irrealistiche» per contattare i combattenti carcerieri e liberare i rapiti, oltre che per recuperare i morti nelle zone rase al suolo dalle bombe.

    4 A quali altri punti dell’accordo Hamas dice sì?
    Ostaggi a parte, non ci sono dichiarazioni nette di accettazione di altri punti, ma su alcuni si può prevedere con ragionevole certezza un sì di Hamas. Per esempio il punto 8 sulla distribuzione degli aiuti: non avrà più ruolo l’avversata Gaza Humanitarian Foundation (sede in Delaware, messa in piedi da Israele e Usa) ma la distribuzione sarà affidata, come il movimento islamista ha sempre chiesto, all’Onu e alla Mezzaluna Rossa, oltre che ad altre istituzioni internazionali «non associate in alcun modo e nessuna delle parti». Ovviamente non è in discussione il punto 2 che dice: Gaza sarà riqualificata a beneficio della sua popolazione, che ha sofferto più che abbastanza. E nemmeno il punto 12 che promette: nessuno sarà costretto a lasciare la Striscia e chi lo desidera sarà libero di farlo.

    5 Quali sono i nodi dell’accordo riguardo alla futura amministrazione?
    Uno è il ruolo della stessa Hamas, che vorrebbe avere voce in capitolo e che invece il piano esclude completamente. Poi il ruolo dell’Anp: non ci sono dichiarazioni chiare ma il movimento fa sapere che accetterebbe un comitato palestinese indipendente sotto la sua responsabilità. L’accordo prevede che l’Anp abbia un ruolo nel futuro di Gaza «solo quando avrà completato il suo programma di riforme». Ma ieri Netanyahu ha frenato gli entusiasmi di tutti: «Nessun rappresentante di Hamas o dell’Anp sarà coinvolto nel controllo della Striscia». Da parte di Hamas c’è poi un rifiuto molto netto sul coinvolgimento di personalità straniere nella cosiddetta «fase di transizione». L’alto dirigente Musa Abu Marzouq ha detto: ««Non accetteremo mai che sia qualcuno che non è palestinese a controllare i palestinesi». E sull’ex premier britannico: «Non possiamo avere qualcuno come Tony Blair a governare a Gaza perché quest’uomo ha distrutto l’Iraq».

    6 Qual è il punto più difficile da trattare?
    Il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza. Non è scontato che Hamas accetti una pausa fra il rilascio degli ostaggi e il ritiro dell’Idf che (da sempre) vorrebbe fosse totale (condizione inaccettabile per Israele prima della nuova Gaza «riqualificata»). Fonti del movimento hanno rivelato ieri all’emittente saudita Al-Sharq le presunte condizioni sul punto: il ritiro delle truppe dell’Idf nelle posizioni che occupavano a gennaio, ovvero al di fuori delle aree popolate della Striscia.

    7 È possibile, a breve, smilitarizzare Hamas?
    Seguendo le indicazioni del piano di pace Netanyahu è convinto che Hamas «sarà disarmata e la Striscia smilitarizzata». Il movimento risponde prima in modo duro con il suo portavoce in Libano, Walid al Kilani («consegneremo le armi solo quando verrà creato uno Stato e un esercito palestinese»), poi fa sapere che potrebbe accettare il disarmo graduale sotto la supervisione internazionale.

    ​CorSera

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  • zuse
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    Folla a Roma






    Attendo voli pindarici della Meloni per cercare di mettere una pezza...oppure del vittimismo aggressivo fino a fine legislatura

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Working...
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