Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.

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    Scandalo corruzione in Ucraina, si dimette Yermak, potentissimo braccio destro di Zelensky. Nelle intercettazioni era «Ali Babà»

    Yermak, capo dello staff del presidente dell'Ucraina e suo amico fraterno, è stato costretto alle dimissioni dopo le perquisizioni per lo scandalo corruzione. Ecco perché per Zelensky si tratta di un colpo durissimo​

    La grotta di Ali Babà è in via della Banca. Un’elegante e blindata strada nel quartiere governativo di Kiev, piena di tigli e di droni di sorveglianza e di case bellissime: la più spettacolare è la residenza presidenziale, poco più su, la Casa delle Chimere in stile Gaudì dove vive Volodymyr Zelensky.

    Fa ancora buio, venerdì mattina, quando gli agenti in mimetica con le sigle «Nabu» e «Sapo» stampate sulla schiena suonano al citofono di Andriy Yermak, 54 anni, che di Zelensky è sia il vicino, sia l’amico fraterno, sia il capostaff appena rientrato da Ginevra e dai colloqui di pace. «Buongiorno, siamo dell’Agenzia anticorruzione e della Procura speciale. Abbiamo un ordine di perquisizione della sua abitazione e del suo ufficio. È disposto a collaborare…?».​

    Sì, Yermak è disposto. Nessuno gli spiega esattamente che cosa cerchino e il documento non specifica ancora un’accusa. Ma in fondo lui li aspettava: nelle intercettazioni dell’inchiesta Mida, il più grande scandalo ucraino da quand’è scoppiata la guerra, i presunti ladroni parlano sempre d’un certo «Ali Babà». Che altri non sarebbe se non Andriy Borysovych Yermak, regolarmente e prudentemente ed esclusivamente citato col nome in codice.

    È l’alba d’una fine: Yermak detto «il Cardinale», nominato consigliere del presidente nel 2020, era fino a ieri il secondo governante più potente d’Ucraina, un incrocio fra il cardinal Mazzarino e il Mr. Wolf dei film di Tarantino.

    È anche il tramonto d’un inizio: in quasi quattro anni di guerra, «Ali Babà» è stato l’ombra di Zelensky e compariva fin dalla prima notte dell’invasione, in divisa e alle spalle dell’amico Volodymyr, nel famoso ed eroico videoselfie girato davanti alla Casa delle Chimere («Siamo tutti qui – proclamò il presidente, braccato dai russi -. I nostri soldati sono qui, i cittadini sono qui e noi siamo tutti qui. Stiamo difendendo la nostra indipendenza, e continueremo così»).

    Zelensky ha tentato in tutti i modi di salvare Yermak. L’estate scorsa, pure con una contestata legge ad personam che intendeva limitare i poteri di Nabu e Sapo. Ma una perquisizione così non s’era mai vista, a Kiev. Da due settimane, lo scandalo stava facendo tremare il governo, calare i consensi – il 70% dell’opinione pubblica voleva la cacciata del Cardinale – e si prestava al sarcasmo del Cremlino. Alla fine, il leader ucraino non ha potuto far altro che arrendersi a un’enorme pressione, firmare il licenziamento e presentarsi al Paese in un nuovo video: «Il capo di gabinetto Yermak mi ha presentato le sue dimissioni – ha annunciato venerdì sera -, lo ringrazio per aver sempre rappresentato la posizione dell’Ucraina e adottato sempre una posizione patriottica».

    Per la verità, nessuno aveva capito che cosa ci facesse ancora lì, Yermak. E come mai domenica scorsa, a scandalo ormai esploso, fosse stato scelto proprio lui per rappresentare Kiev ai colloqui in Svizzera. Avvezzo a una corruzione endemica – anche prima della guerra, l’Ucraina era fra i Paesi più tangentari del mondo -, qualcuno nel partito di Zelensky tendeva quasi a giustificare: «In quel ruolo – diceva il deputato Mykyta Poturaiev –, anche un santo potrebbe trasformarsi in un diavolo dopo qualche mese. Lo stesso Lucifero non cominciò come angelo?». Ma era chiaro a tutti, dice ora lo stesso Poturaiev, «che Yermak doveva andarsene, ovvio, stava avendo conseguenze negative sulla scena internazionale e aggravando la nostra crisi sociale interna».

    Sono stati gli stessi alleati del presidente, a esigere il licenziamento: «Meglio tardi che mai», commentava ieri la presidente della commissione parlamentare anticorruzione, Anastasiia Radina. «Francamente – dice al Corriere della Sera Inna Sovsun, deputata dell’opposizione -, queste dimissioni mi hanno sorpreso. Yermak era diventato troppo debole, come capo dei negoziatori ucraini. E le sue dimissioni erano desiderate, agognate: non sono mai stata una sua fan e credo che durante la guerra, senza di lui, avremmo potuto ottenere di più. Avremmo potuto ottenere di più anche a Ginevra, mandando diplomatici di professione, invece di questo ex produttore cinematografico senza passato politico. Zelensky però ha fatto una mossa inaspettata, aveva detto che l’avrebbe licenziato solo di fronte a prove certe di corruzione. C’è da chiedersi cosa l’abbia spinto ad agire così rapidamente».

    Le pressioni dell’Ue e di Washington, di sicuro: «Yermak è un elemento tossico», ha confidato a Kyiv Independent un diplomatico europeo. «La lotta alla corruzione è un punto fondamentale nel progetto d’allargamento dell’Ue all’Ucraina», spiega Guillaume Mercier, portavoce della Commissione europea.

    Chiaramente nessuno s’aspetta che la linea sul piano Trump, ripetuta da Yermak ai negoziati ginevrini, possa cambiare: «Non c’è persona sana di mente – aveva avvertito lui stesso in un’intervista a The Atlantic – che oggi firmerebbe un documento per cedere territorio alla Russia. E finché Zelensky sarà presidente, nessuno potrà contare sul fatto che cederemo parti d’Ucraina. La Costituzione lo proibisce. Nessuno può farlo, a meno che non voglia andare contro la Costituzione e il popolo».

    È evidente in ogni caso che «il momento non poteva essere peggiore», commenta l’analista politico Bohdan Nahaylo: «Le decisioni più importanti in materia di strategia militare, politica economica e iniziative diplomatiche passavano tutte per l’ufficio di Yermak. Era il suo cardinale grigio, il guardiano con cui tutti dovevano avere a che fare, piacesse o no. Le sue dimissioni ora sono il più pericoloso vuoto di potere da quand’è scoppiata la guerra. Ma possono essere anche un’opportunità. L’Ue ci chiede di soddisfare elevati standard di governance e trasparenza? Dimostrare che indaghiamo e puniamo anche ai livelli più alti? Rispondiamo a queste richieste, allora. Perché siamo di fronte a una prova: dimostrare che le dimissioni di Yermak sono un atto di responsabilità, non un segnale di caos».

    E dunque, sotto a chi tocca. «Questa situazione indebolisce la posizione dell’Ucraina nei negoziati e la Russia senza dubbio sfrutterà questo scandalo», osserva un altro analista ucraino, Volodymyr Fesenko.

    Nel giro di poche ore è possibile l’arrivo a Kiev del viceministro dell’Esercito Usa, Dan Driscoll.

    E la prossima settimana, una delegazione americana sarà a Mosca, mentre Vladimir Putin annuncerà d’essere pronto a discutere una nuova bozza a Budapest, personalmente con Donald Trump.

    Bisogna fare presto, a sostituire Yermak: la nuova squadra di Kiev ai negoziati potrebbe essere nominata già quest'oggi. Un triumvirato, si dice: Andrii Hnatov, capo delle forze armate, assieme al ministro degli Esteri, Andrii Sybiha, e al capo del Consiglio di sicurezza, Rustem Umerov (pure lui indagato nello scandalo energetico).

    I militari puntano anche su Pavlo Palysa, un ex comandante di brigata che faceva da vice a Yermak, ma non c’è conferma d’un suo ruolo. Sarà evidentemente una soluzione temporanea, perché la poltrona richiede soggetti di profilo più alto: il primo ministro Yuliia Svyrydenko, il ministro per la Trasformazione digitale, Mykhailo Fedorov, il capo dell’intelligence militare, Kyrylo Budanov, il ministro della Difesa, Denys Shmyhal… La guerra per la successione è già cominciata e passa anche per il gradimento americano, oltre che europeo. «Quando tutta l’attenzione è concentrata sulla diplomazia e sulla difesa in una guerra – esorta all’unità Zelensky -, è necessaria la forza interiore. La Russia vuole che l’Ucraina commetta errori: non ci saranno errori da parte nostra».

    Ali Babà e i suoi ladroni la pagheranno, se tali saranno giudicati: «Ma il nostro lavoro continua, la nostra lotta continua. Non abbiamo il diritto di ritirarci e di litigare tra di noi. Se perdiamo l’unità, rischiamo di perdere tutto: noi stessi, l’Ucraina, il nostro futuro. Dobbiamo unirci, dobbiamo resistere. Non abbiamo altra scelta. Non avremo un’altra Ucraina».​

    CorSera
    ...ma di noi
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    C. Campo - Moriremo Lontani


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      Yermak fino a letteralmente ieri, era a capo della delegazione ucraina nei colloqui ginevrini sul piano di "pace": mai scelta fu più azzeccata: un corrotto a rappresentare un governo di corrotti, un regime di sudici porcellini che si ingrassano nel mentre il loro paese è in guerra, i soldati muoiono a migliaia, la nazione si spopola e a riempirsi sono solo i cimiteri - ed i conti in banca degli "amici fedelissimi" di Zelensky.

      Con quali soldi si stanno arricchendo quei vampireschi satrapi? Coi nostri, quelli degli imbecilli occidentali.

      Produttori cinematografici, produttori di show comici, lenoni e puttanieri: ecco nel suo abbagliante splendore il "cerchio magico" del capocomico, che l'occidente imputridito ha (aveva) eletto a suo "eroe": Zelensky è al vertice di una piramide di merda, a luglio aveva firmato un decreto per depotenziare ed avocare al governo i poteri di indagine della agenzia anticorruzione: si capisce benissimo perchè: la firma su quel decreto (poi frettolosamente abortito per le proteste di piazza) è il sigillo sulla sua colpevolezza. Anche non avesse toccato un cent, è il capo di un governo marcio fino al midollo, da lui nominato, e che lucra sul sangue dei suoi cittadini e sugli aiuti degli idioti "alleati", che si sono imbarcati in una avventura folle destinata a disastrare quel che resta del cadavere-Europa; è il capo di quel governo e si è tenuto stretto tutti i suoi amichetti, li ha difesi ben sapendo cosa stessero compiendo: è colpevole quanto loro - sempre che anche lui non abbia allungato le mani sul fiume di denaro entro il quale il "cerchio magico" dei suini ha sguazzato facendosi chissà quante risate alla faccia dei loro connazionali e nostra.

      Un governo marcio letteralmente fino al midollo, una nazione depopolata, una crisi sociale, morale, economica abissale, un fronte di guerra che va collassando: questa tragedia rosso sangue, che si è però scelta come interpreti non dei sublimi attori tragici ma degli orripilanti e criminali istrioni ucraini ed europei, aberranti figuri, maschere deformi, contorcendosi nel grottesco sta giungendo ai titoli di coda, con una mano pietosa che aziona lo sciacquone dell'aureo cesso come ultimo fotogramma.
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        "l’Ucraina era fra i Paesi più tangentari del mondo".

        Questi ce li andiamo a mettere dentro casa, dopo averli foraggiati per mesi, un paese che non fa parte della UE: però il problema è Trump, ricordiamolo.
        sigpic
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          Considerando che sono gia pronti centinaia di miliardi di euro per la ricostruzione non e' male .magari ci copieranno il codice degli appalti
          Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
          Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
          Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.

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            Zelensky scosso dagli scandali: è l'ora della verità. E adesso cambierà la strategia al fronte contro la Russia

            Le accuse di corruzione ai dirigenti più vicini, i licenziamenti, i sondaggi: il leader di Kiev è sotto schiaffo. Riuscirà a svoltare e a uscirne più forte?​

            Non si seppellisce così un presidente? Abbassate le voci e le bandiere, mettete dei fiori nei vostri rancori: a mezzogiorno sulla Maidan, in un corteo di van coi lampeggianti blu, sfila il feretro d’un soldato caduto nel Donetsk. I passanti s’inginocchiano. Il traffico s’ammutolisce e si ferma. I baristi abbassano le musiche e tutti s’alzano dai tavoli. Tace anche il gruppo di donne che ogni sabato mattina grida e chiede dove siano spariti figli e mariti andati al fronte e mai più tornati. La commedia politica lascia spazio alla tragedia vera, per qualche minuto. «Non ci dite niente!», c’è scritto a pennarello su un cartello gialloblù. «Siamo al buio, Zelensky! Accendi qualche luce!». I riflettori del palco restano accesi, sul commediante che si fece presidente. E le colpe del figlioccio non ricadono sul padre della patria.

            Ma che Zelensky avremo, si chiede la Cnn poco dopo le dimissioni di Yermak: più forte o più debole, più lucido o più confuso? Basteranno le Mani Pulite di Kiev ad affrontare le sfide, che restano lì dove sono?​

            Per andare a Washington, Zelensky ha affidato la delegazione a Rustem Umerov. Lo definiscono «il volto pulito», perché già fu chiamato alla Difesa per rimpiazzare il chiacchierato ministro Oleksii Reznikov, ma in realtà è «una decisione sconcertante», scrive il Kyiv Post: la famiglia Umerov, tanto per dire, possiede 8 proprietà di lusso negli Usa e tutte sconosciute al fisco.
            Ed era anche a Umerov che Zelensky pensava, quando provò a far passare una legge che limitasse i poteri d’indagine sui suoi collaboratori. Serviva forse una scelta di rottura, è la critica, mentre la rabbia è alle stelle per le mazzette energetiche e la Russia bombarda proprio la rete elettrica. Solo venerdì notte, mentre la casa di Yermak veniva sigillata dall’anticorruzione, circa 600mila ucraini rimanevano al freddo e al gelo per i blackout.

            Esiste un piano riservato per misurare la «quantità di guerra» ancora tollerabile, nel tessuto sociale ucraino, prima che il malcontento e la stanchezza travolgano tutto. Quel livello, parametrato su valori economici e di stress della popolazione, si sta pericolosamente avvicinando, e Zelensky ne è consapevole. Sul terreno, la nebbia è la nemica principale di questi giorni: sta ostacolando la difesa di Pokrovsk, nel Donetsk, e gli aerei faticano a centrare le postazioni nemiche. Il problema ora è che i russi, quando conquistano una cittadina, non occupano più scuole o municipi — trasformandoli in caserme e rischiando di diventare facili obbiettivi —, ma si sparpagliano nelle case abbandonate, nei magazzini, nelle fattorie, spesso mischiandosi ai civili ucraini: individuarli e colpirli, è sempre più complicato.

            Subito dopo il licenziamento di Yermak, Zelensky ha convocato il ministro della Difesa, Denys Shmyhal, e ha deciso di ripartire da qui: cambierà strategia militare, per adattarsi alla nuova realtà sul terreno. «Occorre proteggere meglio le centrali elettriche», dice. E dare più droni (appena acquistati in Gran Bretagna) e più soldi alle brigate combattenti, per calmare il malcontento di truppe stremate, dopo mesi senza licenze, e furiose per le ruberie dei vertici.

            «I prossimi giorni — promette Zelensky — definiamo i passi per porre fine alla guerra». Il leader ucraino va domani da Emmanuel Macron, ed è la prima volta senza Yermak. Un’assenza che l’indebolisce, ora che Donald Trump avrebbe pronto un documento sul riconoscimento americano della Crimea e degli altri territori occupati dai russi. Anche gli altri scambi Russia-Usa che scavalcheranno Kiev — sulle terre rare, sul gas, sullo spazio, sugli investimenti americani in Russia, li elenca il Wall Street Journal — impongono scelte più radicali: «Perché puntare su Umerov e non sui nostri diplomatici?», si chiede la stampa ucraina, ricordando che «far negoziare un amico e socio d’affari, da parte di Zelensky, significa imitare Trump che s’affida al compagno di golf Steve Witkoff». Ancora non c’è un nome vero, a riempire la casella di Yermak, ma il presidente ucraino non potrà aspettare troppo a lungo.

            CorSera
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              TRE PORCELLINI (PIÙ UNO)

              di Marco Travaglio

              Nella Tangentopoli ucraina che decapita, testa dopo testa, la cricca di Zelensky, stupisce solo lo stupore. Bastava leggere l’inchiesta internazionale del 2021 “Pandora Papers” (pubblicata qui dall’Espresso) per sapere che il presidente plebiscitato nel 2019 proprio perché prometteva lotta dura alla corruzione (oltre alla pace con Putin) è al vertice di una piramide corrotta. Il marchio Servitore del popolo della fiction e poi del partito è un’esclusiva del suo padrino, l’oligarca Ihor Kolomoyskyi, re dei metalli, banchiere, presidente del Dnipro calcio, terzo uomo più ricco d’Ucraina, finanziatore di bande paramilitari nere (Azov, Dnipro&C.), proprietario della tv “1+1” che lanciò Zelensky prima di finire ricercato per aver svaligiato la sua stessa banca, fuggire in Israele, tornare in patria e venire arrestato per riciclaggio. Nel 2003 Zelensky, tornato in Ucraina dopo i primi successi nelle tv russe, fonda la casa di produzione Kvartal 95 con due amici e soci: Mindich e Shefir, che posseggono con lui e la moglie Olena quattro società offshore e conti correnti in paradisi fiscali (Isole Vergini, Cipro e Belize).

              Degli affari legali di Kvartal si occupa l’amico avvocato e produttore Yermak. Shefir si fa diverse case a Londra. Zelensky compra per 3,8 milioni una villa a Forte dei Marmi, intestata a una società italiana controllata da una cipriota. Ma per le elezioni si scorda di dichiararla, come una delle offshore. Appena eletto presidente, Zelensky trasferisce la ditta nelle istituzioni. Il suo socio Shefir è il suo “primo assistente” (sarà licenziato nel 2024 in una delle tante purghe). Il suo legale Yermak è capo dell’Ufficio presidenziale. E intanto Mindich, il terzo porcellino, si butta sulle commesse energetiche e militari e fa affari d’oro.

              A luglio le autorità anticorruzione Nabu e Sapo indagano in gran segreto su mega-tangenti nell’energia. E Zelensky vara in tutta fretta una legge per metterle sotto controllo del Pg, che dipende da lui. La piazza e l’Ue lo costringono a una mezza marcia indietro. E venti giorni fa si capisce tutto. Nabu e Sapo calano le carte dell’inchiesta “Midas”: 100 miliardi di mazzette a varie figure del governo e dell’inner circle di Zelensky, riciclati in società fittizie e ville a Kiev e in Svizzera. Il capobanda è Mindich. Gli trovano water, bidet, rubinetti d’oro e chili di contanti nelle credenze, ma sfugge all’arresto in Israele grazie a una soffiata. Intercettato, parlava con Shefir di una colletta da 2,5 milioni per la cauzione di un altro corrotto del giro: il vicepremier Chernyshov. L’altro porcellino, Yermak detto “Alì Babà”, l’hanno perquisito venerdì: stava negoziando la pace (e l’amnistia) con Usa e Ue, ma Zelensky l’ha cacciato. Ora il capo-negoziatore è Umerov, che è indagato da gennaio. Bisogna pur fare pulizia, no?

              Leggi su Il Fatto Quotidiano l'articolo in edicola "Tre porcellini (più uno)" pubblicato il 30 Novembre 2025 a firma di Marco Travaglio


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                Nelle domus patrizie della antichità romana, per decorare gli ambienti pubblici come gli atri o altri saloni di rappresentanza si usava raffigurare delle maschere tragiche, per quelli privati come i cubicula o i triclini le maschere della commedia, in quanto si riteneva che il tragico trattasse della natura pubblica dei grandi uomini, il comico di quella privata, intima: ancora oggi si parla di pubbliche virtù e di privati vizi.

                Il "cerchio magico" messo su da Zelensky ha offerto, finchè la calce dell'intonaco ha tenuto, la proiezione (l'occidente della degenerescenza ama le proiezioni illusorie, il fantastico, l'utopico) luminescente dell'uomo che da comico assurge ad "eroe": è un film che è durato poco. Una volta caduto il muro dipinto a favore di pubblico, sono apparsi nella loro nudezza e crudezza i penetrali dove l'accesso era consentito solo agli intimi, svelando l'autentica natura di volgare, aberrante e grottesca commedia di tutto l'impianto e dei protagonisti: mani come uncini a ghermire, rapinare centinaia di milioni di euro sulla pelle scarnificata di un popolo in guerra - e su quella ormai aggrinzita degli "alleati", che, more solito, si sono scelti non tanto la causa "persa" (nobilissime possono essere delle cause perse, la storia ne è piena di esempi) quanto quella falsa, incapace di poter reggere alla lunga la menzogna su di una intelaiatura di cartapesta.

                Neanche un disperato atto di fede può ora suturare lo squarcio aperto dal dubbio che, se tutta la cerchia di Zelensky (amici stretti tutti da lui collocati in ruoli apicali) rubava, egli no: unico angelo in mezzo ai demoni - o forse, se non si è accorto di avere per amici intimi dei demoni, è perchè il satanasso principe era lui.

                L'ancora perdurante stato di guerra protegge (da inchieste o messe in stato di accusa) dietro a poteri niente di meno che dittatoriali, la figura, o quel che resta, del fu presidente "eroe" Zelensky, nel mentre i suoi amici cadono uno ad uno come marionette di stoffa a cui si trancia di netto il filo, e si scopre che l'unico incantesimo di cui è stato capace il suo "cerchio magico" è stato quello di far sparire i soldi destinati alla nazione e al popolo in guerra, per far apparire al loro posto dei cessi d'oro installati al centro di quei cubicoli privati da cui rotolano fuori, ormai intrattenute, le deformi maschere comiche.

                ...Nella credenza scricchiola il ghiacciaio
                Il deserto sospira dentro il letto,
                E nella tazza la crepa dischiude
                Un sentiero alla terra dei defunti

                (W. H. Auden, Una sera mentre uscivo)

                E' l'imprevista crepa che si apre nella tazza che sempre risucchia i fumi delle moderne fantasie occidentali, scompagina gli "indefettibili piani", gli "splendidi certissimi destini", traccia e forma, di sua propria e sovrana volontà, dove il tuo assenso non è richiesto, sentieri e sembianti presso i quali inchinarsi o contro cui dissolversi.
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                  Il «cerchio magico» di Zelensky: la corte del leader e lo scandalo tangenti. «Non si sporcavano col cash»

                  Da Yermak a Mundich, da Chernishov a Kolyubayev, chi sono gli uomini vicini al Presidente travolti dallo scandalo corruzione. Sfiorato anche Rustem Umerov, scelto per guidare la squadra ai negoziati in Florida​

                  «E come hai trasportato la scatola?». «Aveva una maniglia, tipo una custodia per il laptop. Ci ho messo dentro un milione di dollari… Anzi, fammi controllare meglio: no, un milione e 600mila dollari... Trasportare una scatola di soldi in quel modo, a mano, per le strade di Kiev…! Non è stato molto divertente, amico mio, te l’assicuro».

                  Funzionava così, dicono le intercettazioni: prendevano il denaro cash e certe volte nemmeno guardavano quanto fosse. Troppa ansia d’essere scoperti. O forse solo bruscolini, in un giro che macinava decine di milioni di dollari. Quando il grande corruttore Timor Mindich parla al telefono col ministro dell’Energia, Herman Halushchenko, s’avverte il tono di chi si sente impunibile. Ridono. Si fanno coraggio. A un certo punto nominano, incauti, perfino Zelensky. Non sanno che lungo il filo li ascoltano le più temute orecchie dell’Agenzia anticorruzione, quelle dell’ispettore Olena Shcherban, che esulta: «Stavolta ci siamo! Abbiamo raggiunto la cerchia più ristretta, la “famiglia” del presidente».

                  Famiglia

                  Tenere famiglia, il problema peggiore di Zelensky in questi quattro anni di guerra. Un «sistema criminale» (parole dell’agenzia) che esigeva dal 10 al 15% su tutti i contratti dell’azienda statale per l’energia nucleare, Enerhoatom. Un furto tra i 75 e i 100 milioni di euro. La scatola con la maniglia era un’eccezione. Non accadeva quasi mai che il sistema chiedesse il cash, spiega al Corriere un imprenditore ucraino dell’energia che soggiaceva, «come tutti», a esose richieste: «Quella non è gente che si sporca le mani coi soldi. Ti trovavi a pagare la mediazione d’una società di consulenza. O i più raffinati, magari, avevano loro uomini che ti facevano arrivare un controllo sulle tasse. La sanzione era regolarmente più alta dei minimi edittali. E comunque c’era sempre il modo d’aggirarla». Una volta, accadde anche con la Chiesa: un intervento umanitario d’un milione di euro che per i quattro quinti, s’è scoperto, fu dilapidato in “spese di rappresentanza e comunicazione”»

                  Sotto le grandi strategie politiche di Zelensky (consapevole o no?), secondo l’accusa c’erano l’amicissimo Yermak che disegnava le tattiche affaristiche e l’avatar Mindich, che imponeva le tariffe a politici, imprenditori, chiunque entrasse nel giro. Le fondamenta principali della loro impunità erano due: l’emergenza guerra, che ha dato potere senza precedenti con la legge marziale del '22, e una maggioranza parlamentare (254 seggi su 450) che nemmeno il predecessore di Zelensky, Petro Poroshenko, s’è mai potuto sognare.​

                  Chi contrastava

                  Pochi riuscivano a contrastare: la premier Yulia Svyrdenko, grande nemica di Yermak, sostenuta dal segretario Usa al Tesoro, Scott Bessent. O il generale Valery Zaluzhny, «esiliato» a Londra. Oppure Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri, silurato perché troppo autonomo. O ancora, Oleksandr Kubrakov, ambizioso aspirante premier, cacciato per i suoi rapporti troppo stretti col presidente americano Joe Biden. O anche Mykhailo Fedorov, il vicepremier che volle vederci chiaro nel business dei droni e in quei soldi che Yermak garantiva all’amico fraterno Artem Kolyubayev, un produttore cinematografico che era stato socio pure di Zelensky. Il cerchio magico era un cerchio di fuoco, perché non s’entrava tanto facilmente, ma nemmeno se ne usciva: nell’inchiesta su Yermak è coinvolto anche Rustem Umerov, il capo del Consiglio di sicurezza nazionale, l’ex ministro della Difesa, proprio l’uomo che Zelensky ha scelto al posto di Yermak per guidare la delegazione ucraina ai negoziati in Florida. «La colpa di Zelensky — dice un deputato della Rada — è stata di non aver ascoltato chi vedeva i furti e suonava le sirene».​

                  Il segnale

                  Un campanello d’allarme fu a giugno, con l’allora vicepremier Oleksy Chernishov arrestato (e rilasciato su cauzione per 2,9 milioni di dollari) per una storia di terreni pubblici svenduti ad amici. Non era mai accaduto che un politico di simile rango finisse, diretto, in galera. Ma s’era scoperto che accettava anche il cash, lui: in ufficio, in comode buste da consegnare alla moglie, perfino in una clinica medica dov’era in cura. Lo chiamavano «Che Guevara», questo Chernishov. Il suo motto era rivoluzionario: «Vale la pena di lottare solo per le cose senza le quali non vale la pena vivere». L’Ucraina? No, gli appalti.​

                  CorSera
                  ...ma di noi
                  sopra una sola teca di cristallo
                  popoli studiosi scriveranno
                  forse, tra mille inverni
                  «nessun vincolo univa questi morti
                  nella necropoli deserta»

                  C. Campo - Moriremo Lontani


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                  • Sergio
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                    Cose quasi ovvie, più che immaginabili.
                    Ora se io fossi Sadd.... Ghedd.... volevo dire Zelensky, io un po' di paura l'avrei, cancellano il torto con un golpe e riportano la democrazia in un attimo.



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                    • Sean
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                      Mosca: “Presa Volchansk, uccisi ottomila soldati nemici”

                      Anche a Pokrovsk i russi avrebbero avuto la meglio. E Putin rilancia: “Pronti a condurre azioni militari anche nel prossimo inverno”.

                      Il Cremlino ha annunciato di aver conquistato le città di Pokrovsk, nella regione ucraina di Donetsk, e di Volchansk, nel Kharkiv, concludendo un lungo e sanguinoso assedio. Solo a Volchansk, secondo fonti militari russe, sarebbero morti ottomila soldati ucraini. Ma la guerra è destinata a proseguire: Putin intanto ha già preannunciato all’esercito di tenersi pronto a “condurre azioni militari nel periodo invernale prossimo”.​

                      Durati quasi cinque ore i colloqui tra Russia e Usa. Trump: “Lasciate che vi dica che la situazione è un disastro”. Putin: “Se l’Europa vuole la guerra, siamo …
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                        Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                        Mosca: “Presa Volchansk, uccisi ottomila soldati nemici”

                        Anche a Pokrovsk i russi avrebbero avuto la meglio. E Putin rilancia: “Pronti a condurre azioni militari anche nel prossimo inverno”.

                        Il Cremlino ha annunciato di aver conquistato le città di Pokrovsk, nella regione ucraina di Donetsk, e di Volchansk, nel Kharkiv, concludendo un lungo e sanguinoso assedio. Solo a Volchansk, secondo fonti militari russe, sarebbero morti ottomila soldati ucraini. Ma la guerra è destinata a proseguire: Putin intanto ha già preannunciato all’esercito di tenersi pronto a “condurre azioni militari nel periodo invernale prossimo”.

                        https://www.repubblica.it/esteri/202...P2-S4-T1-s3679
                        Tanto hanno deciso di protrarre l'agonia al popolo ucraino, perchè la guerra sta tenendo in piedi tutto il carrozzone:

                        Milano, 1 dic. (askanews) - L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone ha dichiarato al Financial Times che la Nato sta valutando di intensificare la sua...
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                        Free at last, they took your life
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                          Cavo Micione nella Nato non può decidere nemmeno di usare il bagno senza autorizzazione americana, figuriamoci gli "attacchi ibridi" e "cibernetici" contro la Russia, tra l'altro senza avere uno straccio di prova su eventuali responsabilità russe dei presunti "hackeraggi" o infiltrazioni o simili: il caso Nord Stream 2, il caso della fattoria polacca distrutta da un missile (ucraino), il caso di un edificio governativo di Kiev colpito da un razzo (della contraerea ucraina)...questi precedenti fanno tutti scuola, per cui Cavo Micione può anche ritrarre i suoi artigli spuntati e continuare a giocare coi tiragraffi di cartone.

                          Sul resto è chiaro che la "pace" molto probabilmente (mi viene da dire certamente) non verrà da queste manovre diplomatiche messe in moto dall'America. La diplomazia è in ritardo, per 3 anni è stata dimenticata...ed è passato troppo tempo, si è andati tutti troppo in là...troppo sangue versato ormai, il vallo tra i contendenti è troppo ampio e troppo pieno di cadaveri.

                          L'Ucraina (il suo governo) non può rinunciare ai territori, in quanto si avrebbe il caos civile e sociale: chi ha combattuto finora cosa direbbe? Gli ultranazionalisti come reagirebbero? Si avrebbe la stessa situazione del post I GM in Italia e Germania, la prima addirittura "vincitrice" ma mutilata della vittoria, con cessioni territoriali dolorosissime a fronte di centinaia di migliaia di morti: ci fu il caos in quegli anni...e in Ucraina sarebbe addirittura peggio per ragioni evidenti...Inoltre Zelensky non può rinunciare al potere e l'UE deve tenere in piedi quella larva di nazione perchè accettare la sconfitta militare vorrebbe dire materializzare la propria sconfitta strategica in maniera definitiva, aumentando le spinte centrifughe, l'instabilità: dunque guerra come ultimo magnete a cercare di tenere assieme le parti disfacentisi, guerra come farmaco/veleno alla totale perdita di senso e di scopo.

                          La Russia da parte sua "deve" ormai prendersi tutto il Donbass e non è detto, se la situazione militare sarà favorevole, che non punterà anche ad altre porzioni di territorio (Odessa, tutta intera la fascia costiera a sud ecc...). E' comunque impensabile che potrebbe accettare un piano di pace riscritto dagli europei, che la Russia ormai percepisce come nemici esistenziali, almeno nella loro attuale forma (cioè sotto a quell'accrocco degenere e inutile che è l'UE).

                          In conclusione, per la pace "è tardi, è sempre più tardi", prendendo a prestito quella sorta di epitaffio che Montale scrisse nel finale della sua "Dora Markus". La guerra si incaricherà di stabilire le condizioni (e dunque il nuovo "ordine") della pace, come è sempre accaduto.
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                            Uso degli asset russi congelati, la Bce frena la Commissione: “Non daremo garanzie sul prestito da 140 miliardi all’Ucraina”

                            Così, spiega il Financial Times, "aumentano le difficoltà di Bruxelles nel raccogliere il gigantesco prestito a fronte delle attività della Banca centrale russa immobilizzate presso Euroclear, il depositario belga di titoli"

                            Rischia di naufragare la proposta della Commissione europea di utilizzare i beni congelati alla Russia per finanziare il sostegno futuro all’Ucraina. A gelare gli animi dentro Palazzo Berlaymont è l’indiscrezione diffusa dal Financial Times secondo la quale la Banca centrale europea si rifiuterà di fornire garanzie per il prestito da 140 miliardi a Kiev perché, hanno spiegato diversi funzionari sentiti dal quotidiano finanziario britannico, “ha concluso che la proposta della Commissione europea viola il suo mandato“. Così, sottolinea la testata, “aumentano le difficoltà di Bruxelles nel raccogliere il gigantesco prestito a fronte delle attività della banca centrale russa immobilizzate presso Euroclear, il depositario belga di titoli”.

                            Una frenata che complica i piani dell’Ue che proprio sull’utilizzo dei fondi russi immobilizzati contava per finanziare in parte il futuro sostegno al governo di Kiev. Lo si era capito anche dalla bozza di contropiano per la pace presentata nel corso delle trattative di Ginevra, in occasione delle quali gli Stati Uniti avevano sottoposto alle parti presenti il loro progetto per una futura pace tra Mosca e Kiev. Secondo il piano della Commissione, i Paesi dell’Ue dovrebbero fornire garanzie statali per assicurare la condivisione del rischio di rimborso del prestito di 140 miliardi di euro concesso all’Ucraina. Tuttavia, i funzionari europei hanno anche preso in considerazione che i Paesi potrebbero non essere in grado di raccogliere rapidamente il denaro in caso di emergenza e questo potrebbe mettere sotto pressione i mercati. Per questo hanno chiesto alla Bce, spiega il FT, “se potesse fungere da prestatore di ultima istanza per Euroclear Bank, il braccio finanziario dell’istituzione, al fine di evitare una crisi di liquidità, secondo quanto riferito da quattro persone informate sulle discussioni. I funzionari della Bce hanno comunicato alla Commissione che ciò era impossibile“.

                            Lunedì era stata l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kaja Kallas, a ribadire che a suo parere “l’ipotesi dell’uso degli asset russi è la più efficace, la soluzione migliore. Gli eurobond sono fuori questione perché alcuni Stati membri sono contrari. Lanceremmo tre messaggi: all’Ucraina, che siamo con loro, alla Russia, che non ci stancheremo, e anche agli Stati Uniti, per mostrare che sappiamo compiere passi duri e difficili”.

                            L’indiscrezione del quotidiano britannico, se confermata, frena le aspettative della Commissione e dà forza a quei Paesi europei contrari all’utilizzo degli asset russi. Tra i primi ad aver manifestato contrarietà ci sono l’Ungheria e la Slovacchia, da tempo contrari alla strategia del pugno duro con Mosca anche per quanto riguarda le sanzioni economiche. Ma a questi si sono aggiunte anche altre cancellerie che, invece, sono da sempre schierate a sostegno della causa ucraina, come il Belgio. Il punto intorno al quale ruota la discussione sono le possibili cause legali alle quali i Paesi dovrebbero far fronte in caso di sblocco degli asset russi. Lo ha spiegato senza troppi giri di parole il ministro degli Esteri belga, Maxime Prévot, in un’intervista a Rtl: “I rischi per il Belgio sono semplici, se la Russia ci porta in tribunale avrà tutte le possibilità di vincere e noi non saremo in grado di rimborsare questi 200 miliardi perché rappresentano l’equivalente di un anno di bilancio federale. Significherebbe la bancarotta. Vogliamo evitare di violare il diritto internazionale non basandoci su una decisione giudiziaria, ma sulla volontà politica”. E le posizioni della Bce sembrano dargli ragione.​

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                            C. Campo - Moriremo Lontani


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                              I "beni" di altri stati li puoi al massimo "congelare", non certo sequestrare (rapinare), perchè se passasse quel principio, nessun investimento statale in stati esteri sarebbe più al sicuro, è molto semplice.

                              La stessa Italia ha parte delle sue riserve auree depositate presso gli USA, in Svizzera, anche in un altro paese che adesso mi sfugge: se quelli una mattina si alzassero e si incamerassero il tuo oro, o altro tipo di investimenti, solo perchè magari gli sei diventato "antipatico", poi che succederebbe?

                              In Europa sono investiti miliardi e miliardi di chissà quante nazioni di tutto il mondo: se l'UE incamerasse i beni russi, sarebbe un segnale devastante e pericolosissimo per tutti gli investitori statali, per cui è ovvio che banche e stati si oppongano.

                              In sostanza l'UE non si fa tema di voler passare come una associazione a deliquere che cerca di depredare i beni altrui, tentando di violare quel diritto internazionale che ha sempre sulla punta di quella lingua da rettile immondo.
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                                Inchiesta per corruzione nelle istituzioni Ue: fermata l’ex ministra Pd Federica Mogherini. Polizia al servizio diplomatico e al Collegio d’Europa

                                L'indagine sarebbe iniziata dopo le accuse secondo cui il Seae e il Collegio d'Europa (retto proprio da Mogherini) avrebbero utilizzato in modo improprio i fondi pubblici dell'Ue

                                È Federica Mogherini, l’ex Alta rappresentante dell’Ue e attuale rettrice del Collegio d’Europa, una delle tre persone fermate nell’ambito dell’indagine su corruzione e frode negli appalti. La notizia è riportata da Le Soir. Poco prima il sito Euractiv aveva stato reso noto un blitz della polizia belga nella sede del Servizio europeo per l’azione esterna a Bruxelles e nel Collegio d’Europa di Bruges nell’ambito di un’inchiesta su un presunto uso improprio di fondi europei. Secondo quanto trapela, l’irruzione è avvenuta anche in alcune abitazioni private. Le operazioni sono scattate all’alba di martedì, e hanno portato al sequestro di documenti e al fermo di tre persone accusate di frode negli appalti, corruzione e conflitto di interessi.

                                Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) dipende dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (ruolo ricoperto oggi da Kaja Kallas). Il Collegio d’Europa è un istituto indipendente di studi europei post-universitari che è retto dal 2020 dall’italiana ed ex ministra degli Esteri del governo Renzi Federica Mogherini che è stata Alto rappresentate dell’Ue dal 2014 al 2019. L’indagine sarebbe iniziata dopo le accuse secondo cui il Seae e il Collegio d’Europa avrebbero utilizzato in modo improprio i fondi pubblici dell’UE nel 2021 e nel 2022, riporta Euractiv che cita fonti informate. In quel periodo Alto rappresentante dell’Unione era lo spagnolo Josep Borrell.

                                Al centro vi sarebbe un appalto per finanziare la nuova Accademia diplomatica europea, un programma annuale di formazione per diplomatici finanziato dal Servizio diplomatico Ue e ospitato a Bruges. Gli investigatori stanno verificando se il Collegio d’Europa o suoi rappresentanti avessero avuto accesso anticipato a informazioni riservate sulla gara d’appalto. Si tratta dell’ultimo grande scandalo che colpisce le istituzioni europee. Il fascicolo si concentra anche sull’acquisto da 3,2 milioni di euro di un edificio a Bruges nel 2022 da parte del Collegio, una struttura destinata a ospitare i partecipanti dell’Accademia, poco prima che l’Eeas bandisse una gara successivamente aggiudicata al Collegio per 654.000 euro di finanziamento. All’operazione ha preso parte anche l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), sotto il coordinamento della Procura europea (Eppo). Una vicenda che accresce la pressione sul Collegio d’Europa e sulla sua rettrice Federica Mogherini, oggi anche direttrice della nuova Accademia diplomatica.




                                Secondo quanto riportato da Le Soir, nella giornata di oggi sono state effettuate perquisizioni presso il servizio diplomatico dell'Unione europea a Bruxelles e in diversi edifici del Collegio d'Europa a Bruges.

                                In totale sono state fermate tre persone: oltre a Mogherini, Stefano Sannino, ex segretario generale del Servizio europeo di azione esterna e attuale direttore generale della Dg Mediterraneo della Commissione europea e un manager del Collegio d'Europa​



                                ...ma di noi
                                sopra una sola teca di cristallo
                                popoli studiosi scriveranno
                                forse, tra mille inverni
                                «nessun vincolo univa questi morti
                                nella necropoli deserta»

                                C. Campo - Moriremo Lontani


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