Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.
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Minuto 2.40 circa...
Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.Originariamente Scritto da Bob TerwilligerDi solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.
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Perché Trump si è innamorato di Mohammed bin Salman (e sembra essersi stufato di Netanyahu)
L'ultradestra americana è stufa di pagare la bolletta militare di Israele. E Trump, con un approccio iper-presenzialista e pragmatico, celebra un matrimonio d’affari con Mohammed bin Salman
Al principe saudita abbracci e ripetute dichiarazioni di gradimento, «Mi piaci, mi piaci tanto». Al premier israeliano nemmeno una visita nel primo viaggio in Medio Oriente, Gerusalemme bypassata e l’ostentazione di un gelo senza precedenti. Non basta per dire che Donald Trump stia per riservare a Benjamin Netanyahu un trattamento alla Zelensky, ma se si pensa che Israele è sempre stato intoccabile anche per lui mentre l’Ucraina non l’ha mai fatto impazzire, il cambio di tono colpisce. E proseguendo il parallelo, la cotta per Mohammed bin Salman, o MbS, il principe reggente saudita, ha contorni molto simili a quella di Donald per Putin: ammirazione per il carattere deciso (eufemismo) e i modi spicci, invidia per le scorciatoie decisioniste consentite dall’azzeramento di ogni aspirazione democratica e soprattutto affinità «valoriali» succose, ovvero affinità materiali: la possibilità di fare affari senza vincoli e senza limiti, cosa che con la Russia sarà possibile appena Trump avrà risolto la fastidiosa grana ucraina e potrà togliere le sanzioni contro Mosca. Con MbS, invece, il matrimonio d’affari celebrato in questi giorni sta già dando frutti corposi.
Ed è anche un matrimonio strategico, che intralcia i piani israeliani di una guerra senza fine a Gaza ma che, almeno al momento, non sembra considerare il futuro di Gaza e dei palestinesi una priorità. Anche se i rumors accreditano un Piano di pace che il presidente americano potrebbe annunciare venerdì. E con lui le sorprese, ormai s’è capito, non sono mai da escludere. D’altronde non sarebbe un inedito: i suoi Accordi di Abramo del 2020 – con il riconoscimento tra Israele, Emirati, Bahrein, Marocco e Sudan – includevano uno Stato palestinese delineato in tutti i dettagli, con la firma di Netanyahu. Che poi fu il solito maestro nell’incassare i riconoscimenti senza la minima traccia di Palestina.
Adesso, quel che è certo è che, a dispetto della presunta vocazione isolazionista, le mosse di Trump mostrano che il suo approccio è iper-presenzialista e pragmatico, e non a caso polemico con i nation builders – tanto i neocon di destra quanto i liberal di sinistra – che volevano imporre anche in questa regione regime change, valori occidentali e democrazia. Mentre invece l’unica cosa che conta, afferma The Donald, è fare tacere le armi e riordinare il caos, per potere fare finalmente affari.
Per questo ora MbS gli piace più di Bibi: perché non è più ossessionato come Bibi. In particolare dall’Iran.
Durante il primo mandato trumpiano, l’irruente erede al trono saudita si mosse da principe del caos, facendo sopprimere orrendamente il giornalista dissidente Jamal Kashoggi, muovendo guerra agli Houthi yemeniti, sequestrando per quattro giorni il premier libanese per costringerlo a cacciare gli Hezbollah filo iraniani dal governo e imponendo un embargo dei Paesi del Golfo contro il Qatar, anche lì perché rompesse con l’Iran. Tutto, insomma, per contrastare l’asse regionale costruito da Teheran. Ma negli anni in cui Trump ha dovuto lasciare la Casa Bianca, l’ossessione iraniana di MbS è scemata al punto che con l’Iran ha fatto la pace, mediatori i cinesi. Il Qatar è stato riammesso nel consesso delle petropotenze del Golfo. E Israele gli ha fatto il lavoro sporco di colpire Iran, Hezbollah e Hamas e così far cadere il regime di Assad in Siria.
Ridimensionato e blandito l’Iran, per il principe saudita non c’è dunque più bisogno di un patto formale con lo Stato ebraico. E mentre prima osteggiava, come Israele, qualsiasi accordo sul nucleare iraniano, ora spinge Trump a trovare un’intesa con Teheran, dopo averlo convinto a togliere le sanzioni alla Siria e a stringere la mano al suo nuovo presidente Ahmed al Sharaa, che pure sarebbe ancora nella lista americana dei terroristi. Il mondo capovolto.
Il senso di tutto questo, l’israeliano Zvi Bar’el lo condensa in poche righe come sa fare un grande analista: «L'Arabia Saudita è ora una risorsa strategica su cui Trump è impegnato, mentre Israele sta rapidamente diventando un peso strategico. L'Arabia Saudita possiede la chiave della stabilità regionale e Trump ne ha bisogno per ottenere vantaggi economici e diplomatici».
In mezzo c’è Gaza, che c’entra moltissimo, ma non al punto di diventare del tutto decisiva. Prima del 7 ottobre, la normalizzazione dei rapporti tra israeliani e sauditi sembrava vicinissima. Lo era. E sarebbe stato il trionfo di Netanyahu: pace con la più grande potenza economica e simbolica sunnita, custode dei luoghi santi dell’Islam, senza nessuno Stato palestinese in cambio. L’Autorità nazionale palestinese era rassegnata a subire il colpo definitivo, accontentandosi di compensazioni economiche. I sauditi si erano stufati di chiedere una Palestina che non arrivava mai: il suo riconoscimento era la condizione per far riconoscere Israele da parte di tutto il mondo arabo, offerta lanciata fin da vent’anni prima con l’Iniziativa di pace del 2002. Ora, prima del 7 ottobre, la posta per MbS era un accordo di difesa con gli Stati Uniti e il via libera americano al programma nucleare civile saudita. Ma la destra israeliana, sospettosa, tergiversava e ha perso l’occasione.
Ora, dopo quasi 600 giorni di carneficina a Gaza, MbS sa che, se riconoscesse Israele abbandonando i palestinesi, milioni di arabi la prenderebbero male. Quindi è tornato a condizionare il sì a Israele al sì alla Palestina, o almeno a un impegno significativo – anzi: «passi irreversibili» - di Israele in quel senso. Ma c’è di più: la normalizzazione dei rapporti con Israele non è più una condizione per le intese militari tra sauditi e trumpiani, che si guardano negli occhi e si piacciono sempre di più. L’accordo su difesa e nucleare civile si fa lo stesso. Spiazzando ulteriormente Israele.
Allo stesso modo, visto che hanno avuto quello che volevano dagli americani, difficilmente i sauditi avranno ora lo Stato palestinese come priorità. Intanto però hanno bloccato i deliri trumpiani della «Riviera di Gaza» svuotata dei palestinesi. La deportazione di massa che fa sognare la destra israeliana ora ha il veto di Trump in persona, perché ostacolerebbe i suoi affari con i partner arabi. Ma il presidente americano in questi giorni è andato oltre: ha trattato direttamente con Hamas liberando il «suo» ostaggio, l’israelo-americano Edan Alexander, e ha avallato un paio di piani per Gaza. Uno darebbe all’America la gestione degli aiuti umanitari alla popolazione, resi sempre più urgenti da una situazione drammatica; un altro le darebbe addirittura l’amministrazione della Striscia, sul modello dell’Iraq post-Saddam Hussein, ma insieme a un governo di tecnici palestinesi non appartenenti né a Hamas né all’Autorità nazionale. In questo quadro, Hamas ha lanciato addirittura segnali di disponibilità al disarmo, con le armi consegnate ai mediatori arabi e la liberazione di ostaggi israeliani e detenuti palestinesi.
Insomma, mentre Netanyahu annuncia la re-invasione imminente, Trump viene descritto come «stufo di lui» e deciso a imporgli per lo meno un cessate il fuoco. A quel punto, tra i due vecchi amici sarebbe la resa dei conti: Bibi dovrebbe scegliere se cedere a Donald e rischiare di mandare in frantumi la propria coalizione, che vuole la guerra. Trump dovrebbe scegliere se portare la logica affaristica fino in fondo, come gli chiede la sua, di ultradestra. Che è stufa di pagare la bolletta militare di Israele. Mentre i sauditi la loro se la pagano da soli, eccome, con 142 miliardi di dollari già messi nero su bianco. Ecco perché ora sono loro l’asset strategico di Trump.
CorSera
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C. Campo - Moriremo Lontani
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Originariamente Scritto da M K K Visualizza MessaggioMinuto 2.40 circa...
https://youtu.be/Iu2_48ia_Ls?si=2MjpMOxGI4HMQpUm
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Ieri leggevo che le autorità messicane stanno seguendo la pista del femminicidio. Pare che la ragazza avesse una relazione turbolenta con un uomo. Certo l'esecuzione è stile mafia narcos, però se in ipotesi il tipo col quale stava era un poco di buono, può avere usato gli stessi metodi dei clan, magari assoldanto gente di tal risma....ma di noi
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Putin e i negoziati a Istanbul, a Mosca esultano sia moderati che falchi: «Ora i filonazisti cedano le quattro regioni»
Più moderate le reazioni ufficiali all'incontro di Istanbul. Kosachev: «È comunque un inizio. Sarebbe stato ingenuo aspettarsi di più dopo una pausa di quasi tre anni»
Al telegiornale della sera la mettono giù dura. «Se i filonazisti non cedono tutte le quattro regioni che ci siamo annessi, al prossimo giro di negoziati diventeranno sei». Ma le tivù russe sono fatte così, propaganda in purezza e notiziari avvolti nel tricolore, vanno bene al massimo per rendere la peculiare idea di patriottismo che spesso viene alimentata nel Paese.
Le reazioni ufficiali alla conclusione dell’incontro di Istanbul sono in realtà più mediate e meditate. A cominciare da quella di Kostantin Kosachev. Il vicepresidente del Consiglio della Federazione in genere non si risparmia con le invettive. Questa volta invece formula un ragionamento compiuto. «Sarebbe stato ingenuo aspettarsi che dopo una pausa di tre anni e lo stato critico dei rapporti tra le parti in conflitto si potesse raggiungere qualcosa di più. Ma è comunque un inizio. Però le dichiarazioni dei politici europei, in particolare di Keir Starmer, che ritengono le nostre richieste “inammissibili” sono distruttive e nuocciono ai futuri colloqui. Le parti terze devono, come si dice, prendere acqua in bocca e tacere, e non commentare, in nessun modo, se veramente desiderano l’avvento della pace».
Alla fine, tutti contenti. Quelli che nonostante dichiarazioni talvolta tonanti, in cuor loro sperano nella fine delle ostilità, come Sergey Markov, ex consigliere di Vladimir Putin, che loda il lavoro della delegazione russa e del suo capo in particolare: «Un moderato successo, e voglio ricordare quel che ho sempre sostenuto, ovvero che Medinsky è veramente figo». Anche il politologo Vladimir Shapovalov, tende a vedere il bicchiere mezzo pieno: «I risultati di questo primo contatto sono preliminari e tecnici, ma daranno la possibilità di passare al lato concreto delle trattative. Entrambi hanno seminato, anche se la posizione ucraina non consente di sperare molto in un successo dei negoziati, perché cambiano idea troppo spesso, a seconda della congiuntura».
Ma esultano anche i falchi in purezza, i rappresentanti della nutrita galassia ultranazionalista, che già recitano l’epitaffio per le speranze di pace. «È assolutamente logica la richiesta del ritiro dei militari ucraini dalle quattro regioni, perché oggi la ragione, il tempo e l’iniziativa militare stanno dalla parte della Russia» afferma il bellicoso Sergey Mironov, vice speaker della Duma e leader del partito Russia Giusta. «Intanto che a Kiev si pensa, il nostro esercito russo libererà altre terre storiche russe». Mironov aggiunge un pensiero che a Mosca continua a essere condiviso da molti osservatori di parte: «La condizione per una pace solida è la rimozione del presidente illegittimo Zelensky, e la garanzia di uno status neutro del Paese». Anche dal partito della guerra per sempre piovono lodi sulla testa di Medinsky, definito «il vero eroe di questi colloqui» da Alexandr Dugin. «Kiev ha chiesto un incontro al vertice e ne abbiamo preso atto» aggiunge il filosofo di riferimento dell’ultradestra russa. «Siccome i capi dei nostri Stati sono Putin e Trump, è tra loro che effettivamente occorre tenere un incontro».
La politica russa sta sviluppando una autentica ossessione per il presidente americano. Spesso considerato inaffidabile, talvolta disprezzato, ormai sembra essere diventato la sola unità di misura che conta davvero. Il suo incontro con Putin viene considerato come un evento dai poteri taumaturgici, destinato ad appianare qualunque problema, cominciando con la questione ucraina. «Se i due veri capi di Stato si incontreranno» si augura in un editoriale il sito Tsargrad , di proprietà del cosiddetto «oligarca di Dio» Kostantin Malofeev e punto di riferimento del nazionalismo religioso, «Trump capirà che non c‘è alcuna ragione per sostenere Kiev, e avremo così mano libera». Ma anche il portale Mail.ru , tra i più moderati nel sostegno all’Operazione militare speciale, sostiene la stessa tesi. Cambia solo l’auspicio finale: «Se la Casa Bianca preme più forte sull’Ucraina, la ricomposizione pacifica è prossima a venire». Il quotidiano Komsomolskaya Pravda si chiede «Chi ha vinto a Istanbul». E risponde facendo riferimento alla Borsa di Mosca. Dopo l’annuncio che i colloqui erano durati solo due ore, l’indice e le quotazioni sono calati. Non appena Medinsky e il suo corrispettivo ucraino Rustem Umerov hanno fatto le loro dichiarazioni, hanno ripreso a salire. «Per noi l’avvio del processo diplomatico è comunque un buon risultato. Ora che i colloqui ufficialmente sono in corso, per Kiev sarà ancora più difficile convincere Trump che “la Russia non vuole”. E finora, Washington si sta mostrando neutrale». Quanto al seguito della storia, a scriverla saranno «ovviamente» Putin e il presidente americano, «non appena si vedranno». Loro due, e nessun altro.
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Questi colloqui non servono a niente. A parte l'impossibilità di arrivare ad una condivisione sui punti nodali (i russi vogliono le regioni occupate, gli ucraini non vogliono cederle, quindi già su questo scoglio, anzi Everest, si infrange il primo come ogni altro passo), c'è che alla Russia non è tanto e non solo la risoluzione della guerra in Ucraina che le interessa, ma la discussione complessiva e risolutiva su "tutte le questioni profonde che sono alle radici del conflitto", come da ripetute dichiarazioni di Putin.
In questo senso ogni colloquio con la controparte è inutile. Tra i pochi che lo hanno capito (almeno in Italia), questo giornalista de La Stampa: https://www.lastampa.it/esteri/2025/...HA-BH-P3-S1-T1
Se si deve andare alla "radice", soltanto un vertice Putin-Trump può far muovere dei passi non dico definitivi ma certamente nella giusta direzione. Altrimenti, l'unico altro strumento chirurgico che resta per incidere in quel (pro)fondo è il bisturi della guerra....ma di noi
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Trump: “Telefonerò a Putin lunedì”
Donald Trump ha annunciato che parlerà al telefono con Vladimir Putin lunedì alle 10 di mattina, le 16 in Italia.
Trump: “Parlerò anche con Zelensky e la Nato”
Donald Trump ha detto che dopo una telefonata con Vladimir Putin lunedì, parlerà con Volodymyr Zelensky e poi, assieme al leader ucraino, con alcuni membri della Nato.
Kiev: Mosca chiede la neutralità dell’Ucraina e 5 regioni
Neutralità di Kiev e modifiche territoriali con l'assegnazione di 5 regioni alla Russia. Sono queste in sintesi le richieste di Mosca presentate nel corso dei negoziati in Turchia per cercare di mettere fine alla guerra cominciata tre anni fa con l'invasione russa dell'Ucraina. Intanto il presidente americano Donald Trump, in un'intervista a Fox News, minaccia sanzioni se Mosca non accetterà un'intesa. La delegazione russa inviata a Istanbul chiede il ritiro delle truppe ucraine dalle regioni di Donetsk, Zaporizhia, Kherson e Luhansk prima di qualsiasi cessate il fuoco e il riconoscimento internazionale dell'annessione alla Russia della penisola di Crimea già annessa nel 2014 e delle quattro regioni di Donetsk, Zaporizhia, Kherson e Luhansk.
https://www.repubblica.it/esteri/202...-RIAPERTURA%7C
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Operation “Gideon’s Chariots”
[...] Conclusion
The “Gideon’s Chariots” plan contains real potential to topple Hamas rule, strengthen Israeli deterrence, and secure full control over Gaza’s security levers. However, it entails heavy costs, including harm to the hostages and loss of information about them; deepening internal divisions due to expected military costs and political fallout; significant economic burdens; high exposure to legal and diplomatic risks; moral consequences of anticipated IDF actions; and loss of the opportunity for normalization and expansion of the Abraham Accords. All this comes at a time when Israel may lack the political, military, and social stamina required to achieve the plan’s goals, which demand a prolonged operation lasting months or even years.
Opposite this plan is the Egyptian proposal—supported by the Arab world and the international community—calling for a ceasefire, the release of the hostages, and the establishment of a technocratic Palestinian administration in Gaza under regional and international auspices. While it involves relinquishing the full military defeat of Hamas, its implementation could enable security stabilization, civilian reconstruction, and an opportunity for regional resolution, reduced international pressure, better risk management in other arenas, and attention to Israel’s internal socio-political crisis.
It is important to note that the Egyptian proposal does not involve a complete halt to IDF freedom of action against Hamas and terror infrastructure in Gaza. Just as Israel continues to strike Hezbollah targets in Lebanon based on a policy of retaining enforcement power, it would be able to act against threats in and from Gaza. If Israel cooperates with the Egyptian initiative and helps shape its details—especially effective demilitarization mechanisms—it can secure its right to self-defense and operational capability in Gaza, under formal and informal understandings with Arab states and the United States, while enabling stabilization processes to erode Hamas’s grip on governance and society.
The choice between the two alternatives is not between “absolute good and evil,” but between a one-dimensional strategy seeking full military victory at high cost and a multi-dimensional strategy that, while accepting a partial military outcome, offers potential for diplomatic and economic gains through cooperation with moderate Arab states, reinforcement of existing peace treaties, and expansion of the Abraham Accords. Both alternatives carry risks—military, strategic, moral, economic, and social. The decision, therefore, depends on defining Israel’s long-term national goals—between a worldview of “forever living by the sword” and one of improved strategic positioning through deeper regional cooperation and political agreements.
On May 5, the Israeli government approved the plan of “Gideon’s Chariots,” presented by the IDF, for the open-ended conquest of the Gaza Strip as the final and decisive stage of the war. The declared objectives of the plan are the military and governmental destruction of Hamas as the top priority and the return of … ContinuedLast edited by X3me; 18-05-2025, 20:15:16.- Climber
- ex Istruttore
- ex P.Trainer AFFWA
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Biden ha una forma aggressiva di cancro alla prostata
L'ex presidente e la famiglia stanno decidendo assieme ai medici la strada migliore da percorrere
Originariamente Scritto da SeanTu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
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Che cosa ha nascosto agli americani l'amministrazione Biden negli ultimi suoi mesi alla Casa Bianca? Quel signore voleva essere rieletto, ha corso fin quasi alla fine per la rielezione, nonostante tutte le evidenze contrarie (stato di salute psico-fisica), circa alle quali negli USA sta uscendo un libro-inchiesta:
Martedì prossimo uscirà nelle librerie americane Original Sin: President Biden’s Decline, Its Cover-Up, and His Disastrous Choice to Run Again (Il peccato originale di Biden, il suo declino, la copertura e la scelta disastrosa di correre di nuovo) di Jake Tapper e Alex Thompson in cui vengono raccontati i drammatici ultimi mesi della sua presidenza con continue defaillance, dalla difficile deambulazione, che ha portato a prendere in considerazione la sedia a rotelle, al mancato riconoscimento di persone a lui note come George Clooney.
Parkinson, un tumore del sangue, il cancro al pancreas, dolori cronici causati da una malattia incurabile.
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioChe cosa ha nascosto agli americani l'amministrazione Biden negli ultimi suoi mesi alla Casa Bianca? Quel signore voleva essere rieletto, ha corso fin quasi alla fine per la rielezione, nonostante tutte le evidenze contrarie (stato di salute psico-fisica), circa alle quali negli USA sta uscendo un libro-inchiesta:
Però in occidente la "libera" stampa si era preoccupata della salute di Putin:
ma alla fine si è scoperto che l'unico vero malato terminale è l'occidente, coi becchini che già sono (per fortuna) dentro casa.
che schifo
sono stati puniti come meritavano perdendo rovinosamenteOriginariamente Scritto da SPANATEMELAparliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentusOriginariamente Scritto da GoodBoy!ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?
grazie.
PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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