Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.

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    Originariamente Scritto da Barone Bizzio Visualizza Messaggio

    La Corte ha parlato di rischio concreto già un anno fa, dai che hai capito.
    inoltre l'intenzione di genocidio non va confusa con gli obiettivi politici di una guerra. Altrimenti l unico genocidio recente è stato quello del Rwanda. Niente genocidio degli armeni o srebrenica, perché tanto c'erano anche altri obiettivi da perseguire.

    Così si riduce il termine genocidio ad una cosa che non potrà mai più accadere.

    Per quanto riguarda il principio di autorità, per me tutti possono parlare di tutto, ma bisogna informarsi. Nel periodo del Covid gli esperti erano divisi su tantissime questioni. In questo caso chi sostiene che non ci sia un genocidio è o pagato da Israele o pagato da l'obbiettivo ebraiche. Ma sul serio eh. Poi parlo di giuristi, non tiratemi fuori nomi di giornalisti, menchemeno italiani perché come sapete non li considero esseri umani.
    Ho capito che hai scritto il falso attribuendo alla ICJ di aver stabilito che a Gaza è in corso un genocidio (immagino contando sul fatto che nessuno avrebbe letto o colto la differenza). Non capisco però perché insisti su questa linea.

    Se gli israeliani avessero davvero voluto, avrebbero potuto sterminare (direttamente o indirettamente) milioni di palestinesi: erano nelle condizioni di farlo. Ma appunto, gli obiettivi sono altri.

    Durante il periodo Covid la comunità scientifica era invece molto più convergente di quanto dici. Solo che allora, per te, il problema erano le case farmaceutiche che li pagavano; oggi invece sono Israele e le lobby ebraiche a finanziare gli esperti con cui non sei d’accordo.

    Dal mio punto di vista, tutta la discussione su queste definizioni vaghe e strumentali è sterile. È diventato un modo per dire da che parte si sta: se parli di genocidio e minimizzi il 7 ottobre, sei "pro-pal", e viceversa. Questo a prescindere dal significato giuridico del termine.

    Detto ciò, mi auguro che questi accordi portino a qualcosa di concreto e di non dover più sentir parlare dell'Albanese e compagnia bella.

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      GAZA FOR TAJANI

      di Marco Travaglio

      Le immagini dei gazawi in festa tra le macerie per la fine della mattanza e financo per Trump e quelle dei parenti degli ostaggi israeliani che si abbracciano a Tel Aviv straziano il cuore. E dovrebbero far vergognare i leader europei che non hanno fatto nulla perché accadesse prima: tutti premi Nobel per il miglior attore non protagonista. Ma dovrebbero anche inorgoglire chi in Europa s’è battuto in parlamenti, piazze, scuole, atenei, media e flottiglie per smuovere le coscienze e salvare l’onore dei nostri Paesi: è anche grazie a loro che Trump s’è deciso a costringere Netanyahu ad accordarsi con Hamas, cioè ad ammettere il totale fallimento. Invece chi dovrebbe vergognarsi esulta e chi dovrebbe esultare si vergogna. La Meloni s’imbroda per il “contributo silenzioso” al piano Trump: così silenzioso che nessuno se n’è accorto.

      Tajani riposta il video, forse fake, di due giovani gazawi che sventolano il tricolore in “segno di riconoscenza e gratitudine nei confronti di quello che ha fatto e farà l’Italia”. Purtroppo il filmato è di un account X pro Pal che dice “grazie italiani per essere insorti contro il vostro governo” in piazza. Tajani, vicepremier del governo che ha trattato quei manifestanti da terroristi e ha continuato ad armare Israele, crede che a Gaza festeggino lui. Anzi, popolare com’è anche là, si aspetta che ora sventolino pure i suoi poster.

      In compenso molti pro Pal hanno accolto la notizia che riempie di gioia Gaza e Israele con un misto di fastidio e cordoglio. I talk sembrano veglie funebri: luci semispente, ospiti in gramaglie per la fine della cosiddetta guerra, volti luttuosi, pessimismo obbligatorio. Mancano solo le bandiere a mezz’asta e i De Profundis. Chi vaticinava che Trump avrebbe riempito il mondo di guerre non può ammettere che ne ha fermata almeno una. E se qualcuno pensava di trasformare la denuncia del genocidio in un mestiere fino alla pensione, dovrà trovarsene un altro. È la versione farsesca della sindrome di Rambo, tipica di ogni reducismo: torni dalla guerra, spesso combattuta nel salotto di casa, nessuno ti si fila.

      Si stava meglio quando si stava peggio, anche perché a stare peggio erano i palestinesi, che ora grazie a Trump non muoiono più e forse ricevono pure qualcosa da mangiare. Se il piano portasse la firma di Biden o della Harris o di qualche altro “buono”, quello sì sarebbe un fatto storico da Nobel. Come per Obama, Al Gore e persino l’Ue. Invece l’ha firmato il puzzone cattivo: quindi è finto, non dura, domani si torna a sparare. Così buoni e cattivi tornano ciascuno nel posto assegnato. E gli orfani e le vedove di guerra ritrovano una ragion d’essere. Possibilmente prima che Trump ci prenda gusto e si faccia tornare strane idee di pace pure fra Russia e Ucraina.

      Leggi su Il Fatto Quotidiano l'articolo in edicola "Gaza for Tajani" pubblicato il 11 Ottobre 2025 a firma di Marco Travaglio


      ...ma di noi
      sopra una sola teca di cristallo
      popoli studiosi scriveranno
      forse, tra mille inverni
      «nessun vincolo univa questi morti
      nella necropoli deserta»

      C. Campo - Moriremo Lontani


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        Così in 20 ore si è arrivati all’accordo Israele-Hamas: la doppia svolta su rapiti e garanti

        Gli statunitensi: «Il clima era cambiato». Due le chiavi della svolta: Hamas e il problema degli ostaggi; e le garanzie personali offerte da Trump

        L’annuncio di Trump sull’assenso di Israele e Hamas alla «prima fase» dell’accordo di pace è arrivato mercoledì 8 ottobre con un post sul suo social Truth, al termine di una lunga giornata per i negoziatori Steve Witkoff e Jared Kushner — uno dei migliori amici e il genero del presidente — che erano atterrati quella mattina alle 6.30 locali in Egitto.

        I mediatori qatarini, egiziani e turchi erano a Sharm-el-Sheikh da lunedì: avevano discusso per due giorni con gli inviati di Israele e di Hamas. Gli americani speravano in un accordo entro la fine della settimana, ma è arrivato quella stessa sera.

        «La giornata si è conclusa con l’accordo alle 2.30 del mattino: siamo andati avanti per 20 ore di seguito e verso la fine abbiamo iniziato ad avere la sensazione che tutti si stavano muovendo verso il centro... E quando tutti potevano vedere il traguardo, hanno voluto oltrepassarlo», hanno detto due alti funzionari americani in un briefing con i giornalisti al quale ha partecipato anche il Corriere.

        Mercoledì sera non c’è stato un «momento eureka», dice uno dei funzionari, ma «diversi momenti in cui abbiamo iniziato a trovare consenso: sul rilascio di 20 ostaggi in una volta, su come gli israeliani avrebbero fatto lo scambio. Le persone sono diventate più malleabili. Arrivava il cibo, ci scambiavamo idee. Non ripeterò mai abbastanza quanto sia stata importante l’interazione personale: molti leader arabi si sono convinti che volevamo davvero un accordo... e che lo avremmo fatto rispettare».

        Cruciale è stato «separare l’accordo di pace in due fasi chiare: la prima, il rilascio degli ostaggi, includeva anche la liberazione dei prigionieri palestinesi. Ed è stato importante perché quella parte era diventata semplice... Poi abbiamo ampliato la discussione a ciò che succederà dopo, in sostanza quello che chiamiamo un cessate il fuoco permanente fino a che tutte le altre questioni verranno negoziate e considerate, inclusi lo smantellamento delle armi, un governo tecnocratico per gestire Gaza, la ridistribuzione dell’esercito israeliano. L’altra notte abbiamo visto svolte importanti su tutti questi temi».

        Sono state due le chiavi di volta, secondo i funzionari americani. La prima è che Witkoff e Kushner hanno capito che «Hamas aveva iniziato a vedere gli ostaggi come un problema anziché una risorsa» e che volessero rilasciarli. Il giorno prima, Trump aveva chiesto loro quali fossero le chance di un accordo. «Il 100%», aveva risposto Kushner, secondo un funzionario. Trump, sorpreso, aveva chiesto come facesse a saperlo; suo genero aveva replicato: «Perché non possiamo permetterci di fallire».

        La seconda chiave è stata che, appena arrivati, Witkoff e Kushner hanno comunicato ai mediatori e, attraverso di loro a Hamas, che Trump si impegnava personalmente a far rispettare ognuno dei 20 punti del piano di pace, incluso il ritiro completo, seppure in fasi, di Israele, cioé che non avrebbe lasciato che, tornati gli ostaggi, Netanyahu riprendesse la guerra. «C’era molta sfiducia e il presidente voleva chiarire che quest’accordo è importantissimo per lui... e che farà rispettare la buona condotta».

        Trump ha telefonato «almeno tre volte» sui cellulari di Witkoff o di Kushner. «Chiedeva come stessero andando le cose», si è fatto passare diversi interlocutori a Sharm. Parte della sua garanzia è la task force di 200 soldati Usa per monitorare il cessate il fuoco ed eventuali violazioni. Intanto Witkoff e Kushner rimangono per ora in Israele perché «molte cose possono ancora andare storte». Alcuni si chiedono se è l’inizio di un ruolo permanente per il genero nel governo, ma molti credono che pur restando consigliere all’occorrenza tornerà alla sua azienda di private equity, finanziata quasi interamente da investitori stranieri, inclusi i fondi sovrani di Arabia, Qatar, Emirati. Secondo un funzionario Usa, Kushner scherza con Witkoff che, quando tornerà a casa alla sua magione in Florida, scoprirà che sua moglie Ivanka ha cambiato la serratura.

        ​CorSera
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