quei film che per la contorta struttura narrativa o perchè intrisi di significati nascosti o perchè manifesti di particolari visioni o di nuovi linguaggi artistici sono genericamente considerati "strani":
Dillinger è morto di Marco Ferreri. Straniante: quasi completamente privo di dialoghi, la camera costantemente attaccata al primo piano del protagonista che si aggira per le stanze emettendo grugniti e compiendo atti di banale non-sense
L'incipit mette i brividi: un uomo con una maschera a gas e la perfetta rappresentazione dell'uomo moderno, costretto a respirare l'irrespirabile.
Michael Piccoli si dirige verso casa, attraversando strade anonime, tutte simili.
Arrivato a destinazione comincia a girovagare senza meta, circondato da oggetti iperrealistici. Si prepara una succulenta cena, con un rito tipico della classe media, mentra la televisione trasmette un programma idiota.
Proietta i filmini delle vacanze e in quel momento raggiunge la completa reificazione con essi (e con tutti i beni inutili che circondano la società consumistica).
Prova a fornicare con la collaboratrice domestica, ma dopo un gioco erotico in cui non trova appagamento rinuncia.
Davanti allo specchio con una pistola mima il proprio suicidio, logica conseguenza di una vita-non vita, una vita che è già morte. Ma ha l'ultimo istinto animale di sopravvivenza: uccide la moglie, illudendosi di distruggere quel mondo vuoto di senso, fugge via e viene preso a bordo di un battello; ma questo naviga verso un sole finto: non c'è possibilità di fuga.
È un film sull'umanità autodistrutta, sull'uomo alienato nei sui inutili feticci, sull'impossibilità della fuga da una società priva di senso.
Donnie Darko
"Il mondo finirà tra 28 giorni!" Questa è la frase che un coniglio nero gigante, dice a Donnie durante uno dei suoi frequenti sonnanbulismi, dopodiché un motore d'aereo si abbatte sulla sua casa. Donnie si salva perché non è li, si trova su un campo da golf a chilometri di distanza, ma come ci è arrivato?
La schizofrenia o una qualche alterazione mentale sembrano essere la risposta ai continui vuoti di memoria e comportamenti incomprensibili di Donnie, tanto che viene mandato in analisi dalla Dr.sa Thurman (Katharine Ross / Il laureato).
Donnie continua la sua vita normale anche se a scuola tutti lo schivano ed in casa i genitori sono sempre più preoccupati per lui.
In realtà Donnie vede sprazzi di futuro o meglio di realtà alternative e comunica con personaggi che non hanno nulla a che fare con il suo mondo ma che conoscono cose che nessuno sa.
Nei suoi deliri gli resta vicino soltanto Gretchen (Jena Malone / Gioco d'amore), la sua ragazza, ed il professore di fisica che sembra quasi capire cosa sta accadendo.
Ma i giorni passano inesorabilmente e la scadenza si avvicina...
Mulholland Drive
Più Lynchiano di così, "Mullholland drive" proprio non poteva essere. In bilico costante tra realtà e sogno, la storia del regista del cult televisivo "Twin Peaks" e di pellicole in costante contraddizione tra loro ("The elephant man", "Velluto blu", "Una storia vera"), racconta un sogno hollywoodiano che si trasforma in un incubo. Diviso in una prima parte in cui si sviluppa una lineare storia dalle atmosfere tipiche dei racconti noir degli anni '40, e in una seconda in cui tutte le carte si mescolano improvvisamente con un "risveglio" che lascia vagare i protagonisti tra i più disparati simboli onirici, il film di Lynch è una maglia intricatissima, un percorso tortuoso in cui si è incapaci di trovarne l'inizio e la fine, in un passaggio continuo di universi reali e immaginari.
Una forma cinematografica, quella Lynchiana troppo complessa per essere rinchiusa nel ristretto universo dell' "interpretazione" intesa come spiegazione: i suoi personaggi sempre doppi ed estremi, la sua fotografia magnificamente notturna e i simboli indimenticabili e allo stesso tempo difficili da penetrare, continuano indefinitamente a viaggiare nell'immaginario di chiunque se ne sia lasciato attraversare. Una narrazione liberata dalla logica e dalla consequenzialità, che in questo caso raggiunge la sua punta massima perché accomuna una misurabile perfezione all'eccezionale piacere estetico che produce. Difficile da raccontare perché fa appello ad una memoria, all'inconscio di ognuno di noi, e quindi sempre diverso e sfaccettato. Dal sogno nella luce brillante ed inconfondibile di Los Angeles, si precipita di colpo in una notte irreale e a tratti oppressiva dove i luoghi sono gli stessi seppur sembri diversa la loro consistenza, e le atmosfere conservino la pastosità degli incubi.
Strade perdute
Il sassofonista Fred Madison (Bill Pullman) riceve da un postino «invisibile» una videocassetta. Qualcuno è penetrato in casa sua nottetempo e lo ha ripreso nella sua camera da letto: accanto a lui il corpo della moglie Reneé (Patricia Arquette) che egli stesso ha appena assassinato. Lo arrestano. In cella Fred una notte si «trasforma» nel giovane meccanico Pete (Baltazar Getty) che, scarcerato, torna al lavoro in officina e incontra la donna fatale Alice (ancora Patricia Arquette).
Dillinger è morto di Marco Ferreri. Straniante: quasi completamente privo di dialoghi, la camera costantemente attaccata al primo piano del protagonista che si aggira per le stanze emettendo grugniti e compiendo atti di banale non-sense
L'incipit mette i brividi: un uomo con una maschera a gas e la perfetta rappresentazione dell'uomo moderno, costretto a respirare l'irrespirabile.
Michael Piccoli si dirige verso casa, attraversando strade anonime, tutte simili.
Arrivato a destinazione comincia a girovagare senza meta, circondato da oggetti iperrealistici. Si prepara una succulenta cena, con un rito tipico della classe media, mentra la televisione trasmette un programma idiota.
Proietta i filmini delle vacanze e in quel momento raggiunge la completa reificazione con essi (e con tutti i beni inutili che circondano la società consumistica).
Prova a fornicare con la collaboratrice domestica, ma dopo un gioco erotico in cui non trova appagamento rinuncia.
Davanti allo specchio con una pistola mima il proprio suicidio, logica conseguenza di una vita-non vita, una vita che è già morte. Ma ha l'ultimo istinto animale di sopravvivenza: uccide la moglie, illudendosi di distruggere quel mondo vuoto di senso, fugge via e viene preso a bordo di un battello; ma questo naviga verso un sole finto: non c'è possibilità di fuga.
È un film sull'umanità autodistrutta, sull'uomo alienato nei sui inutili feticci, sull'impossibilità della fuga da una società priva di senso.
Donnie Darko
"Il mondo finirà tra 28 giorni!" Questa è la frase che un coniglio nero gigante, dice a Donnie durante uno dei suoi frequenti sonnanbulismi, dopodiché un motore d'aereo si abbatte sulla sua casa. Donnie si salva perché non è li, si trova su un campo da golf a chilometri di distanza, ma come ci è arrivato?
La schizofrenia o una qualche alterazione mentale sembrano essere la risposta ai continui vuoti di memoria e comportamenti incomprensibili di Donnie, tanto che viene mandato in analisi dalla Dr.sa Thurman (Katharine Ross / Il laureato).
Donnie continua la sua vita normale anche se a scuola tutti lo schivano ed in casa i genitori sono sempre più preoccupati per lui.
In realtà Donnie vede sprazzi di futuro o meglio di realtà alternative e comunica con personaggi che non hanno nulla a che fare con il suo mondo ma che conoscono cose che nessuno sa.
Nei suoi deliri gli resta vicino soltanto Gretchen (Jena Malone / Gioco d'amore), la sua ragazza, ed il professore di fisica che sembra quasi capire cosa sta accadendo.
Ma i giorni passano inesorabilmente e la scadenza si avvicina...
Mulholland Drive
Più Lynchiano di così, "Mullholland drive" proprio non poteva essere. In bilico costante tra realtà e sogno, la storia del regista del cult televisivo "Twin Peaks" e di pellicole in costante contraddizione tra loro ("The elephant man", "Velluto blu", "Una storia vera"), racconta un sogno hollywoodiano che si trasforma in un incubo. Diviso in una prima parte in cui si sviluppa una lineare storia dalle atmosfere tipiche dei racconti noir degli anni '40, e in una seconda in cui tutte le carte si mescolano improvvisamente con un "risveglio" che lascia vagare i protagonisti tra i più disparati simboli onirici, il film di Lynch è una maglia intricatissima, un percorso tortuoso in cui si è incapaci di trovarne l'inizio e la fine, in un passaggio continuo di universi reali e immaginari.
Una forma cinematografica, quella Lynchiana troppo complessa per essere rinchiusa nel ristretto universo dell' "interpretazione" intesa come spiegazione: i suoi personaggi sempre doppi ed estremi, la sua fotografia magnificamente notturna e i simboli indimenticabili e allo stesso tempo difficili da penetrare, continuano indefinitamente a viaggiare nell'immaginario di chiunque se ne sia lasciato attraversare. Una narrazione liberata dalla logica e dalla consequenzialità, che in questo caso raggiunge la sua punta massima perché accomuna una misurabile perfezione all'eccezionale piacere estetico che produce. Difficile da raccontare perché fa appello ad una memoria, all'inconscio di ognuno di noi, e quindi sempre diverso e sfaccettato. Dal sogno nella luce brillante ed inconfondibile di Los Angeles, si precipita di colpo in una notte irreale e a tratti oppressiva dove i luoghi sono gli stessi seppur sembri diversa la loro consistenza, e le atmosfere conservino la pastosità degli incubi.
Strade perdute
Il sassofonista Fred Madison (Bill Pullman) riceve da un postino «invisibile» una videocassetta. Qualcuno è penetrato in casa sua nottetempo e lo ha ripreso nella sua camera da letto: accanto a lui il corpo della moglie Reneé (Patricia Arquette) che egli stesso ha appena assassinato. Lo arrestano. In cella Fred una notte si «trasforma» nel giovane meccanico Pete (Baltazar Getty) che, scarcerato, torna al lavoro in officina e incontra la donna fatale Alice (ancora Patricia Arquette).
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