Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.

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    • Nov 2004
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    Sempre interessanti queste interviste ai volontari stranieri in Ucraina:





    Il video è una lunga intervista a volontari italiani impegnati in Ucraina, alcuni come combattenti al fronte, altri come volontari civili a supporto dei combattenti. Le opinioni che emergono sono forti, coerenti e spesso critiche verso l’Occidente.
    1. Perché sono in Ucraina
    • I volontari combattenti descrivono la loro scelta come una decisione personale e consapevole, non come un obbligo morale universale.
    • Chi combatte rifiuta l’idea che “tutti debbano sentirla come la propria guerra”: anche non intervenire è una scelta, ma non viene giudicata.
    • La guerra “diventa tua” nel momento in cui decidi di esserci.

    2. Visione della guerra e del fronte
    • Il fronte viene descritto come sempre più letale e tecnologico, dominato dai droni (FPV, ricognizione, artiglieria guidata).
    • Le missioni sono caratterizzate da:
      • imprevedibilità totale,
      • adattamento continuo,
      • stanchezza estrema,
      • rischio costante anche in fase di rientro (exfil).
    • La mancanza di uomini, il cedimento di alcuni settori del fronte e l’assenza di rotazioni adeguate aggravano la situazione.

    3. Trauma e cambiamento personale
    • Tutti concordano su un punto: la guerra cambia le persone in modo permanente.
    • Cambiamenti citati:
      • difficoltà a dormire in ambienti “normali”,
      • disagio nel silenzio,
      • associazioni traumatiche con odori, suoni, gesti quotidiani,
      • normalizzazione del contatto con la morte.
    • Anche soldati altamente addestrati riportano cicatrici psicologiche profonde.
    • Forte insistenza sull’importanza del supporto psicologico prima, durante e dopo il servizio.

    4. Opinione sui civili e sui giovani ucraini
    • I civili sono descritti come stremati ma non rassegnati.
    • Bombardamenti su città, infrastrutture energetiche e civili sono una realtà quotidiana.
    • Nessuno “si abitua” alla guerra, nemmeno dopo anni.
    • Sui giovani:
      • c’è consapevolezza del sacrificio enorme già fatto,
      • giudizio prudente verso chi fugge o si nasconde: biasimarli è difficile.

    5. Critica all’Occidente e all’Europa


    È uno dei punti più netti dell’intervista.
    • Forte delusione verso l’Europa, percepita come:
      • presente solo con armi e denaro,
      • assente sul piano morale e politico.
    • I volontari ritengono che:
      • il sostegno occidentale sia stato sempre “col contagocce”,
      • l’assenza di una risposta forte iniziale abbia incoraggiato la Russia.
    • Particolarmente criticata la mancanza di solidarietà popolare:
      • poche manifestazioni pro-Ucraina,
      • scarso coinvolgimento delle nuove generazioni europee.
    • La solidarietà simbolica (bandiere, piazze, pressione politica) viene considerata importante quanto l’aiuto militare.

    6. Risposta alle accuse di “nazismo in Ucraina”
    • Le accuse vengono definite strumentali e ipocrite.
    • Argomento chiave:
      • in ogni paese esistono minoranze estremiste,
      • la presenza di battaglioni con simboli radicali non definisce un popolo intero.
    • In caso di invasione, anche gruppi marginali diventano parte della difesa nazionale: la minaccia esterna annulla le divisioni interne.

    7. “Non è la mia guerra”
    • La risposta dei volontari è chiara:
      • non giudicano chi lo dice,
      • ribadiscono però che anche l’indifferenza è una scelta.
    • La guerra coinvolge anche:
      • medici,
      • volontari civili,
      • giornalisti,
      • attivisti e operatori umanitari.
    • Tutti pagano un prezzo, anche senza combattere.

    8. Associazione STUR
    • Nata da ex combattenti e volontari civili per colmare i vuoti lasciati dallo Stato.
    • Fornisce:
      • alloggio temporaneo per volontari stranieri,
      • supporto logistico,
      • pacchi al fronte,
      • supporto psicologico ai familiari dei caduti (e in prospettiva ai combattenti),
      • memoriale a Kiev e attività educative.
    • L’obiettivo è creare una rete di supporto umano, soprattutto per i volontari stranieri privi di famiglia sul posto.

    9. Messaggio finale ai giovani europei
    • Le libertà europee non sono scontate né gratuite.
    • Democrazia, diritti e laicità sono il risultato di secoli di conflitti.
    • Se non vengono difese, possono essere perse.
    • Non viene chiesto di andare a combattere, ma di:
      • prendere consapevolezza,
      • non voltarsi dall’altra parte,
      • sostenere attivamente chi resiste.

    Tono complessivo
    • Lucido, duro, disilluso.
    • Nessuna retorica eroica.
    • Forte senso di solitudine e abbandono da parte dell’Europa.
    • Profonda convinzione che la guerra in Ucraina riguardi il futuro politico e morale dell’Europa, non solo l’Ucraina.

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    • Sean
      Csar
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      A leggere dal riassunto sembra molto interessante. Me lo salvo e lo guarderò con calma.

      Che la guerra odierna (anzi questa ucraina proietta l'evento bellico addirittura nel "futuro", in quanto vengono sperimentati e usati droni, robot...cioè il domani della guerra, quasi questa ne rappresentasse un trampolino) rappresenti un trauma per chi la combatte, con la sua spersonalizzazione tecnologica, alienazione e un fortissimo e profondo impatto sulla psiche, questo lo si ritrova già nelle descrizioni anche letterarie della I GM ed è un filo che percorre tutto il Novecento, col continuo predominio della guerra-tecnica, e arriva fino ai giorni nostri come si vede.

      Sul perchè al fronte percepiscano l'Europa (la sua opinione pubblica) come "indifferente" e "lontana", c'era un articolo di Galli della Loggia giusto stamane sul Corsera che per me coglie una parte del vero: domani lo posto...comunque i soldati hanno ragione: per la Palestina si è manifestato, per la guerra ucraina non si manifesta: è un silenzio che dice molte cose, perchè il tacere è un esprimere ed un esprimersi.
      ...ma di noi
      sopra una sola teca di cristallo
      popoli studiosi scriveranno
      forse, tra mille inverni
      «nessun vincolo univa questi morti
      nella necropoli deserta»

      C. Campo - Moriremo Lontani


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        Nessuno in piazza per l'Ucraina

        Non si manifesta per chiedere ai governi di aiutare Kiev. La resistenza a Putin non sembra più un affare nostro

        di Ernesto Galli della Loggia

        È difficile capire che cosa è successo in questi anni nella mente di tanti italiani, di tanti occidentali. Ma certo qualcosa d’importante è successo se quanto accade da più di tre anni in Ucraina suscita nei più quel freddo distacco vicino all’indifferenza di cui abbiamo prova ogni giorno. E paradossalmente più l’aggressore russo imperversa seminando morte sulle città di quel Paese, più quell’indifferenza cresce. L’opinione pubblica occidentale preferisce voltarsi dall’altra parte, non vedere. Quale diversa forza avrebbero oggi i governi europei nell’opporsi alla politica capitolarda di Trump se le strade delle loro città fossero quotidianamente attraversate da manifestanti invocanti il sostegno a Kiev!

        La cosa ha davvero dello straordinario. Nel caso dello scontro israelo-palestinese, ad esempio, si può pure ammettere, — nonostante che il pogrom del 7 ottobre renda assai difficile non considerare Israele la parte aggredita e quindi la controparte come l’aggressore — comunque, dicevo, in quel caso si può pure ammettere che, anche a causa del complesso e intricato sfondo storico della vicenda, le simpatie dell’opinione pubblica europea si dividano tra i due contendenti.​

        Ma come è possibile qualunque incertezza nel decidere il torto e la ragione per quanto riguarda la guerra che imperversa in Ucraina? Non indica forse ogni cosa nella Russia di Putin l’aggressore? In questo autocrate arcinoto per far assassinare chi osa opporglisi, abituato a muovere guerra ai propri vicini, a ordinare al proprio esercito di rapire i bambini alle famiglie del nemico, incapace di pensare per il suo Paese qualunque politica che non sia il ritorno al feroce imperialismo sovietico, a quella Russia «prigione di popoli» che l’Europa conosce da oltre due secoli?

        Dall’altra parte c’è l’Ucraina che resiste. Davvero ancora qualcuno crede possibile che un popolo mostri la tenacia, la determinazione, il coraggio che gli ucraini dimostrano da oltre tre anni solo perché c’è un governo che glielo ordina? Eppure la maggioranza degli occidentali — in particolare degli europei, alla Russia così pericolosamente vicini — tutto questo non lo vede, non avverte il significato di quanto pure si svolge sotto i suoi occhi. Nei telegiornali di ogni sera assiste impassibile alle scene del lento martirio ucraino come se si trattasse dell’episodio di una serie di Netflix.

        Un tempo non sarebbe stato così. Almeno nella storia d’Europa, infatti, a partire dalla lontana insurrezione ottocentesca della Grecia contro i Turchi fino alle rivolte di Budapest e Praga contro Mosca, passando per la difesa della Repubblica spagnola assalita da Franco, le lotte per la libertà e l’indipendenza combattute dai suoi popoli non hanno mai mancato di suscitare l’emozione, la mobilitazione — spesso la partecipazione diretta — di una parte importante dell’opinione pubblica del continente. Oggi, invece, la resistenza degli ucraini non appare affatto come una cosa nostra, è radicalmente altro da noi, non ci appartiene. Il suo eroismo — perché di questo si tratta, di eroismo — ci risulta incomprensibile, sembriamo addirittura averne fastidio dal momento che con queste cose l’Europa non ha più nulla a che fare: da molto tempo — essa sembra confessare — l’eroismo non abita più qui.

        Ma se è così è perché ben prima altre cose, molte altre cose, sono scomparse dal nostro orizzonte: alla democrazia umanistica della Costituzione della Repubblica abbiamo sostituito la centralità dell’economia e della tecnica predicata da Bruxelles insieme al soffocante prescrittivismo progressista del suo discorso pubblico; un disprezzo superficiale e tutto ideologico per la politica e le idee ha cancellato nelle nostre scuole il senso vivo e drammatico della storia umana e l’alto insegnamento morale che in esso era racchiuso; egualmente abbiamo lasciato che un pervadente individualismo dissolvesse l’idea dei vincoli che nonostante tutto legano gli individui in una comunità: verso la quale oltre che vantare dei diritti si hanno dei doveri.

        Anche così è stata liquidata l’idea del passato, l’idea di aver ricevuto qualcosa che ci è stato trasmesso e che dovremmo essere impegnati in qualche modo a conservare. In moltissimi di noi è scomparsa la consapevolezza di avere una storia e una patria: ma senza una storia e senza una patria, senza la libertà che per generazioni di europei entrambe hanno significato, che cosa è mai chiamato a difendere l’eroismo? A che cosa serve? E dunque che combattono a fare gli ucraini? Accettino il giogo russo e ci lascino in pace!

        L’eroismo vive e si alimenta nella dimensione della grandezza, della vastità magnanime delle cose e dei sentimenti. Ma ormai da decenni — lo si può dire senza passare per un seguace del generale Vannacci? — da decenni domina in Europa un’aridità spirituale, un’estenuante paralisi politica, un’assenza d’ideali pubblici, un’atmosfera soffocante che ci sta privando di volontà e di propositi. È in questo grigio vuoto, pieno solo d’inutili parole, che si sta consumando il nostro declino storico, che si annuncia la nostra quasi certa futura irrilevanza. È in questo vuoto che l’Ucraina sta morendo.​

        CorSera
        ...ma di noi
        sopra una sola teca di cristallo
        popoli studiosi scriveranno
        forse, tra mille inverni
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        C. Campo - Moriremo Lontani


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          L'editoriale di Galli della Loggia meriterebbe fiumi di inchiostro a commento e cappello, ma molto è stato già detto, è ormai quasi del tutto inutile ripetersi.

          Uno dei punti per cui la gran parte dell'opinione pubblica europea è indifferente (quando non pro Russia) ai destini ucraini, risiede nella seconda parte di quell'articolo e Galli della Loggia lo mette ben in rilievo: l'aver dissolto il senso di appartenza ad una comunità, le radici, la storia, la propria identità:

          Anche così è stata liquidata l’idea del passato, l’idea di aver ricevuto qualcosa che ci è stato trasmesso e che dovremmo essere impegnati in qualche modo a conservare. In moltissimi di noi è scomparsa la consapevolezza di avere una storia e una patria: ma senza una storia e senza una patria, senza la libertà che per generazioni di europei entrambe hanno significato, che cosa è mai chiamato a difendere l’eroismo? A che cosa serve? E dunque che combattono a fare gli ucraini? Accettino il giogo russo e ci lascino in pace!

          alla democrazia umanistica della Costituzione della Repubblica abbiamo sostituito la centralità dell’economia e della tecnica predicata da Bruxelles insieme al soffocante prescrittivismo progressista del suo discorso pubblico
          Come il conservatorismo "istintualmente" insito nel popolo (che in quanto tale si percepisce come "comunità di origine") è diventato "populismo" e, a motivo di questa resistenza al "cambiamento", viene avversato dalle elite, in quanto nella massa vedono una opposizione all'ideologia del "progresso continuo" e dell' "inesausto superamento" del già dato, dissolvendo così ogni "punto fermo", allo stesso modo ogni afflato spirituale che tragga linfa dalle tradizioni patrie viene etichettato come "sovranismo" quando non addirittura "pulsione fascistoide": in un continente senza più valori radicati ed immediatamente definibili, non si può pretendere che adesso si vinca il nichilismo esistenziale ed intellettuale che ovunque alberga, l'indifferenza, l'anomia, e ci si schieri a difesa di una "casa comune" che dentro non ha nulla di radicato, qualcosa di immediatamente riconoscibile e condivisibile, pulsante e vivificante e per cui valga la pena spendersi, vivere e morire: quel vuoto è in fondo uno dei motivi della profondissima crisi di senso e di scopo che ormai frastaglia l'occidente.

          Assunte quelle premesse, è facile anche risolvere le domande retoriche che Galli della Loggia pone all'inizio, ad esempio non rendendosi conto della inutilità (e insensatezza) di impostare ancora la questione in senso etico-morale, con la dicotomia buoni/cattivi, aggressore/aggredito: è proprio questo parametro che l'opinione pubblica ormai rigetta e ripulsa, moto spontaneo e viscerale che nasce da 80 anni di esperienza di americanismo e occidentalismo stratificatisi su ogni sorta di ipocrisia criminale: guerre di aggressione spacciate come umanitarie e democratiche, pulsioni totalitariste, volendo imporre il proprio "modello" a tutto il mondo, non tenendo in conto l'esistenza (legittimata, guarda caso, proprio dalla storia) di qualsivoglia alterità: al momento del dunque, questa enorme trave nell'occhio dell'occidente rende difficile non far soppesare (ai popoli europei) o introiettare (in senso antioccidentale e antiamericano, per come si sono squadernati negli ultimi 8 decenni) le "ragioni" della Russia: alla favoletta dei buoni (l'occidente) contro i "cattivi" (tutti gli altri) non crede più nessuno - e rifiutata questa propaganda, difatti non resta più niente dell'occidente, non è nemmeno più individuabile nè geograficamente nè politicamente e soprattutto valorialmente.

          Le elite fanno appelli ai "valori" europei, ma a quale moto sentimentale o di appartenenza si vuol far ricorso? Ci si può stringere a "coorte" attorno ai "valori" del "mercato comune"? O a difesa di quel ciclopico organismo disanimato, fatto di regole indecifrabili, ideologie astratte, algide elencazioni burocratiche che è l'UE? A nome di chi parlano le von der Leyen? Oligarchie che vanno da tempo per i fatti loro, ma adesso che è il momento di voltarsi e saggiare quante schiere sei capace di portarti dietro in una lotta per la "sopravvivenza", raggelante, ma non inattesa o sorprendente, giunge la visione: nessuno ti segue, c'è il deserto alle spalle e, quel che è peggio, anche davanti.
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            Attentato a Bondi Beach, a Sydney: «Almeno 10 morti e 18 feriti». Era in corso la festa ebraica di Hanukkah

            Sparatoria a Bondi Beach, Sydney, una delle spiagge più famose d'Australia, mentre era in corso un festeggiamento ebraico: secondo quanto riferito dalla polizia, almeno 10 persone sono morte e altre 18 sono rimaste ferite. «Neutralizzati» i due killer: uno di loro è stato ucciso dalla polizia​

            Attentato a Bondi Beach, a Sydney, la spiaggia più famosa d'Australia.

            Mentre si avvicinava la prima serata della festività ebraica di Hannukkah, intorno alle 18.40, ora di Sydney - le 8.40 di domenica mattina, in Italia - due persone hanno iniziato a sparare sulla folla.​

            Secondo un primo bilancio ufficiale, i morti sono almeno10, i feriti almeno 18.

            La polizia ha detto di aver «neutralizzato» due persone sospette. Dei due attentatori, uno è stato ucciso (e fa parte del conteggio sul numero dei morti), mentre l'altro versa in condizioni critiche (e anche lui è conteggiato nel numero totale dei feriti diffuso dalla polizia).

            Tra le vittime, secondo quanto riferito da un portavoce della comunità ebraica locale al Times of Israel, c'è anche il rabbino di Sydney Eli Schlanger.

            La dinamica

            Secondo quanto è possibile ricostruire attraverso i diversi video apparsi sui social, due attentatori - uno vestito completamente di nero; l'altro con una maglia nera e pantaloni bianchi - arrivano a Bondi Beach poco dopo le 18:30, ora locale.

            Iniziano a sparare decine di colpi, seminando il panico nella folla, che inizia a fuggire.

            Nei video si vedono diverse persone a terra, coperte di sangue: alcune - immobili - al di fuori di una vettura bianca, altre intorno a tavolini da camping.

            I due attentatori, a quel punto, si dividono: mentre uno resta su un ponte pedonale che collega il parcheggio alla spiaggia, sparando da posizione rialzata, l'altro si dirige su una stradina che corre parallela alla linea di costa, sotto il ponte stesso, per continuare a sparare.

            L'uomo che disarma l'attentatore

            A quel punto - come mostrato da un altro filmato - uno dei killer viene disarmato da un passante. Approfittando di un momento di distrazione del killer, un uomo infatti riesce a prendere al collo l'attentatore, e a disarmarlo.

            Non è chiaro poi se l'uomo - che punta il fucile verso l'attentatore - gli spari (ferendolo leggermente) o non lo faccia, né perché abbia deciso - in questo secondo caso - di non farlo.

            Si vede però l'attentatore allontanarsi, lentamente; mentre l'uomo che lo ha disarmato appoggia a un albero il fucile utilizzato dal killer.

            Lo sparatore si sposta a quel punto sul ponte, dove si trova il suo complice.

            Ed è lì che viene poi raggiunto dagli spari delle forze dell'ordine, a quel punto accorsi in massa per porre fine alla sparatoria.​

            La festa ebraica di Hanukkah e l'ira di Israele

            Nella popolare spiaggia erano in corso celebrazioni per il primo giorno della festività ebraica di Hanukkah. Secondo quanto riportato dalla Bbc, un volantino digitale dell'evento, denominato Chanuka by the Sea 2025, indica che si sarebbe dovuto tenere vicino al parco giochi per bambini della spiaggia a partire dalle ore 17 di domenica.

            Il presidente israeliano Isaac Herzog ha condannato la sparatoria, definendola un «crudele attacco contro gli ebrei» e ha esortato le autorità
            australiane a «combattere contro l'enorme ondata di antisemitismo che sta affliggendo la società australiana».

            Più dure le parole del ministro degli Esteri israeliano, Saar: «Oggi si sono realizzati gli auspici di chi chiedeva di "globalizzare l'intifada". Il governo australiano, che aveva ricevuto innumerevoli segnali di allarme, deve finalmente prendere coscienza di quanto sta avvenendo. Questo non è che il risultato finale degli attacchi antisemiti che si sono visti, negli ultimi due anni, in Australia».

            «Il moltiplicarsi di crisi, le tensioni croniche in Medio Oriente, il dramma delle popolazioni in ostaggio dei conflitti, il ciclo di attacchi-vendette-ritorsioni formano una miscela tossica che si trasforma in una forte spinta a colpire», spiega Guido Olimpio, nella sua analisi.

            Le testimonianze

            «Pensavamo fossero fuochi d'artificio, ma non lo erano, era qualcosa di molto peggio», ha detto ad Abc News Elizabeth Mealey, ex giornalista, che
            stava cenando in un ristorante vicino alla spiaggia quando ha sentito degli spari.

            «La gente ha iniziato a correre verso la spiaggia, è stato il panico. La gente se ne stava lì ferma, senza sapere cosa stesse succedendo, è spaventoso. Ci è sembrato che ci sia voluto molto tempo per sentire una sirena. È un pandemonio e non sappiamo davvero cosa stia succedendo. A questo punto, diamo per scontato che sia finita, ma nessuno lo sa davvero», ha concluso. «È terrificante».

            «Io e la mia coinquilina francese stavamo passeggiando proprio sul tratto di spiaggia dov’è successo tutto», ha detto invece al Corriere Letizia Prete, studentessa italiana di 25 anni. «All’improvviso si sono sentiti dei botti e abbiamo capito subito che erano spari. Nel giro di un minuto la spiaggia che era piena di gente si è svuotata. Le persone correvano per scappare via da lì e correndo inciampavano, cadevano, c’era un gran caos e quelli continuavano a sparare. Non ho visto sangue o morti, ho pensato solo a scappare».​

            CorSera
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            C. Campo - Moriremo Lontani


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            • Arturo Bandini
              million dollar boy
              • Aug 2003
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              ora e nel prossimo futuro vedremo a cosa ha portato la narrazione pro pal, sono sicuro che assisteremo a una nuova fase di attentati islamici in grande stile.
              Questo era l'intento di Hamas attaccando israele: suscitare una reazione contro i palestinesi per rinsaldare l'odio islamico e le cellule silenti

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