Coppa Italia per pochi: ma siamo sicuri che questa formula funzioni?
Il format attuale è lacunoso e tiene la gente lontana dagli stadi. Per provare a imitare la Coppa d’Inghilterra serve soprattutto il coraggio di coinvolgere le grandi da subito
La Coppa Italia di questi tempi mette sempre una certa tristezza. Partite così così, squadre di serie A rimaneggiate (o svogliate o disinteressate, o tutto insieme), stadi vuoti, collocazioni temporali assurde (Genoa-Ascoli in un martedì di gennaio alle 18 non è proprio un invito a spendere soldi e andare allo stadio), televisioni (da anni se ne occupa la Rai) che fanno salti mortali per rendere interessante un prodotto che non lo è. Addirittura, Var e Goal Line Technology che entrano in scena solo agli ottavi di finale. Storia vecchia: si ammirano le leggendarie storie di certi underdog inglesi o francesi o tedeschi, ma quando tocca a noi dare un po’ di verve alla Coppa nazionale restiamo al palo, con i soliti difetti. «Non capisco perché la vostra Coppa abbia poco appeal», disse José Mourinho quando arrivò in Italia. Era il 2008. Da allora non è cambiato nulla. E i motivi glieli si potrebbe spiegare così.
Il primo problema è il coinvolgimento delle grandi solo al quarto turno, quello iniziato martedì. Certo, a volerlo sono gli stessi club, soffocati da calendari super intasati. Resta il fatto che i primi turni, con tutto il rispetto per chi li gioca, interessano, appunto, solo a chi li gioca. Se si vuole riproporre la stessa drammaticità e l’imprevedibilità della Coppa d’Inghilterra, dovremmo avere invece il coraggio di far giocare tutte le grandi in dal primo turno, magari a sorteggio libero, con la possibilità di un Inter-Juve fin dal primo turno. Follia? Ingenuità? Forse. Ma poi non lamentiamoci di non avere le nostre storie leggendarie di piccole squadre arrivate alla gloria.
Un altro problema è la definizione di chi gioca in casa: il criterio è tecnico, e dunque privilegia le squadre più forti. Risultato? Stadi deserti. Qui si torna alla questione di prima: calendari intasati, alti costi dei biglietti, partite con poco appeal, trasmissione televisiva in chiaro. Per capirci: Lazio-Cremonese agli ottavi si giocherà in un Olimpico semivuoto; Cremonese-Lazio, se non altro, offrirebbe ai tifosi locali la possibilità di vedere una grande dal vivo, magari in uno stadio pieno e più “televisivo”, per un prodotto più spendibile (e sappiamo bene quanto questo serva al nostro movimento). Senza contare, per tornare al primo punto, che aumenterebbero un po’ le chance degli underdog di avanzare.
Un altro bel mistero è il perché, invece che con la partita secca come in tutti gli altri turni, la semifinale si giochi improvvisamente con andata e ritorno. Non è gravissimo, ma restituisce un senso di confusione di cui si farebbe a meno. L’altro grosso problema è la collocazione temporale della fase decisiva, tutta in inverno salvo la finale, che, in un chiaro controsenso tecnico, si gioca oltre due mesi dopo il ritorno delle semifinali. Il motivo è sempre quello: i calendari permettono di piazzare la Coppa solo ora o in estate. Ma l’estate è momento di preparazioni e mille amichevoli che portano soldi. Con questo sistema organizzativo non c’è scampo: gli spalti resteranno freddi e vuoti, che si giochi al pomeriggio o che si giochi alla sera.
Una svolta potrebbe forse arrivare dalla riduzione della serie A da 20 a 18 squadre, passaggio ritenuto da molti necessario anche per altri motivi. Con quattro weekend liberi in più se ne potrebbero dedicare (all’ inglese) almeno un paio alla Coppa Italia. Non è una certezza, ma può essere una via.
Un’altra via può essere aumentare il premio aggiuntivo per chi la vince. Oggi conquistare la Coppa Italia garantisce una presenza sicura in Europa League. Anni fa però si parlò di assegnare addirittura un posto Champions. L’obiezione, sensata, è tuttavia che una competizione dove giocano squadre spesso rimaneggiate non può avere una ricaduta così pesante sul torneo più importante di tutti. Corretto. Resta il fatto che il calcio in un pomeriggio d’inverno dentro stadi vuoti diventa fatalmente brutto, a prescindere dalla qualità delle partite. Risollevare il calcio italiano non è facile, ma rinunciarci in partenza con scelte simili è un peccato gravissimo.
CorSera
Il format attuale è lacunoso e tiene la gente lontana dagli stadi. Per provare a imitare la Coppa d’Inghilterra serve soprattutto il coraggio di coinvolgere le grandi da subito
La Coppa Italia di questi tempi mette sempre una certa tristezza. Partite così così, squadre di serie A rimaneggiate (o svogliate o disinteressate, o tutto insieme), stadi vuoti, collocazioni temporali assurde (Genoa-Ascoli in un martedì di gennaio alle 18 non è proprio un invito a spendere soldi e andare allo stadio), televisioni (da anni se ne occupa la Rai) che fanno salti mortali per rendere interessante un prodotto che non lo è. Addirittura, Var e Goal Line Technology che entrano in scena solo agli ottavi di finale. Storia vecchia: si ammirano le leggendarie storie di certi underdog inglesi o francesi o tedeschi, ma quando tocca a noi dare un po’ di verve alla Coppa nazionale restiamo al palo, con i soliti difetti. «Non capisco perché la vostra Coppa abbia poco appeal», disse José Mourinho quando arrivò in Italia. Era il 2008. Da allora non è cambiato nulla. E i motivi glieli si potrebbe spiegare così.
Il primo problema è il coinvolgimento delle grandi solo al quarto turno, quello iniziato martedì. Certo, a volerlo sono gli stessi club, soffocati da calendari super intasati. Resta il fatto che i primi turni, con tutto il rispetto per chi li gioca, interessano, appunto, solo a chi li gioca. Se si vuole riproporre la stessa drammaticità e l’imprevedibilità della Coppa d’Inghilterra, dovremmo avere invece il coraggio di far giocare tutte le grandi in dal primo turno, magari a sorteggio libero, con la possibilità di un Inter-Juve fin dal primo turno. Follia? Ingenuità? Forse. Ma poi non lamentiamoci di non avere le nostre storie leggendarie di piccole squadre arrivate alla gloria.
Un altro problema è la definizione di chi gioca in casa: il criterio è tecnico, e dunque privilegia le squadre più forti. Risultato? Stadi deserti. Qui si torna alla questione di prima: calendari intasati, alti costi dei biglietti, partite con poco appeal, trasmissione televisiva in chiaro. Per capirci: Lazio-Cremonese agli ottavi si giocherà in un Olimpico semivuoto; Cremonese-Lazio, se non altro, offrirebbe ai tifosi locali la possibilità di vedere una grande dal vivo, magari in uno stadio pieno e più “televisivo”, per un prodotto più spendibile (e sappiamo bene quanto questo serva al nostro movimento). Senza contare, per tornare al primo punto, che aumenterebbero un po’ le chance degli underdog di avanzare.
Un altro bel mistero è il perché, invece che con la partita secca come in tutti gli altri turni, la semifinale si giochi improvvisamente con andata e ritorno. Non è gravissimo, ma restituisce un senso di confusione di cui si farebbe a meno. L’altro grosso problema è la collocazione temporale della fase decisiva, tutta in inverno salvo la finale, che, in un chiaro controsenso tecnico, si gioca oltre due mesi dopo il ritorno delle semifinali. Il motivo è sempre quello: i calendari permettono di piazzare la Coppa solo ora o in estate. Ma l’estate è momento di preparazioni e mille amichevoli che portano soldi. Con questo sistema organizzativo non c’è scampo: gli spalti resteranno freddi e vuoti, che si giochi al pomeriggio o che si giochi alla sera.
Una svolta potrebbe forse arrivare dalla riduzione della serie A da 20 a 18 squadre, passaggio ritenuto da molti necessario anche per altri motivi. Con quattro weekend liberi in più se ne potrebbero dedicare (all’ inglese) almeno un paio alla Coppa Italia. Non è una certezza, ma può essere una via.
Un’altra via può essere aumentare il premio aggiuntivo per chi la vince. Oggi conquistare la Coppa Italia garantisce una presenza sicura in Europa League. Anni fa però si parlò di assegnare addirittura un posto Champions. L’obiezione, sensata, è tuttavia che una competizione dove giocano squadre spesso rimaneggiate non può avere una ricaduta così pesante sul torneo più importante di tutti. Corretto. Resta il fatto che il calcio in un pomeriggio d’inverno dentro stadi vuoti diventa fatalmente brutto, a prescindere dalla qualità delle partite. Risollevare il calcio italiano non è facile, ma rinunciarci in partenza con scelte simili è un peccato gravissimo.
CorSera
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