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Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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    Napoli, Gattuso: un trionfo nato da fatica e dolore

    La vittoria della Coppa Italia arriva dopo un periodo delicatissimo del tecnico, che però nonostante il dolore per la morte della sorella ha dato tutto se stesso nel lavoro per la squadra

    Martedì 2 giugno Rino Gattuso era arrivato di buon mattino al centro di allenamento del Napoli, a Castel Volturno: c'era da preparare il ritorno in campo dopo l'interminabile pausa per pandemia, la strana Coppa Italia senza pubblico da provare a vincere con mille pensieri in testa. Uno era terribile: Francesca, la sorella minore che sentiva al telefono ogni sera, chiusa in una stanza dell'ospedale di Busto Arsizio a combattere col diabete. Era una chiamata fissa, dolce e straziante. La chiamata di mamma Costanza, mentre lui studiava come innescare Insigne e Mertens, come eliminare l'Inter di Conte e qualificarsi per la finale, non lo colse impreparato: sapeva che prima o poi sarebbe successo.

    A febbraio il dolore si era già incastrato in mezzo alle partite, dopo la partita con la Sampdoria a Genova: avevano operato Francesca e c'era da correre da lei. Anche stavolta c'era da infilarsi in macchina, però con un viaggio più lungo e con la consapevolezza dell'irrimediabile. Il vice Gigi Riccio, un fratello aggiunto come si chiamano tra loro, restava a incitare la squadra ammutolita: "Correte, non fermatevi, il Mister vuole così".Nel primo pomeriggio Rino era già a casa, a Gallarate, a confortare gli altri con la sua stessa presenza, Mister anche in famiglia, punto di riferimento, il pilastro che regge tutto, mentre più di milleduecento messaggi di solidarietà gli intasavano il telefonino: l'intero arco costituzionale del calcio mondiale, dal presidente dell'Uefa Ceferin a quello della Fifa Infantino, a Conte e Sarri, i due colleghi ai quali avrebbe negato la Coppa Italia, ma ancora nessuno lo sapeva.


    Il pomeriggio di giovedì 4 giugno era di nuovo a Napoli e venerdì 5 a Castel Volturno dalla squadra: un minuto di silenzio prima dell'allenamento e poi corse senza fermarsi, come e più del solito, così vuole il Mister. Venerdì pomeriggio, il giorno del funerale, era nella parrocchia di Schiavonea, il paese da cui partì ragazzino per il provino a Perugia, quando Francesca era una bambina di otto anni. Sabato 6 era di ritorno a Napoli: gli striscioni dei tifosi, in giro per la città, erano gli abbracci virtuali, in tempi di Covid: "Ringhio, vicini al tuo dolore".

    Una sola settimana dopo, sabato 13 giugno al San Paolo deserto, eliminava l'Inter di Conte: questa squadra sa soffrire, il commento generale, e mai come stavolta non era solo un luogo comune. Rino aveva alzato gli occhi al cielo, dedica pudica quanto esplicita e chiarissima a chiunque.

    Mercoledì 17 giugno ha vinto la Coppa Italia, ingabbiando la Juventus di Sarri già idolo di Napoli. Quando in campo ha brevemente arringato la squadra con De Laurentiis accanto, richiamando tutti al proprio dovere, erano passati appena sedici giorni dalla drammatica mattina di Castel Volturno. Sono stati sedici giorni lunghi, in cui l'Italia frastornata dalla pandemia ha trovato un uomo in cui identificarsi. Sedici giorni da Mister


    L'elogio della serietà

    Il messaggio più importante del primo trofeo di Rino Gattuso allenatore è il suo elogio della fatica e della serietà. Per raccontare la Coppa Italia appena vinta, ha detto subito una frase semplice e tuttavia non banale, ingoiando le lacrime al ricordo ancora lacerante di Francesca, che non c'è più e che per lui c'è sempre, ogni volta che socchiude gli occhi e pensa a lei: "Se fai le cose per bene, raccogli i frutti". In tempi di tuttologia sui social, mondo al quale è per il momento refrattario, e di facili slogan per compiacere chi ascolta, prassi alla quale è da sempre allergico, l'equazione tra il lavoro duro e i risultati è quasi un concetto rivoluzionario: nessuno ti regala qualcosa, nella vita, ma il premio alla serietà alla fine arriva. Rino ha sempre rispettato gli altri, ma soprattutto ha rispettato e rispetta il lavoro, come hanno insegnato a lui e alle sorelle Ida e Francesca papà Franco e mamma Costanza, fin da quando era piccolo a Schiavonea, la marina di Corigliano Calabro, e non immaginava che dal Perugia di Gaucci ai Rangers Glasgow di Gascoigne alla Salernitana di Aliberti avrebbe spiccato il volo verso il Milan di Berlusconi, allora sì grande. Non lo immaginava perché conviene non immaginare, conviene fare. Pochi minuti dopo avere accarezzato la coppa, pensava già alle 12 partite di campionato che rimangono al Napoli, e alla Champions col Barcellona: ecco il pugno a un altro stereotipo, quello del terrone scansafatiche. Se Sarri, con la sua lunghissima carriera a tappe dai dilettanti in su, è l'emblema di chi si è davvero fatto da sé, Gattuso è il simbolo della gavetta, che pure avrebbe potuto evitare, essendo uno tra i ventitré campioni del mondo di Lippi, un eroe di Berlino 2006: "Fare l'allenatore è un altro mestiere. Bisogna ripartire daccapo. Non ci si improvvisa mai, in nessun ambito". Lo disse il 27 febbraio 2013, giorno del suo debutto vincente in panchina da allenatore-giocatore col Sion, in Coppa di Svizzera contro il Losanna, un 2-0 che non sarebbe passato alla storia. Non se n'è mai dimenticato.

    Tutto cominciò a Losanna


    Il campione del mondo non si è affatto improvvisato. Anche se ha 42 anni, età giovane per un tecnico, allena ormai da 7 abbondanti. E da quella partita a Losanna allo Stade de la Pontaise, con le chiazze di neve a bordocampo e duemila spettatori scarsi, di stadi di provincia o semideserti ne ha visti parecchi. In fondo l'Olimpico chiuso al pubblico la sera della sua prima coppa vinta, con l'eco dei suoi urlacci amplificati dal vuoto delle tribune, pare quasi un richiamo subliminale alla scarnificazione del calcio, che per passione si pratica spesso negli scenari più sperduti e in assenza di pompose sovrastrutture. La gavetta di Rino cominciò in contesto alpino, quando chiuse la carriera da calciatore in Svizzera, dove si era trasferito, dopo la malattia agli occhi, per sottrarsi a un'uscita di scena che considerava troppo precoce, rifiutando di entrare nello staff di Allegri al Milan. Al Sion giocò un ottimo girone d'andata, chiuso al secondo posto, ma il percorso era già un altro. Il presidente Constantin, architetto con fama di divora-allenatori, lo volle in panchina salvo mangiarselo subito. La strada, comunque, era tracciata, anche se lo aspettava al Palermo l'altro divoratore di mister per definizione: Maurizio Zamparini, estate 2013: "Come faccio a dire di no a una piazza del genere?". L'epilogo era scritto: contribuì alla costruzione della squadra che sarebbe poi stata promossa in serie A con Iachini, ma durò 8 partite. Saltò ai primi, inevitabili dissidi su tattica e formazione col presidente: "I consigli li ascolto e il datore di lavoro è lei, ma la formazione la faccio io".


    A Creta e Pisa dirigente suo malgrado

    La gavetta di Rino è fissata in alcuni fotogrammi folgoranti. A Palermo, in un giorno libero, si mette in testa col suo vice, l'amico di adolescenza Gigi Riccio, di recuperare una palestra in dotazione al club, abbandonata al degrado con tanto di attrezzi in disuso. Ci riusciranno e non sarà la sola eredità, come dimostra il lungo abbraccio in campo all'Olimpico con lo juventino Dybala, che non ancora ventenne, in Sicilia, fu brevemente allenato da lui. All'epoca Rino gli disse che doveva svegliarsi e fare sempre la differenza, perché era un campione: quell'invito non è rimasto evidentemente inascoltato. Secondo fotogramma a Creta, autunno 2014: il presidente dell'Ofi, Mantos Poulinakis, suona al citofono del piccolo appartamento in affitto sul lungomare di Heraklion, si apparta con lui sul balcone e lo implora di non dimettersi. Rino non ha avuto paura a rimettersi in gioco in un campionato periferico e ignoto, però ha scoperto presto che non ci sono soldi. I calciatori non greci (metà squadra) vorrebbero mollare, lui paga alcuni mesi di stipendio e si dimette ancora, ma stavolta sono gli ultrà a implorarlo sotto le finestre. Finché, al rientro dalla sosta natalizia, non trova più metà rosa, capisce che non c'è proprio niente da fare e se ne va due mesi prima del fallimento del club.

    Terzo fotogramma, settembre 2015. Serie C col Pisa, stadio di Arezzo, derby toscano non privo di aculei. Un tifoso avversario non sa più come insultarlo: "Gattuso, sei più basso di Capuano!", gli esce dando un'occhiata a Eziolino, mister dell'Arezzo, che non è esattamente un gigante. A Rino scappa un sorriso storto, sotto la barba: finirà 1-1. Sorriderà anche a fine campionato, dopo la promozione in B ai play-off contro il Foggia di De Zerbi. Ma il quarto fotogramma, del 2016, è meno allegro: altra crisi societaria profonda, altri stipendi aleatori, altra crisi gestita da dirigente e non solo da allenatore, con l'aiuto imprescindibile del segretario Piero Baffa e dell'inseparabile Riccio. La retrocessione del Pisa, per quanto dignitosa e a lungo con la migliore difesa del campionato, è inevitabile. L'eredità, grazie al puntiglio di Gattuso nell'evitare ambigui passaggi di proprietà, sarà l'arrivo della famiglia Corrado. E la gratitudine dei tifosi e dei calciatori di quella stagione.

    La Primavera del Milan: un passaggio decisivo

    Quinto fotogramma, fine estate 2017. Stadio di Solbiate Arno, a un paio di chilometri da Milanello. Gattuso, chiamato dal ds Mirabelli, ha appena accettato di guidare la Primavera del discusso Milan cinese di Yonghong Li e Fassone: "Perché mi manca ancora qualcosa, nel percorso di crescita: devo lavorare coi giovani". Sarà, ma è come passare dalle Maldive all'Idroscalo, per uno che in maglia rossonera ha vinto proprio tutto e che lancia urlacci stereofonici nel vuoto di quello stadietto coi gradoni in cemento e poche decine di spettatori, dove a volte lui resta dopo la partita ad affinare la tecnica di ragazzotti che spesso potranno fare al massimo la Serie C. Invece no. Invece sono 12 partite preziosissime, queste con la Primavera. Ne escono rafforzate umanità e sensibilità, dote innata che il mondo del calcio gli ha riconosciuto in occasione del recente lutto. A Solbiate c'è sempre la famiglia sui gradoni: la moglie Monica, i figli Gabriela e Francesco, la cugine Rossella, l'amico d'infanzia Salvatore suo braccio destro, Piero ormai suo consulente di fiducia e il socio Andrea. E poi Francesca, col piccolo Alessandro e il marito Marco. Sesto fotogramma: Francesca che lo saluta dal cancello, lui che prende in braccio Alessandro. Il resto non è più gavetta. Il Milan vero al posto di Montella. La terza media punti dopo Allegri e Sarri. Le finali di Coppa Italia e di Supercoppa perse con la Juventus. La qualificazione alla Champions smarrita per un solo punto in meno di Inter e Atalanta. L'addio, lasciando due anni di stipendio all'ad Gazidis (che chissà se sta capendo chi si è fatto sfuggire).

    L'approdo al Napoli al posto di Ancelotti. O forse sì, forse è ancora gavetta, perché per chi tesse l'elogio della fatica la gavetta non finisce mai. Settimo fotogramma. L'abbraccio fortissimo, dopo la Coppa Italia, con Gigi Riccio, napoletano, ex centrocampista di Piacenza, Ternana e Sassuolo. Si sono conosciuti da ragazzi, nel convitto del Perugia, e insieme hanno vissuto parte dell'avventura a Glasgow. Di rado, durante la partita, si vede un'intesa simile tra un allenatore e il suo vice: insieme all'affiatato staff, studiano e preparano tutto con assoluta meticolosità, insistendo sul principio del passaggio immediato dalla fase difensiva a quella offensiva e viceversa. Non c'è nulla di casuale nel gioco del Napoli, né tanto meno la vocazione al catenaccio. L'abusata etichetta di Gattuso allenatore tutto cuore e grinta, trasposizione impropria del mediano campione del mondo peraltro non privo di tecnica, è smentita dal sofisticato equilibrio tattico esibito in Coppa Italia contro Inter e Juventus e dalla vittoria sfiorata in Champions contro il Barcellona. Ma soffrire bisogna, teorizza Rino, e non ci fa più caso. Basta che parli il campo.

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    ...ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
    forse, tra mille inverni
    «nessun vincolo univa questi morti
    nella necropoli deserta»

    C. Campo - Moriremo Lontani


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      Napoli, multe e stipendi congelati: la vittoria in Coppa Italia sblocca tutto


      La cura Gattuso ed il conseguente trionfo dell'Olimpico, hanno chiuso i contrasti tra squadra e club che avevano caratterizzato questa stagione

      Dalle parole ai fatti. "L'era di Gattuso ha cancellato quella precedente e per questo non c'è più bisogno di parlare delle questione delle multe. Non capisco perché bisogna pensare ancora a una situazione che io ho invece mentalmente già rimosso, grazie al grandissimo lavoro del nostro nuovo tecnico e alla professionalità che stanno dimostrando con la sua guida tutti i giocatori". L'argomento è chiuso, insomma. Lo ha promesso nella gioiosa notte dell'Olimpico Aurelio De Laurentiis, che sta per pagare a Insigne e compagni pure il primo dei tre stipendi congelati: quello di marzo. C'è voluto il successo ai rigori contro la Juve per voltare definitivamente pagina, riportando unità e tranquillità all'interno del Napoli. Dopo il rinnovo del contratto di Mertens, ufficializzato mercoledì mattina, c'è in arrivo anche quello di Zielinski e probabilmente di Maksimovic, uno degli eroi della sfida che ha permesso al club azzurro di mettere un altro trofeo nella sua bacheca, dopo 5 anni e mezzo di attesa.


      Dalla bufera al sereno. S'è conclusa pure la lunga guerra fredda tra società e giocatori, spazzata via dalla vittoria della Coppa Italia dopo oltre 7 mesi avvelenati dalle tensioni interne. Tutto era iniziato con l'ammutinamento dello scorso 5 novembre, quando la squadra in blocco s'era rifiutata di andare in ritiro alla fine della gara di Champions League contro il Salisburgo allo stadio San Paolo. Insigne e compagni si erano ribellati alla decisione di Aurelio De Laurentiis e avevano di fatto delegittimato contemporaneamente anche Carletto Ancelotti, esonerato poi a metà dicembre proprio per la caotica situazione che s'era creata nello spogliatoio del Napoli.

      Gli azzurri s'erano infatti ribellati anche alle inevitabili multe (2 milioni complessivi) ricevute dal loro club e la vicenda si è trasformata da allora in un tormentone, con il contenzioso tra le due parti che era finito addirittura in tribunale. L'arrivo di Gattuso era servito per trasformare lo scontro frontale in una tregua. Ma la pace è stata fatta soltanto adesso, grazie al successo conquistato contro la Juventus. In mezzo al campo, subito dopo il fischio finale, il presidente ha promesso infatti pubblicamente al gruppo che chiuderà la vicenda in maniera bonaria. Ringhio ha rimesso ordine nello spogliatoio e in campo: l'era delle incomprensioni è finita.

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        Juventus, Sarri sotto attacco. La sorella di Ronaldo: "Come si può giocare così..."

        La sconfitta con il Napoli ha confermato quella mancanza di gioco emersa anche prima del lockdown. Ma il tecnico è fiducioso: ''Gli attaccanti torneranno a saltare l'uomo, e allora...".

        Quella di Maurizio Sarri è una presa d'atto: "Siamo abituati a risolvere le partite con le giocate individuali di giocatori che vogliono la palla sui piedi e poi decidono. Ma in questo momento ai tre davanti mancano brillantezza e guizzo. Il nostro problema è essenzialmente quello".

        Mesi e mesi di lavoro hanno dunque portato a una conclusione: la Juve non ha un impianto di gioco in grado di compensare eventuali défaillances dei singoli. In questa fase, Ronaldo è appesantito, Dybala si barcamena ("Non dimentichiamoci che è stato positivo per 50 giorni al coronavirus") e Douglas Costa è Douglas Costa, uno che "al di là del lockdown, è tutto l'anno che ha problemi fisici". Considerato che Higuain è tornato dall'Argentina in condizioni disastrose e che Bernardeschi è un enigma anche per se stesso, ecco che molte delle risposte al doppio zero della Juve in Coppa Italia diventano lampanti.


        Ma è tutta colpa di Sarri? In parte sì, ma non del tutto. Lo è senz'altro per la sorella di Ronaldo, Elma, che si è affrettata a dire la sua sui social: "Cosa altro può fare? Da solo il mio tesoro non fa miracoli. Non capisco come si possa giocare così comunque... Testa alta, di più non potevi fare".


        Evidentemente Sarri non sarà d'accordo, ma è pure vero che della finale dell'Olimpico ha dato una versione non del tutto condivisibile: "Non siamo stati una squadra senz'anima, anzi. Come determinazione c'eravamo, non si può essere corti e compatti come siamo stati noi se non ci sono applicazione e concentrazione. Il Napoli ha meritato di vincere solo perché ha calciato i rigori meglio di noi". Il campo ha dato, per la maggior parte degli osservatori, un'impressione diversa, ma è un dato di fatto che l'equilibrio sia durato fino alla giostra finale. "Ci ho lasciato anche la Coppa di Lega inglese, all'ultimo rigore. Fa meno male perdere nei 90'".


        La versione di Sarri è dunque chiara: vede nella Juve un senso collettivo efficiente che però il tono atletico generale, e in particolare quello degli attaccanti, non asseconda. "Non mi sembra che il Napoli stesse meglio di noi: abbiamo giocato tutti e due sotto ritmo, ma il gioco lo abbiamo fatto noi, mantenendo una costante supremazia territoriale. Juve sgonfia? Come tutti. E da qui in avanti vi toglierete la voglia di squadre sgonfie, visto che il caldo aumenterà e di conseguenza i ritmi non si alzeranno. Noi abbiamo una problematica che penso sia momentanea: abbiamo giocatori che abitualmente saltano l'uomo ma adesso non lo fanno. Ma se saliamo un po' di condizione nelle prossime due o tre settimane, con l'applicazione tattica che abbiamo avuto in queste due partite penso che ne potremo venire fuori piuttosto bene".


        Perché Sarri vede il bicchiere mezzo pieno? Perché è convinto che tra un mese la Juve sarà diversa: dopotutto, quello che importa davvero è arrivare in forma ad agosto, per lo sprint di Champions League, per quella finale a 8 dove molti dei favoriti di partenza non ci saranno e dove altre squadre, tipo il Psg che non gioca da quattro mesi o il Bayern (e il Lipsia) che smetterà di farlo tra due settimane, potrebbero incontrare i problemi che la Juve sta incontrando ora. Il punto interrogativo resta Ronaldo, che da due anni condiziona pesantemente (e per molti aspetti, negativamente) la struttura tattica della Juve.


        Sulla sua intransigenza e sulla sua incapacità di dialogare con i compagni di reparto si sono scornati prima Allegri (che per mezza stagione se la cavò grazie a Mandzukic) e poi Sarri. Ma se Cristiano non "ricambia" segnando un gol dopo l'altro, sono guai. Per altro, la retorica del super atleta che non pensa ad altro che ad allenarsi è stata contradetta dalla condizione fisica con cui CR7 è tornato da Madeira dove pure, al contrario di quasi tutti i giocatori di serie A, ha avuto la possibilità di lavorare regolarmente su un campo da calcio vero. Ma oggi, Ronaldo non sta bene. "I riscontri che abbiamo dicono che ha buoni numeri nella corsa prolungata ma non a livello di accelerazioni e velocità massima", spiega Sarri. "Questo purtroppo è normale, dipende dalla disabitudine alle partite, ma penso sia un problema transitorio". Un problema, in ogni caso, che è già costato una Coppa Italia.

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          Juventus: non è mai stata la sua squadra, ma ora Sarri ha smesso di cercarla

          Si è rassegnato presto, quando ha capito che tra i bianconeri pochi amano muoversi senza pallone, sono giocatori elitari, abituati a fare la differenza con doti personali, non con quelle del tecnico

          di Mario Sconcerti

          La Juve di Sarri non c’è mai stata. E credo che a Sarri la Juve incolpi di non averla mai nemmeno cercata. Si è rassegnato presto, quando ha capito che nella Juve pochi amano muoversi senza pallone, sono giocatori elitari, abituati a fare la differenza con doti personali, non con quelle del tecnico.

          Sarri ha pensato che prenderne atto, lasciare lui una parte delle proprie idee, fosse sinonimo di saggezza e maturità. Era in realtà un adattamento che deludeva per prima la società. Sarri non era stato preso per vincere più di Allegri, era stato preso per giocare meglio di Allegri. Rimanendo a metà strada, rinunciando alla sua diversità, chinando il capo davanti alla storia della Juve senza capire che la Juve era invece entrata nella fase in cui cercava esattamente qualcosa che la sbalordisse, Sarri ha perso tutto. È diventato un teorema indimostrabile. Non è nemmeno stato fortunato. Appena arrivato si è trovato addosso cinque focolai di polmonite. Poi problemi di aritmia al cuore, lo curavano anche tra un tempo e l’altro della partita. Poi gli infortuni, poi la confusione del mercato, quella Juve uscita da qualcosa che doveva sempre essere un’altra.


          Ma alla base da parte della dirigenza c’è sempre stato uno sguardo cauto nei confronti di questo allenatore che, o faceva il mago, o proprio non c’entrava niente con il club. Anzi quasi ne distorceva il fascino con le sue maglie scure e il cicchino fisso in bocca, l’aria intelligente da mezzo uomo di mondo che non trova mai l’altra metà, la sua saggezza sincera, non dura, solo ingombrante, inopportuna nella sfinitezza sabauda. Gli hanno dato una squadra confusa dove uno deve giocare ogni minuto e tirare sempre in porta lui. Sono particolari, ma Ronaldo gioca in una posizione che nega alla base il calcio di Sarri. La sua catena di sinistra fece leggenda a Napoli, alla Juve batte sempre addosso a Ronaldo. Sarri oggi è un pensiero sbagliato. Di più, un errore che si avvera. Spero riesca ancora a vincere, ma non so più se ne sia capace, se la squadra lo sia. Torino però non è casa sua.



          CorSera
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          C. Campo - Moriremo Lontani


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            Ronaldo e Sarri, cala il grande freddo (e rispunta l’ombra di Allegri)

            Proprio l’ex allenatore bianconero, sotto contratto fino a fine giugno è uno dei pochi profili di alto livello disponibili nel caso la situazione peggiorasse: la tentazione potrebbe essere quella di richiamarlo e di «bloccare» il suo passaggio al Psg

            Credere che in un’azienda da 94 milioni all’anno come quella di CR7 (dati della rivista Forbes), ci siano dichiarazioni pubbliche lasciate al caso, è impensabile. E quindi le parole date in pasto ai social da Elma Aveiro, sorella di Ronaldo, aprono una crisi dentro la crisi della gestione Sarri, dopo la sconfitta della Juve in Coppa con il Napoli: «Cosa altro può fare? Da solo il mio tesoro non fa miracoli. Non capisco come si possa giocare così comunque... Testa alta, di più non potevi fare».

            Il clan di CR7 ha visto sfumare il trentesimo trofeo di Ronaldo, nel giorno del decimo compleanno di Cristiano junior: dopo quella in Supercoppa contro la Lazio è la seconda sconfitta in due finali con la Juve, dopo i dieci successi di fila tra Real e Portogallo. Da parte del campione — come del resto a Riad — non solo non si sono visti miracoli, ma nemmeno l’ordinaria amministrazione.

            Così, dopo il rigore sbagliato con il Milan, un’altra controprestazione di Cristiano con il Napoli ha messo in luce un problema: l’allenamento in palestra e sul campo del Nacional di Madeira non è bastato per colmare il vuoto di due mesi senza calcio, un periodo di astinenza che Ronaldo — grazie a un fisico eccezionale — non ha mai vissuto prima. (Khedira, lesione parziale all’adduttore della coscia destra, e Alex Sandro, lesione di primo grado del collaterale mediale, invece rischiano di finire qui la stagione). L’allenatore ha spiegato che i numeri a livello di corsa di Ronaldo sono tra i migliori dalla stagione, ma la disabitudine alle partite pesa sul resto dei parametri, come sprint e velocità. Visto e considerato come Cristiano è riemerso dal suo novembre nero, c’è da aspettarsi un ritorno della sua versione migliore? Sì. Anche perché con sedici partite potenziali da giocare, la crisi di oggi può ancora diventare la rivincita di domani.

            Tutto vero, ma anche se nessuno è contento dopo una sconfitta (il presidente Agnelli che premia i giocatori del Napoli resta un’immagine positiva della serata), colpiscono sempre le espressioni stizzite di Ronaldo dopo aver perso, viste anche con Allegri. Proprio l’ex allenatore, sotto contratto fino a fine giugno è uno dei pochi profili di alto livello disponibili nel caso la situazione peggiorasse: la tentazione potrebbe essere quella di richiamarlo e di «bloccare» il suo passaggio al Psg, che sarebbe già legato a un compromesso. Quanto a Ronaldo, colpisce anche l’evidente idiosincrasia per la posizione di centravanti che Sarri gli ha chiesto di occupare con il Milan e dalla quale CR7 si è tenuto distante col Napoli. Quando le cose vanno male, c’è chi ne approfitta come il boss della Liga, Tebas: «Il nostro campionato non si è neanche accorto della partenza di Cristiano». Un’affermazione insensata perché i nove anni di Ronaldo nella Liga hanno contribuito eccome a renderla quello che è oggi, perché è sul lungo periodo che si lascia il segno.

            Ed è proprio quello a cui punta la Juve, per consolidare l’impennata dei ricavi commerciali (più 30%) e bilanciare l’aumento del costo del lavoro, derivato dall’arrivo di CR7 (71% dei ricavi). Un esercizio non facile, che ha condizionato l’ultimo mercato, consegnando a Sarri una squadra con troppi nodi. Che solo il miglior Cristiano può sciogliere: attorno a questo paradosso, tecnico e finanziario, si gioca il futuro della Signora


            CorSera
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              Petrachi sospeso, Roma senza pace

              IL TEMPO (A. AUSTINI) - Non ci si annoia mai a seguire le vicende della Roma. L'ultima puntata di una telenovela non proprio divertente è la sospensione del direttore sportivo Gianluca Petrachi, decisa ieri dopo che lo stesso aveva seguito a bordo campo l'allenamento mattutino della squadra. Sospeso e non licenziato, una roba mai vista, che ora può portare a due soluzioni: un accordo sulla buonuscita con separazione consensuale, oppure una causa in tribunale che potrebbe partire da ambo le parti.

              Pallotta, che già da tempo aveva scaricato il diesse, ha rotto gli indugi dopo aver ricevuto da Petrachi un sms di insulti (scritto in italiano) venerdì scorso e ha deciso di affidare la squadra direttamente a Guido Fienga, come annunciato dal comunicato ufficiale del club. Il Ceo, che ha rapporto diretto con i giocatori e Fonseca e ormai da mesi si occupa anche di calciomercato, è quindi il nuovo plenipotenziario di Trigoria. Sarà affiancato nell’attività di direzione sportiva da Morgan De Sanctis, che ha il patentino da diesse ed è quindi autorizzato anche a svolgere le funzioni burocratiche: ieri il dirigente abruzzese era segnalato a colloquio con l’agente Alessandro Moggi, figlio di Luciano. Ovvero il nemico storico di Franco Baldini, che continua da Londra a trattare giocatori della (e per la) Roma in Inghilterra.


              Petrachi era ormai un uomo solo, si è sentito fatto fuori dalla strategie, invaso nel suo campo e anche negli ultimi giorni ha continuato a sbottare a destra e sinistra, ma non ha intenzione di dimettersi e di lasciare sul tavolo il contratto da 1.2 milioni netti a stagione per altre due stagioni. In meno di un anno si è ritrovato contro diversi giocatori, in parte Fonseca che non gradiva le sue intemerate negli spogliatoi, gli altri dirigenti, la proprietà e persino i collaboratori che si era portato dietro da Torino: il segretario Longo, con cui ha litigato dopo una conferenza stampa in cui attaccò i media, e lo scout Cavallo restano per ora in sella. Ma è evidente che questa è una situazione transitoria, in attesa della cessione del club: Pallotta continua a cercare acquirenti negli Usa, Friedkin, seppur irritato, è ancora alla finestra.

              Intanto Fonseca prepara la ripartenza: ha ritrovato in gruppo Pellegrini mentre si è fermato Mkhitaryan per un lieve affaticamento. Visita ok per Zaniolo dopo l’operazione al naso, ora punta a tornare disponibile nel giro di 15-20 giorni.

              IL TEMPO (A. AUSTINI) - Non ci si annoia mai a seguire le vicende della Roma. L'ultima puntata di una telenovela non proprio divertente è la sospensione del direttore sportivo Gianluca Petrachi , decisa ieri dopo che lo stesso aveva seguito a bordo campo l'allenamento mattutino della squadra. ...
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                Juve senza gol in due partite consecutive, non succedeva dall’ottobre del 2015: colpa di Sarri o della squadra? Manca un centravanti puro alla Gonzalo Higuain

                La Juve è senza rete. Per la prima volta in quasi cinque anni i bianconeri non hanno segnato in due gare consecutive in tutte le competizioni. L’ultima volta era successo nell’ottobre del 2015: pareggi senza gol contro Inter e Borussia Mönchengladbach. Una settimana dopo la sfida coi tedeschi sarebbe arrivato il ko contro il Sassuolo, lo scivolone a -11 dalla vetta e l’unica vera crisi di risultati di questi otto anni di egemonia casalinga. A preoccupare però non è solo il dato in sé. La Juve non segna e non ci va neanche vicino. Non costruisce e non entra in area. Contro il Napoli l’unico tiro degno di nota è stato quello nel primo tempo di Cristiano Ronaldo, propiziato da un errore in disimpegno della difesa di Rino Gattuso. Perché? L’esperimento di CR9 è durato il tempo di pareggiare contro il Milan, poi nella finale di Coppa Italia Ronaldo è tornato stabilmente a sinistra con Paulo Dybala che ha svariato, ma senza mai entrare in area. È mancato un centravanti puro alla Gonzalo Higuain, ancora out per problemi muscolari. Gli unici possibili riferimenti là davanti erano seduti in panchina: Giacomo Vrioni e Marco Olivieri, attaccanti della Juve Under 23. Un po’ poco, con tutto il rispetto. Un segnale, questo, che non tutte le responsabilità sono di Sarri.

                Corriere Torino
                ...ma di noi
                sopra una sola teca di cristallo
                popoli studiosi scriveranno
                forse, tra mille inverni
                «nessun vincolo univa questi morti
                nella necropoli deserta»

                C. Campo - Moriremo Lontani


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                  Originariamente Scritto da Steel77 Visualizza Messaggio
                  Zamparini


                  amichetto mio Zampa!!
                  (prontissimo a rilevare il Palermo con una cordata italo-americana)
                  Originariamente Scritto da SPANATEMELA
                  parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
                  Originariamente Scritto da GoodBoy!
                  ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?


                  grazie.




                  PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

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                    Sarri non è Allegri, ce ne siamo accorti tutti. Non lo è nella capacità di lettura in corsa della partita e dunque nei cambi; non lo è nello studio della rosa, che poi partorisce, dopo una fase di gestazione, soluzioni anche originali; non lo è nella capacità di gestire i giocatori che hanno carriere lunghe e pesanti e che non stanno alle elementari ma all'università, per cui più che un maestro devi essere un professore: duttile, camaleontico, diplomatico, intelligente, capace.

                    Inoltre Sarri sta lì come se assistesse ad un film, spettatore che non si è calato nella parte. Non scatta quella scintilla che trasforma un allenatore in un perfetto ingranaggio del modo di essere e di pensare della Juve: la sete di vittoria, la ferocia interiore nel perseguirla, il non starci ad arrivare secondo, quella tensione continua verso l'unico obiettivo possibile, senza il quale il resto perde di senso. Questa la frusta emotiva, l'unica con la quale puoi condurre questa squadra e comprendere questa società.

                    In Allegri ho visto plasticamente trasformarsi l'acciughina in un cinico, lucidissimo e intelligentissimo allenatore da primato e dunque da Juve: la giacca scaraventata a terra in quel di Lecce (mi pare, vado a memoria) fu il segno della avvenuta trasformazione, del perfetto calarsi nella parte, un abito che gli stava a pennello e che lo ha immesso nella sequela dei suo grandi predecessori (Trapattoni, Zoff, Lippi, Capello, Conte e appunto Allegri per dire dei più recenti).

                    Sarri non c'è, l'uomo non si coinvolge nella missione. Sta alla Juve come il bancario in ufficio: timbra il cartellino, fa il suo con professionalità, termina il lavoro e chi s'è visto s'è visto: sconfitta, vittoria, sono pratiche alla pari che non modificano il suo interiore sentire, perchè la sua vita è fuori da quell'ufficio: non c'è niente di più sbagliato.

                    Sarri deve togliersi la metaforica giacca, sbatterla per terra e rinascere come uomo nuovo pienamente calato nella nuova realtà: nuova per lui ma che ha stilemi e missioni che lo precedono, le più antiche e vincenti del calcio italiano. Ci deve dunque essere un rapporto di osmosi, ci si deve reciprocamente intendere sui fondamentali - che devono essere necessariamente quelli del club: al cuore del senso del gioco non sta il gioco stesso, ma la tensione verso la vittoria e l'emozione conseguente, per cui essere il primo vuol dire essere unico - altrimenti è tutto tempo perso, e parole non che non dicono nulla, pagine da cestinare, seme sterile.

                    E' questa l'anima di cui ormai anche i giornali parlano, di cui anche la critica s'è accorta della mancanza. Ci puoi mettere tutta la scienza del mondo ma se dimentichi di metterci anche tutto te stesso da quel campo di gioco non spunterà nulla. Ha 12 partite per cambiare il corso della storia.
                    Last edited by Sean; 19-06-2020, 08:38:19.
                    ...ma di noi
                    sopra una sola teca di cristallo
                    popoli studiosi scriveranno
                    forse, tra mille inverni
                    «nessun vincolo univa questi morti
                    nella necropoli deserta»

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                      Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                      Sarri non è Allegri, ce ne siamo accorti tutti. Non lo è nella capacità di lettura in corsa della partita e dunque nei cambi; non lo è nello studio della rosa, che poi partorisce, dopo una fase di gestazione, soluzioni anche originali; non lo è nella capacità di gestire i giocatori che hanno carriere lunghe e pesanti e che non stanno alle elementari ma all'università, per cui più che un maestro devi essere un professore: duttile, camaleontico, diplomatico, intelligente, capace.

                      Inoltre Sarri sta lì come se assistesse ad un film, spettatore che non si è calato nella parte. Non scatta quella scintilla che trasforma un allenatore in un perfetto ingranaggio del modo di essere e di pensare della Juve: la sete di vittoria, la ferocia interiore nel perseguirla, il non starci ad arrivare secondo, quella tensione continua verso l'unico obiettivo possibile, senza il quale il resto perde di senso. Questa la frusta emotiva, l'unica con la quale puoi condurre questa squadra e comprendere questa società.

                      In Allegri ho visto plasticamente trasformarsi l'acciughina in un cinico, lucidissimo e intelligentissimo allenatore da primato e dunque da Juve: la giacca scaraventata a terra in quel di Lecce (mi pare, vado a memoria) fu il segno della avvenuta trasformazione, del perfetto calarsi nella parte, un abito che gli stava a pennello e che lo ha immesso nella sequela dei suo grandi predecessori (Trapattoni, Zoff, Lippi, Capello, Conte e appunto Allegri per dire dei più recenti).

                      Sarri non c'è, l'uomo non si coinvolge nella missione. Sta alla Juve come il bancario in ufficio: timbra il cartellino, fa il suo con professionalità, termina il lavoro e chi s'è visto s'è visto: sconfitta, vittoria, sono pratiche alla pari che non modificano il suo interiore sentire, perchè la sua vita è fuori da quell'ufficio: non c'è niente di più sbagliato.

                      Sarri deve togliersi la metaforica giacca, sbatterla per terra e rinascere come uomo nuovo pienamente calato nella nuova realtà: nuova per lui ma che ha stilemi e missioni che lo precedono, le più antiche e vincenti del calcio italiano. Ci deve dunque essere un rapporto di osmosi, ci si deve reciprocamente intendere sui fondamentali - che devono essere necessariamente quelli del club: al cuore del senso del gioco non sta il gioco stesso, ma la tensione verso la vittoria e l'emozione conseguente, per cui essere il primo vuol dire essere unico - altrimenti è tutto tempo perso, e parole non che non dicono nulla, pagine da cestinare, seme sterile.

                      E' questa l'anima di cui ormai anche i giornali parlano, di cui anche la critica s'è accorta della mancanza. Ci puoi mettere tutta la scienza del mondo ma se dimentichi di metterci anche tutto te stesso da quel campo di gioco non spunterà nulla. Ha 12 partite per cambiare il corso della storia.
                      Ricordo un'intervista di quando allenava il Napoli, credo il penultimo anno, in cui dichiarò "dal prossimo contratto voglio arricchirmi anche io" (appena ho un attimo la cerco).
                      Aspirazione più che legittima ma temo che la scelta della juve sia stata appunto dettata dalla voglia di arricchimento, economico e professionale, e non dalla possibilità e la voglia di incidere e portare qualcosa di concreto...
                      « Success is my only mothafuckin' option,failure's not.... »

                      PRESENTI




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                        Originariamente Scritto da THE ALEX Visualizza Messaggio
                        Ricordo un'intervista di quando allenava il Napoli, credo il penultimo anno, in cui dichiarò "dal prossimo contratto voglio arricchirmi anche io" (appena ho un attimo la cerco).
                        Aspirazione più che legittima ma temo che la scelta della juve sia stata appunto dettata dalla voglia di arricchimento, economico e professionale, e non dalla possibilità e la voglia di incidere e portare qualcosa di concreto...
                        Ricordo anche io quelle frasi dove appunto lui rimarcava il fatto di essere arrivato al grande calcio molto tardi e che dunque doveva anche pensare (in fretta) al conto in banca per sè ed i suoi familiari.

                        Non c'è niente di male, il calcio è sport ricco dove chiunque ha capacità o ci si trova mira ad aumentare il conto in banca...però, assieme a quello, mirano anche ad aumentare i titoli da vincere...perchè ad alti livelli si sta lì per quello...e perchè tutti sono giudicati in base ai risultati...altrimenti siamo tutti bravi, tutti vincenti, tutti splendidi quando invece esistono una gerarchia, una differenziazione ed il campo e solo il campo ti dice se stai andando bene o se stai sbagliando strada.

                        Sarri a 60 anni suonati ha vinto pochissimo, praticamente niente rispetto ad altri grandi allenatori (la EL l'ha vinta pure Malesani, per dire, non può essere quello il metro)...oltre al pungolo del guadagno deve avere in sè anche quello di lasciare una traccia, una firma in questo calcio.

                        Ora è vero che la società ha grandemente pasticciato sul mercato consegnandogli una squadra non nelle sue corde e piena di zavorre...però Conte ha vinto con Matri, lui ha Ronaldo; Allegri cavava dal cilindro soluzioni imprevedibili per cercare di evitare le secche e condurre comunque la barca in porto...da Sarri questa scintilla non la si vede: è meccanico in quel che fa, c'è quasi una passività rispetto agli eventi e alle condizioni date.

                        C'è più dei soldi nel calcio, c'è il gusto di partecipare potendo gareggiare per vincere...è questo che alla fine resta, perchè altrimenti allenatori come Conte o Simeone o Klopp o Guardiola e altri, tutti ormai multimilionari, avrebbero smesso da un pezzo, non dovendo più badare a riempire il portafogli: che cosa li muove allora? Il riempire la bacheca, la soddisfazione di avere le luci della vittoria ancora addosso.

                        Sarri non sa nemmeno come sono fatte quelle luci: fa strano che non si strugga per catturarle.
                        ...ma di noi
                        sopra una sola teca di cristallo
                        popoli studiosi scriveranno
                        forse, tra mille inverni
                        «nessun vincolo univa questi morti
                        nella necropoli deserta»

                        C. Campo - Moriremo Lontani


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                          Originariamente Scritto da THE ALEX Visualizza Messaggio
                          Ricordo un'intervista di quando allenava il Napoli, credo il penultimo anno, in cui dichiarò "dal prossimo contratto voglio arricchirmi anche io" (appena ho un attimo la cerco).
                          Aspirazione più che legittima ma temo che la scelta della juve sia stata appunto dettata dalla voglia di arricchimento, economico e professionale, e non dalla possibilità e la voglia di incidere e portare qualcosa di concreto...


                          Originariamente Scritto da Sean
                          Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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                            Sarri secondo me si sta prendendo un numero di critiche che non merita. Credo anche che se la partita ai rigori, praticamente una lotteria, l'avessimo vinta oggi si parlerebbe di altro.

                            Quando prendi un allenatore del genere devi anche aspettarti un periodo iniziale in cui si acquisisce un certo modo di giocare. Se ti trovi una rosa per cui ti tocca far giocare degli ex giocatori perche' in quel ruolo non hai alternative (Higuain), oppure dei casi umani sperando che migliorino (Bernardeschi e Rabiot) e' ovvio che il processo e' piu' rischioso e richiede piu' tempo. Lo stesso Guardiola il primo anno al City non fece bene, al punto che gli inglesi, che per ste cose non capiscono mai niente, lo sorrannominarono Fraud. Lo stesso Klopp il primo anno arrivo' 8vo, e quello dopo 4to. Poi bisogna sempre considerare il punto di partenza, ma e' solo per ribadire che e' anche normale che certi tipi di allenatori richiedano piu' tempo di altri.

                            Per Sarri, in aggiunta ad acquisti discutibili (non voluti da lui), non si e' riusciti a dare via pesi morti, col risultato di aver ceduto Can, che in mezzo al campo adesso sarebbe oro. Aggiungi una pandemia mondiale che ti impedisce di allenarti con la squadra, e si chiude il cerchio.

                            A meno di non essere il Real dei galacticos, in europa vinci se giochi in un certo modo. Allegri aveva moltissimi pregi, ma anche dei limiti, per questo immagino abbiano deciso che era ora di cambiare.
                            B & B with a little weed










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                              Originariamente Scritto da Liam & Me Visualizza Messaggio

                              Sarri secondo me si sta prendendo un numero di critiche che non merita. Credo anche che se la partita ai rigori, praticamente una lotteria, l'avessimo vinta oggi si parlerebbe di altro.

                              Non ne sono così sicuro.
                              Alla fine non gli si critica la partita persa ai rigori.
                              Ma praticamente l'assenza reale di prestazioni durata l'intero anno e che sembrerebbe proseguire.
                              Tantissime partite la Juve le ha vinte non perché meritasse realmente ma perchè poi la qualità dei singoli riusciva spesso e volentieri a risolvere l'assenza di qualità del gioco squadra.
                              Ma così si capisce bene che non si va molto avanti.
                              Perché metti un Ronaldo fuori forma o svogliato, e per 2 partite fai 0 goal.
                              Così proprio non vai da nessuna parte.
                              Originariamente Scritto da Sean
                              Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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                                Originariamente Scritto da Liam & Me Visualizza Messaggio
                                Sarri secondo me si sta prendendo un numero di critiche che non merita. Credo anche che se la partita ai rigori, praticamente una lotteria, l'avessimo vinta oggi si parlerebbe di altro.

                                Quando prendi un allenatore del genere devi anche aspettarti un periodo iniziale in cui si acquisisce un certo modo di giocare. Se ti trovi una rosa per cui ti tocca far giocare degli ex giocatori perche' in quel ruolo non hai alternative (Higuain), oppure dei casi umani sperando che migliorino (Bernardeschi e Rabiot) e' ovvio che il processo e' piu' rischioso e richiede piu' tempo. Lo stesso Guardiola il primo anno al City non fece bene, al punto che gli inglesi, che per ste cose non capiscono mai niente, lo sorrannominarono Fraud. Lo stesso Klopp il primo anno arrivo' 8vo, e quello dopo 4to. Poi bisogna sempre considerare il punto di partenza, ma e' solo per ribadire che e' anche normale che certi tipi di allenatori richiedano piu' tempo di altri.

                                Per Sarri, in aggiunta ad acquisti discutibili (non voluti da lui), non si e' riusciti a dare via pesi morti, col risultato di aver ceduto Can, che in mezzo al campo adesso sarebbe oro. Aggiungi una pandemia mondiale che ti impedisce di allenarti con la squadra, e si chiude il cerchio.

                                A meno di non essere il Real dei galacticos, in europa vinci se giochi in un certo modo. Allegri aveva moltissimi pregi, ma anche dei limiti, per questo immagino abbiano deciso che era ora di cambiare.
                                Allegri aveva i limiti di chi è arrivato a fine ciclo. Il calcio consuma. Non dimentichiamoci che aveva chiesto di cambiare parecchi giocatori per rinnovare energie e risolvere certi equivoci tattici: hanno preferito cambiare lui temendo che ormai la storia (con lui) fosse chiusa.

                                Sarri può accampare la giustificazione di un mercato strambissimo, che personalmente ho criticato in corso d'opera: Paratici l'ho messo nel mirino da questo agosto. Difatti la caduta eventuale di Sarri sarebbe anche la caduta di Paratici.

                                Non sono però d'accordo sul fatto che, avessimo vinto la coppa Italia, i giudizi sarebbero stati diversi: la partita, la prestazione, questo canovaccio che da troppo si trascinano, sono quelli lì. Nemmeno lo scudetto cambierebbe i giudizi, al di là della ovvia soddisfazione:

                                - rosa da sfoltire, rifare, razionalizzare

                                - allenatore che deve essere più duttile, furbo, camaleontico, incisivo

                                C'è comunque l'assoluta necessità di acquistare una punta che faccia goal: qualche volta le partite si vincono anche con un goal che non è frutto di manovra ma di personale iniziativa di chi ha quell'istinto. Noi stiamo ancora con Higuain.

                                Poi il centrocampo, che non ha nè capo e nè coda. Poi i terzini. Lo scudetto risolverebbe il non mandare al macero un anno ma non potrebbe far credere che questa squadra è a posto così. Non sarebbe a posto nemmeno vincesse la champions.
                                ...ma di noi
                                sopra una sola teca di cristallo
                                popoli studiosi scriveranno
                                forse, tra mille inverni
                                «nessun vincolo univa questi morti
                                nella necropoli deserta»

                                C. Campo - Moriremo Lontani


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