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Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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    La finale di Coppa Italia è una sfida sbilanciata: molto favorevole per il Napoli di Gattuso, che potrà giocare con la testa libera e senza pressioni. Per la Juve invece il peso è tutto su Ronaldo e soprattutto su Sarri cui si è chiesto gioco e spettacolo che ancora non sono arrivati. Il tecnico appare abbastanza nervoso, ma non tanto perché deve incontrare la sua ex squadra che adesso lo tratta da traditore, ma proprio perché è in palio il primo trofeo da allenatore della Juventus. Insomma la Coppa Italia è il primo di tre referendum estivi su Sarri e sui bianconeri: Coppa Italia, scudetto, Champions League. Il primo non sarà certo decisivo, ma pur sempre un referendum…

    Proviamo a liberare ulteriormente la finale di Coppa Italia tra Napoli e Juventus dal contorno, che ahimè è già stato cancellato per causa di forza maggiore. Niente pubblico, partita asettica, solo TV, squadre nell’acquario, niente tempi supplementari, un campo tradizionale e neutro – l’Olimpico di Roma – giusto perché così ormai si fa. Ma è una partita che si potrebbe giocare ovunque senza la minima differenza: anche a Napoli o Torino, per assurdo. E non ci sarebbe differenza o vantaggio per nessuna delle due squadre. Purtroppo il tempo oggi è questo.

    A me resta l’impressione di una finale certo, ma di una partita fortemente sbilanciata sulla Juventus, nel bene e nel male. Il Napoli sta lì per merito suo, perché ha salvato una stagione maledetta, perché ha un allenatore, per storia umana e professionale, soprattutto il generoso e caloroso calciatore che è stato, che sta praticamente simpatico a quasi tutti – perfino agli juventini direi – perché ha almeno un paio di giocatori molto forti che vedrei bene persino nella Juventus stessa: il roccioso e imponente Koulibaly, il trottolino Mertens che ha lo stesso effetto di una spina nel fianco. Se la spina sta ferma il dolore è sopportabile, ma se la spina si muove vedi le stelle per le fitte di dolore. Invece di Milik, fossi nella Juve, avrei provato a prendere Mertens prima che si riaccordasse per il nuovo contratto e avrei cominciato a lavorare su un attacco Mertens-Ronaldo-Dybala. Non mettetemi in mezzo alle questioni Napoli, Juve, Sarri, Higuain, perché veramente non mi sfiorano e non le prendo in considerazione.

    Nessuno comunque chiederà nulla al Napoli, se non di poter cullare un bel sogno. La situazione della squadra di Gattuso è talmente favorevole e leggera da poterlo far giocare veramente nelle migliori condizioni possibili. La partita ha tutta l’aria di trasformarsi invece per ora in una specie di referendum su Ronaldo prima di tutto e su Sarri in secondo luogo. Ronaldo perché ha sempre a che fare con quella demagogia che dice: ti ho pagato tanto, ti chiami Ronaldo, devi fare gol e devi farmi vincere. Altrimenti a che mi servi? I campioni possono soffrire tale cinismo- non credo CR7 comunque, che da questo punto di vista è un blocco di ghiaccio – ma sono loro stessi in fin dei conti a infilarsi in questo perverso meccanismo che illude il mondo che esistano giocatori che tutto possono fare e vincere per la loro sola presenza. Ma non è così, Ronaldo può vincere da solo una partita e se quella partita è una finale, allora anche il trofeo relativo, ma insomma non è nemmeno lui una garanzia assoluta.

    C’è poi molta voglia in giro di buttare via anche tutto il sarrismo e tutti i suoi orpelli. Inventore compreso. Sarri con questa Juve per ora è rimasto a metà, effettivamente non è che abbia convinto molto, ha avuto anche molto tempo per convincerci ma finora non ci è riuscito. Sono più i giocatori che non è riuscito a lanciare o rilanciare che quelli che abbia effettivamente trasformato come poteva essere capitato a Napoli con Mertens e Higuain. Il gioco fino ad ora semplicemente non si è visto. Non c’è stata una differenza clamorosa col predecessore, solo che quando arriva Allegri nessuno parla di possesso palla, spettacolo, gioco offensivo e così via. Quando arriva Sarri invece sì, e dunque uno si mette lì ad aspettare e vedere. E finora siamo rimasti tutti un po’ così: mah, sarà…, non vedo, non capisco… Il nervosismo di Sarri è molto percepibile, sente che stiamo arrivando al momento decisivo. Certa acidità di troppo nei suoi confronti è effettivamente eccessiva, anche perché oggettivamente finora di disastri non ne ha combinati.

    Più che una sfida tra Sarri e il Napoli, suo vecchio amore – De Laurentiis gli ha dato addirittura del venale traditore – io vedo una sfida tra Sarri e la Juventus stessa. La finale di Coppa Italia sarà per Sarri il primo di tre referendum estivi. Non decisivo, ma pur sempre un referendum.


    COPPA ITALIA 2019-2020 FINALE NAPOLI - JUVENTUS Roma, Stadio Olimpico Mercoledì 17 giugno 2020, ore 21 *** NAPOLI (4-3-3) MERET DI LORENZO KOULIBALY MAKSIMOVIC M. RUI FABIAN RUIZ DEMME ZIELINSKI CALLEJON MERTENS INSIGNE RONALDO DYBALA CUADRADO MATUIDI BENTANCUR KHEDIRA ALEX SANDRO BONUCCI DE LIGT DANILO BUFFON JUVENTUS (4-3-3) *** Proviamo a liberare ulteriormente la finale di Coppa Italia tra Napoli e Juventus dal contorno, che ahimè è già stato cancellato per causa di forza maggiore. Niente pubblico, partita asettica, solo TV, squadre nell'acquario, niente tempi supplementari, un campo tradizionale e neutro - l'Olimpico di Roma - giusto perché così ormai si fa. Ma è una partita che si potrebbe giocare ovunque senza la minima differenza: anche a Napoli o Torino, per assurdo. E non ci sarebbe differenza o vantaggio per nessuna delle due squadre. Purtroppo il tempo oggi è questo. A me resta
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    nella necropoli deserta»

    C. Campo - Moriremo Lontani


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      Napoli-Juventus, Coppa Italia: non c’è mai stata la squadra di Sarri, Gattuso ha Mertens e Insigne

      Tra le due ci sono 24 punti di distacco in classifica, ma bisogna capire quanto valgono i bianconeri: la rosa si scopre stretta, i giocatori più impiegati sono appena 16

      di Mario Sconcerti

      Tra Juventus e Napoli ci sono 24 punti di distacco in classifica ottenuti in 26 partite. Non è necessario dire che la Juve è più forte, quindi favorita per la partita di mercoledì sera, quantunque una finale e quantunque per questo partita diversa. Quello che però nemmeno il nuovo inizio è riuscito a chiarire è la dimensione reale di questa Juve, «di qualità» per definizione e mai perfettamente realizzata. Ci sono sulla Juve più narrazioni che risultati. Per esempio ha perso il primo titolo che ha giocato, la Supercoppa contro la Lazio. Per esempio si dice abbia un organico enorme e non è vero. Questo è uno degli slogan da chiarire.

      La Juve ha fatto giocare in campionato 23 giocatori, il Napoli 24. Ma di questi 23 uno è Buffon, due sono Chiellini e Demiral che hanno saltato tutta la stagione. Uno è Khedira che è appena rientrato dopo essersi infortunato alla fine dello scorso anno. Un altro è De Sciglio che a Sarri non è mai interessato niente. Uno è Rugani, due partite, e infine l’ultimo è Emre Can venduto a gennaio. Sono 7 giocatori in meno che portano il totale dell’organico ad appena 16 giocatori, quanti oggi basterebbero appena per fare tutti i cambi disponibili. Forse l’incompiutezza di questa stagione comincia proprio da queste ristrettezze, a cui vanno aggiunti gli infortuni di Douglas Costa, per Sarri un titolare, e la vaghezza tattica ai limiti dell’involuzione di Bernardeschi e Rabiot.


      Le possibilità di scelta di Sarri sono dunque diventate improvvisamente strette, ai limiti dell’elementare. Lasciando da parte il portiere, restano 12 giocatori per 10 ruoli, più o meno i titolari più Ramsey e Higuain. Possiamo trovare varianti, ma la realtà del campo che Sarri ha gestito porta a questo: in conclusione non c’è mai stata una Juve del tutto convincente perché nei particolari non c’è stata la Juve di Sarri.

      Nel Napoli pochissimi hanno giocato una finale, ma questo handicap sarà limitato dalla mancanza di atmosfera dello stadio vuoto. Il Napoli non ha giocato bene con l’Inter, ma ha tenuto lo stesso ritmo per tutta la partita. La Juve no. Sarà una partita tattica, asimmetrica. Gattuso gioca all’italiana, spesso anche troppo. Ma ha i due attaccanti più agili del campionato, Mertens e Insigne. Insomma, c’è ancora molta partita. E aria di crisi per chi perde.



      CorSera
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        Napoli-Juventus, Coppa Italia 2020: Gattuso e la voglia del primo trofeo

        Gattuso, l’uomo capace di guarire i mali del Napoli, ora fa sognare il ritorno di un trofeo. Sarebbe il primo per Rino come allenatore

        La Coppa Italia il Napoli l’ha vinta due volte negli ultimi otto anni, con Mazzarri proprio contro la Juventus e con Benitez contro la Fiorentina. Ma la prima finale partenopea di Gattuso ha un sapore diverso, più intenso e profondo e non solo perché stiamo uscendo da tre mesi terribili. Rino, simbolo del Milan berlusconiano, rischia di diventarlo anche nella città di Pulcinella. Il bacio, commosso, rivolto al cielo e dedicato alla sorella Francesca, appena mancata, prima della semifinale con l’Inter dentro il San Paolo vuoto, ha fatto il giro del mondo. Così come le immagini durante la partita. Rino, in piedi, davanti alla sua panchina, la faccia stravolta dal dolore, ma sul pezzo. Una specie di eroe moderno, che ha conquistato la città delle contraddizioni. Sanguigno, deciso, diretto.

        Il Napoli con Ancelotti, l’allenatore più vincente d’Europa, stava precipitando all’inferno. Gattuso lo ha rimesso in piedi con il lavoro e la semplicità. Senza false promesse. Ha dato un’organizzazione e un’anima alla squadra, ha sistemato uno spogliatoio avvelenato, ha regalato fiducia a una tifoseria scoraggiata e mercoledì dentro un altro stadio vuoto (mercoledì 17, alle 21, in diretta su Rai1) proverà a chiudere il suo piccolo cerchio.


        Il Napoli, quello di Rino, è nato quasi cinque mesi fa contro la Juventus. Quella vittoria in campionato, firmata da Zielinski e Insigne, due leader (inutile il gol di Ronaldo alla fine), ha acceso qualcosa dentro al gruppo che da quella notte incantata non si è più smarrito. O meglio, lo ha fatto una volta sola, nel capitombolo casalingo con il Lecce. Su 10 partite il Napoli ne ha vinte 7 e i due pareggi contro Inter e Barcellona in Champions valgono come vittorie. Ora la città è tornata a sognare. Gattuso l’ha riaccesa. Di finali Rino se ne intende e parecchie le ha vinte, ma da giocatore. Da allenatore, invece, solo sconfitte, in Supercoppa e proprio in Coppa Italia sempre con il Milan e sempre contro la Juve. La terza volta sarà quella buona? La Regina della serie A è favorita. Ma il nuovo Napoli ha l’anima coriacea del suo allenatore. Una squadra che non molla, anche quando le energie sembrano finire e l’avversario ti sta surclassando. «Non c’è un momento buono per affrontare la Juve, che ha la vittoria nel suo dna. Noi dobbiamo essere bravi a rispettarla e a sfruttare le nostre armi», ha detto Gennaro alla Rai. Più o meno le stesse parole che ha usato con i suoi fedelissimi. I giocatori si fidano di Rino, hanno capito che ci mette la faccia e non tradisce. E al tempo stesso non vuole essere tradito: «Chi non se la sente o non è lucido di testa può rimanere nello spogliatoio. I ragazzi sanno che quando fischio l’inizio dell’allenamento voglio gente che vada a mille all’ora», il messaggio al distratto Lozano.

        Battendo la Juve si prenderebbe la rivincita in Coppa Italia e aprirebbe un ciclo con il Napoli che in questi ultimi anni è stato l’anti Juventus senza mai davvero raggiungerla. Gattuso ha la possibilità di oscurare Sarri, il vecchio profeta, cultore di un calcio diverso, forse più utopistico e di difficile realizzazione a Torino dove vincere è l’unica cosa che conta. Può riuscirci in un momento complicato della sua vita di uomo: «In questi giorni i napoletani sono stati vicini a me e alla mia famiglia. Dobbiamo concentrarci per giocare al meglio questa finale e provare a dare una gioia alla città». Mercoledì sera all’Olimpico potrebbe nascere una grande storia d’amore.



        CorSera
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          Napoli-Juventus, Coppa Italia 2020: dove vedere la finale e le probabili formazioni

          Sarri ricorda la sua media punti è la migliore dal 1955, ma per lui e i bianconeri è già il momento di non sbagliare. Può lasciare fuori Pjanic e inserire Cuadrado dal 1’ nel tridente

          È già il tempo del raccolto, anche se la stagione è ricominciata da appena cinque giorni e non tutto può crescere nel modo sperato. È già il momento di non sbagliare, per la Juventus e per Maurizio Sarri, che hanno lasciato per strada la Supercoppa a dicembre contro la Lazio, perdendo poi altre certezze per strada, ma compattandosi al momento del dunque contro l’Inter, prima del lungo stop. La ripartenza con il Milan è stata tanto convincente per la prima mezzora («la migliore della stagione» per l’allenatore), quanto fiacca in seguito, nella gestione dello 0-0 che valeva questa finale: alla Juve mancava dal 2018, l’anno del quarto successo di fila nella Coppa nazionale, con Allegri in panchina.

          Di fronte alla possibilità di alzare il suo primo trofeo professionistico in Italia, Sarri — con il consueto stile colorito del quale però sfugge il senso — rivendica il suo lungo percorso, i campionati vinti in tutte le categorie (che sono sei, più una coppa) , dai dilettanti fino alla B, insomma la sua storia di tecnico innamorato del calcio, più che del palcoscenico in cui si gioca.


          Questo non toglie nulla ai significati della partita di mercoledì (ore 21, stadio Olimpico di Roma, diretta su Rai1) contro la squadra che gli ha dato la grande occasione, anzi non fa che renderli ancora più profondi: alzare la Coppa Italia come l’ultimo dei romantici che molla il lavoro in banca a caccia di un sogno o perderla come il primo degli imputati per una Juve che non riesce a rispettare il pronostico che la favorisce, questo è il problema. Non per niente, Sarri ricorda ai naviganti che la sua media punti alla Juventus è la migliore dal 1955. Anche se stasera non conta, perché c’è in palio un trofeo in una partita secca.

          E la brutta sconfitta subita con il Napoli di Gattuso a fine gennaio rende il bivio ancora più pericoloso: perché mentre l’allenatore sottolinea con orgoglio il proprio cammino da viandante del pallone, a volte la sua squadra smarrisce la via maestra e sembra un po’ figlia di nessuno. Non è ancora chiaro se succeda per motivi squisitamente tattici o di motivazione (un tasto quello mentale sul quale Sarri preme sempre) fatto sta che la coesione della Juve non è affatto a tenuta stagna e il Napoli lo ha già sperimentato.

          Per questo Sarri, rispetto alla semifinale di ritorno potrebbe investire fin da subito su Cuadrado nel tridente, lasciando fuori Pjanic, con Bentancur in regia e Khedira mezzala destra: ritmo e fisicità per ripartire più in fretta e proteggere gli spostamenti di fronte di Ronaldo, che quando fa il centravanti non sta fermo un attimo, forse perché non vuole farlo: il risultato delle frenetiche rotazioni viste con il Milan è stato deludente, perché Cristiano è stato molto meno preciso del solito, non solo per il calcio di rigore fallito. Senza contare che Dybala a volte si trova a distanze siderali dalla porta: stasera la coppia più bella e più difficile da sostenere, potrebbe giocare più vicina.

          Perché senza Higuain (indisponibile ma convocato, come Chiellini e Ramsey) la mancanza di profondità in area a volte sembra incolmabile. Poi però basta una magia di CR7 — che raramente sbaglia partita due volte di fila — o dello stesso Dybala a nascondere qualsiasi problema. Ha funzionato quasi sempre così, da quando il pianeta Ronaldo si è allineato a quello bianconero. E se qualche volta non ha funzionato, la Juve ha avuto tutto il tempo e modo per metabolizzare gli errori: se la semina è stata buona, lo sarà anche il raccolto.



          CorSera
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            Il Bayern Monaco vince la Bundesliga: è il 30° titolo. E ora in Premier tocca al Liverpool

            La cavalcata dei bavaresi guidati dai gol del solito Lewandowski e dall’allenatore Flick. In Inghilterra si ricomincia a giocare mercoledì: i Reds possono vincere la prima Premier domenica

            Una dolce abitudine per il Bayern Monaco, la fine di un incubo per il Liverpool. La Bundesliga ha ufficializzato un verdetto atteso da tempo: i bavaresi, battendo il Werder Brema sempre più vicino a una retrocessione che ha conosciuto solo nel campionato 1980-1981, hanno conquistato il loro trentesimo scudetto, l’ottavo di fila in una vera e propria «dynasty». La Premier League riparte mercoledì 17 con i recuperi della ventottesima giornata (Aston Villa-Sheffield United alle 19 e Manchester City-Arsenal alle 21.15) e potrebbe incoronare il Liverpool già domenica 21, mettendo fine a un digiuno nazionale che dura dal 1990. Per i Reds, incredibile ma vero, sarebbe il diciottesimo titolo ma la prima Premier League, visto che il campionato inglese ha preso questa denominazione nel 1992.

            Il Bayern Monaco era la logica favorita della Bundesliga, ma il suo successo non è stato una passeggiata. Dopo 10 giornate (3 novembre 2019) i bavaresi erano quarti, dietro a Borussia M’Gladbach, Borussia Dortmund e Lipsia, e la sconfitta per 5-1 a Francoforte, contro l’Eintracht, è costata la panchina a Nico Kovac. Al suo posto è arrivato Hans-Dieter Flick, che sembrava un semplice traghettatore fino al termine della stagione. Il risultato? 22 partite, 19 vittorie, un pareggio (0-0 con il Lipsia il 9 febbraio 2020) e due sconfitte (contro Bayer Leverkusen e Borussia M’Gladbach il 30 novembre e il 7 dicembre 2019). Una cavalcata chiusa con l’undicesima vittoria di fila e con Lewandowski sempre più bomber, arrivato a 32 gol in campionato. Ora il Bayern potrà prepararsi al massimo per la Champions: ha vinto 3-0 a Londra, contro il Chelsea, l’andata degli ottavi di finale. Il ritorno sarà una formalità per andare alle Final Eight che si giocheranno a Lisbona dal 12 al 23 agosto.


            Il Liverpool, campione in carica in Champions, non potrà difendere il suo titolo, perché è stato già eliminato dall’Atletico Madrid. I tifosi dei Reds però potranno consolarsi con la conquista della Premier che, come detto, non hanno mai vinto. La squadra di Klopp ha 82 punti, ottenuti in 29 giornate con 27 vittorie, un pareggio (0-0 a Manchester con lo United il 20 ottobre 2019) e una sola sconfitta (0-3 con il Watford il 29 febbraio 2020). L’unica, teorica, concorrente è il Manchester City, a 57 punti e con una gara in meno. Se la squadra di Guardiola dovesse perdere mercoledì contro l’Arsenal e il Liverpool battere l’Everton nel derby di domenica sera (ore 20) i giochi sarebbero aritmeticamente chiusi. Altrimenti Klopp dovrà aspettare un’altra giornata. Ben più interessante la lotta per i posti Champions, che vedono in corsa anche Leicester (53 punti), Chelsea (48), Man United (45), Wolves e Sheffield United (43), Tottenham (41) e Arsenal (40).

            La necessità di concludere rapidamente il torneo costringerà i calciatori a 92 gare in sole sei settimane, con partite quasi tutti i giorni a orari sfalsati e poco appetibili per i tantissimi tifosi asiatici che dovranno svegliarsi molto presto per vedere le partite. Le emittenti straniere hanno ricevuto 100 milioni di sterline come risarcimento per le modifiche alla programmazione.



            CorSera
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              Tridente Costa-Dybala-Ronaldo per i giornali...a meno che, come col Milan, non giochi poi Cuadrado.
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                Pedro, Pallotta ricomincia dall’attacco: carica spagnola per la nuova Roma

                Difficile pensare che possa essere l’ultimo regalo della gestione Pallotta, ma l’arrivo ormai sicuro di Pedro è di quelli che fanno vetrina. L’attaccante spagnolo firmerà un biennale (con opzione per il terzo) da circa 3,5 milioni a stagione, grazie al decreto governativo post-Covid che consente, a chi viene in Italia per almeno due anni, di vedere la tassazione non sul totale del proprio reddito, ma solo sul 30%. I giallorossi per arrivare al giocatore hanno dovuto battere la concorrenza dell’Al-Sadd di Xavi e questo è stato possibile anche grazie a Fonseca, che lo ha voluto fortemente e lo ha chiamato per comunicargli la sua stima e spiegargli come vorrebbe utilizzarlo. Ovvero, sia da esterno, sia da centravanti atipico in coppia o in sostituzione di Dzeko.



                (gasport)
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                  La Coppa Italia è antidemocratica

                  Un torneo che ci rappresenta: da rifondare, ma sempre domani.

                  L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, e sulla nostalgia. Sulle belle storie ma sulla legge del più forte: il calcio raccoglie questi temi e li mette insieme spiegandoli in termini pratici. Da sempre. O più o meno da quando esiste la Coppa Italia. Parafrasando Gary Lineker, che ha consegnato alla storia una tra le più famose citazioni calcistiche, la Coppa Italia è quella competizione in cui «22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine una scudettata vince». Concetto ai limiti della tautologia.

                  La finale tra Juventus e Napoli segue i principi del paradosso storico che accompagna, quasi da sempre, la seconda competizione italiana per importanza: anche quest’anno ad alzare il trofeo sarà una delle teste di serie alla composizione del tabellone. La Coppa Italia è infatti strutturata per favorire chi subentra dopo, agli ottavi; è la formula stessa del torneo ad essere pensata con questo intento e, malgrado le continue richieste di riforma, resta sempre uguale a se stessa in una tipica e perversa storia italiana.


                  Torneo elitario, scientifico e vanitoso


                  Quando nella finale di ritorno del Romeo Menti, e per di più allo scadere dei supplementari, Rossi e Iannuzzi (dopo Maini) ribaltarono il gol di Pecchia dell’andata al San Paolo, il calcio italiano pensò di aver trovato finalmente una soluzione al problema della Coppa Italia: di certo non credeva di assistere all’ultimo rantolo. L’epilogo dell’edizione 1996/97 fu l’inimitabile canto del cigno di una competizione che in quel Vicenza-Napoli aveva letto simboli di speranza futura: una quasi-piccola, che chiuderà il campionato all’ottavo posto, contro un avversario che nella sua storia aveva già vinto almeno uno Scudetto, e che però finirà tredicesimo.

                  Più in generale, caos e libero arbitrio applicato al calcio: e non basta attribuire eccessive responsabilità alle riforme UEFA di fine anni ‘90. Il fatto è che il calcio in Italia non sembra provare alcun tipo di stanchezza nel guardarsi ripetutamente allo specchio e dirsi quanto si è belli se vince una squadra di vertice. Perché questo accada ci si affida ad un metodo praticamente scientifico: l’inserimento in tabellone delle teste di serie (le prime otto del campionato precedente), direttamente agli ottavi di finale.

                  Nelle ultime diciassette stagioni a vincere la Coppa è stato sempre un club con almeno uno Scudetto in bacheca e con campionati di vertice in serie negli anni. L’unica quasi-eccezione, a volerla trovare, riguarda l’edizione 2008/09 che vide trionfare la Lazio (decima in classifica) contro la Sampdoria (tredicesima): ma sia la Lazio che la Sampdoria avevano già vinto almeno uno Scudetto e una Coppa Italia nella loro storia. Non basta neanche il mezzo miracolo del Palermo arrivato in finale nel 2011: stesso epilogo. Una marea di aspettative frantumate dall’indefinibile arroganza della realtà, e delle grandi. Dell’élite.

                  Perché la FA CUP ci dà fastidio

                  Wigan, Portsmouth e le altre ci ridono in faccia: la FA Cup è il tema perfetto se vuoi improntare una discussione polemica su ciò che calcisticamente funziona in un altro Paese (sul resto, del “modello inglese”, bisognerebbe discuterne). L’ingresso ai trentaduesimi delle squadre di Premier League, con sorteggio integrale, è il metodo migliore per presentarsi alle fasi ultime con almeno un club outsider: e, com’è noto, funziona.

                  Questo non può che darci fastidio: perché le probabilità di assistere ad un “giant killing” o ad un ottavo equilibrato con l’eliminazione della grande squadra sono molto più alte, in termini di frequenza, di quelle che riguardano un’ipotetica sfida tra una provinciale di Serie C e un top club di Serie A (episodio comunque avvenuto di recente, nel 2016, con la sfida in semifinale tra Alessandria e Milan).

                  Tra imprese e scarso spettacolo

                  Quello della Coppa Italia è invece un format obsoleto che favorisce nettamente i più forti, nei tempi e nei modi: tralasciando la qualificazione diretta agli ottavi, un altro tasto dolente è il fattore campo: sostanzialmente gioca tra le mura amiche chi, in relazione alla stagione passata, ha un rank migliore, per posizione o categoria. In numeri tutto questo si traduce, nelle ultime dieci edizioni, in una sola partecipazione in semifinale di una squadra di C (ovvero la sopracitata Alessandria), in due presenze ai quarti di una di B (lo Spezia 2015/16 e il Cesena 2016/17), e nelle belle figure di Pordenone (2017/18), Virtus Entella e Novara (2018/19), club di Serie C arrivati agli ottavi.

                  Quanto sia difficile, ai limiti dell’impresa, raggiungere risultati simili lo testimoniano tutte quelle squadre che, nelle categorie minori, neanche ci provano ad andare avanti. Schiacciate dal peso di trasferte proibitive e dalla gestione di forze, che quasi sempre corrispondono a rose adattate agli obblighi economici del campionato d’appartenenza, sono tantissime le piccole squadre che fanno turnover nei primi turni schierando magari le riserve o i ragazzi della primavera. D’altronde il ragionamento è semplice: se per trionfare devo battere le squadre più forti d’Italia, per di più a casa loro, perché mai dovrei sprecare energie inutili per i trentaduesimi/sedicesimi di finale?

                  Sul fronte appeal, poi, la Coppa Italia non riesce nemmeno a divertire. Bene la riforma che dopo anni d’angosce ha eliminato la finale andata-ritorno, ma gli stadi restano sempre vuoti: simbolo di un trofeo che anche tra i tifosi non suscita passioni travolgenti. Se guardiamo alla percentuale di riempimento degli stadi delle ultime vincitrici, si va dal 30,2% dell’Inter nel 2011 al 27% della Lazio nel 2019, passando per i picchi offerti dalla Juventus (93,6% nel 2015, 87% nel 2016, 93,6% nel 2017 e 93,2% nel 2018 – dati ricavati da Transfermarkt). Da un confronto con gli altri Paesi, il calcio italiano esce con le ossa rotte.

                  Leggendo il consueto “Report Calcio” di PwC degli ultimi anni si registrano due cose: in primis il numero altalenante degli spettatori dei top club nelle partite di coppa (dal 29% nella stagione 2015/16 al 36% di quella 2017/18), ma soprattutto una netta differenza con il dato estero che, tra il 2017 e il 2018, ha segnato il 57%, l’82% e il 73% delle presenze rispettivamente in Spagna, Germania e Inghilterra. Tutta un’altra storia, che dovrebbe farci riflettere.

                  Non serve una laurea in matematica per capire che il 36% italiano neanche si avvicina al dato spagnolo, venendo invece più che doppiato in Inghilterra e soprattutto Germania.



                  Una questione sociale
                  «Il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes. In una parola: Platinette. Perché Platinette ci assolve da tutti i nostri mali, dalle nostre malefatte. […] Questa è l’Italia del futuro: un paese di musichette mentre fuori c’è la morte.» (Dalla puntata “Ritorno al futuro” di Boris)


                  Senza troppi giri di parole, citando uno dei capolavori che mai invecchiano nel panorama delle serie TV italiane, la Coppa Italia è la locura di Boris. L’elemento che fa saltare il banco, formalmente nuovo, ma fondamentalmente identico. In qualche modo, come Platinette, ci assolve dai nostri mali: riusciamo persino a vederci un rimedio agli obiettivi falliti in campionato, offre speranza alle piazze di provincia che negli anni si sono trovate a marcire nelle categorie minori. Vanagloria senza rimedio, rivalsa irrefrenabilmente annichilita (in semifinale se va bene, ma deve andare proprio bene), dalla più forte di turno. Troppo più forte.

                  Ed è qui che sta il valore beffardamente e ingenerosamente salvifico della Coppa: perché alla fine, in questa competizione che per Stanis La Rochele sarebbe «troppo italiana», è quasi giusto che vincano i grandi, per farci sentire migliori. Per deresponsabilizzarci e farci sentire in pace, offrendo copioni elitari da seguire e, rare volte, storie nostalgiche di cui nutrirci per vent’anni.

                  ...ma di noi
                  sopra una sola teca di cristallo
                  popoli studiosi scriveranno
                  forse, tra mille inverni
                  «nessun vincolo univa questi morti
                  nella necropoli deserta»

                  C. Campo - Moriremo Lontani


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                    E' un pò lungo il pezzo della rivista Contrasti però l'ho messo perchè quello della riforma della coppa Italia è un mio mantra già ribadito più volte qui. La coppa nazionale, occasione per il calcio di dare mostra di sè anche in provincia, viene blindata dai club di A, in specie dai grandi club, con una formula che ammazza le piccole e tutela le grandi.

                    La formula piace? A leggere i dati direi di no (tabella presa sempre da quel sito):

                    ...ma di noi
                    sopra una sola teca di cristallo
                    popoli studiosi scriveranno
                    forse, tra mille inverni
                    «nessun vincolo univa questi morti
                    nella necropoli deserta»

                    C. Campo - Moriremo Lontani


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                      però a sensazione mi sembra che possa esserci un remoto collegamento tra il numero di partite di campionato delle varie nazioni e il loro rendimento fisico in europei e mondiali. Certamente ci sono molte variabili: percentuale calciatori di una nazionale che giocano nel corrispettivo campionato; coinvolgimento delle rose migliori nelle coppe minori (il punto del quale parla Sean e che ,secondo me, modificandolo in stile premier danneggerebbe le italiane in cl e la nazionale perchè aumenterebbe anche il rischio di infortuni e influenzerebbe il tournover tranne se si lanciassero giovani).
                      però forse una segnalazione "ufficiale" alle autorità te la saresti beccata pure tu.

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                        finale storica!!
                        Winners are simply willing to do what losers won't.




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                          Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio

                          Tra imprese e scarso spettacolo

                          tralasciando la qualificazione diretta agli ottavi, un altro tasto dolente è il fattore campo: sostanzialmente gioca tra le mura amiche chi, in relazione alla stagione passata, ha un rank migliore, per posizione o categoria.
                          non mi sembra esatta questa affermazione, non si decide il rank in base ad un sorteggio che viene fatto all'inizio?
                          Winners are simply willing to do what losers won't.




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                            Originariamente Scritto da ciccio.html Visualizza Messaggio
                            se gli adueguano il contratto sì. Lotito mi sembra anche scaltro nei rinnovi dei contratti, li concede dopo molti anni temporeggiando e risparmiando.
                            Lotito è scaltrissimo in tutta la gestione societaria

                            Originariamente Scritto da marcu9 Visualizza Messaggio
                            [FONT="]28 febbraio 2001: Un medio giocatore della serie B tedesca (per sua stessa ammissione) diventa dalla sera alla mattina, e senza patentino, allenatore della sua squadra, il Mainz, che rischia la retrocessione in terza serie, e ha appena cacciato il tecnico.[/FONT]
                            [FONT="]Questo medio giocatore salva la squadra, la porta poi alla prima storica promozione in Bundesliga, e perfino a qualificarsi per la Coppa Uefa.[/FONT]
                            [FONT="]Va sulla panchina del Dortmund, ribalta le gerarchie del calcio tedesco spodestando il Bayern con una squadra di giovani sconosciuti, e arriva al Liverpool. Una volta lì sale sul tetto d'Europa, spezza (quasi) la maledizione della Premier e, sostanzialmente, nel giorno del suo 53esimo compleanno (tanti auguri) può definirsi il miglior allenatore del mondo.[/FONT]
                            Ah! È una storia vera, non un film.


                            C.B.



                            è veramente straordinario
                            Originariamente Scritto da SPANATEMELA
                            parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
                            Originariamente Scritto da GoodBoy!
                            ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?


                            grazie.




                            PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

                            Commenta


                              Originariamente Scritto da ottantino Visualizza Messaggio


                              finale storica!!


                              quanto piansi quella sera,.....
                              Originariamente Scritto da SPANATEMELA
                              parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
                              Originariamente Scritto da GoodBoy!
                              ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?


                              grazie.




                              PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

                              Commenta


                                Ufficializzate le città che ospiteranno le finali uefa
                                2022 finale El a Torino

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