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L'angolo Filosofico - Morale, Linguaggio, Conoscenza e dintorni

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    Il problema é come selezionare, perché cosi facendo vai ad aggiungere un altro grado di arbitrarietà. Un cap equo, a cifre comunque sufficienti a campare nel lusso un paio di generazioni, fisso creerebbe meno problemi morali. Tuttavia, il discorso di redistribuzione della ricchezza dovrebbe passare necessariamente anche riforme sociali importantissime e a livello globale.
    Originariamente Scritto da claudio96

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    più o meno il triplo

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      Originariamente Scritto da Ponno Visualizza Messaggio
      Il problema é come selezionare, perché cosi facendo vai ad aggiungere un altro grado di arbitrarietà. Un cap equo, a cifre comunque sufficienti a campare nel lusso un paio di generazioni, fisso creerebbe meno problemi morali. Tuttavia, il discorso di redistribuzione della ricchezza dovrebbe passare necessariamente anche riforme sociali importantissime e a livello globale.
      Si però la complessità e l'arbitrarietà stanno ovunque. Prima ho fatto l'esempio di un'altra normativa assolutamente arbitraria e molto complessa come gli accordi di Basilea per le banche. Se non ci fossero certi requisiti il business delle banche sarebbe molto differente.
      Poi ripeto, non è una questione morale ma di cosa la società vuole promuovere per essere più efficiente nel medio-lungo termine.

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        Originariamente Scritto da The_machine Visualizza Messaggio
        Si però la complessità e l'arbitrarietà stanno ovunque. Prima ho fatto l'esempio di un'altra normativa assolutamente arbitraria e molto complessa come gli accordi di Basilea per le banche. Se non ci fossero certi requisiti il business delle banche sarebbe molto differente.
        Poi ripeto, non è una questione morale ma di cosa la società vuole promuovere per essere più efficiente nel medio-lungo termine.
        Il problema é che cosí facendo vai a influire sul libero arbitrio in maniera indiretta, che é poi uno degli spunti interessanti del Norwegian Paradox: in India ci sono molte più donne negli STEM, principalmente programmazione, che in Europa. Ci sono perché altrimenti non lavorerebbero e "si morirebbero di fame". Ora, puoi davvero considerarla una scelta libera? Di sicuro, tutti noi siamo direzionati dalla società in campi che magari non sono i nostri preferiti, ma perseguire la felicità personale dovrebbe essere un valore. Andando a iniettare più risorse in un campo che in un altro, andresti a forzare le persone e a perdere il senso stesso di redistribuzione.

        IMHO
        Originariamente Scritto da claudio96

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        più o meno il triplo

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          Originariamente Scritto da Ponno Visualizza Messaggio
          I Di sicuro, tutti noi siamo direzionati dalla società in campi che magari non sono i nostri preferiti, ma perseguire la felicità personale dovrebbe essere un valore. Andando a iniettare più risorse in un campo che in un altro, andresti a forzare le persone e a perdere il senso stesso di redistribuzione.
          eh ma vedi, tu ti occupi di risorse umane perché era il tuo "sciogno" (detto alla Crozza che imita Briatore)?

          Tra l'altro leggo costantemente di persone che da post-adolescenti / adulte si lamentano di essere state indirizzate male ("se mi avessero detto", "se avessi saputo che era così") o non essere state indirizzate affatto dalla società.

          Si parla di bonus/malus, nessuno ti impedisce di passare la tua gioventù a giocare, o col sogno di giocare a pallone (scelta che nella maggior parte dei casi ti costringerà cmq a reinventarti), solo che i 100 milioni di fatturato (saranno 5000 operai) all'anno non vanno nelle tue tasche. Hai davvero bisogno di questo incentivo per praticare lo sport? Fai altro. I giocatori forti se ne andranno dall'Italia? Amen, non vinceremo più la Champions (non la vinciamo comunque da 10 anni) e magari daremo più attenzione ad altri sport che possono regalare le stesse emozioni per 2 lire, oppure vinceremo altre sfide più importanti per la società.

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            Originariamente Scritto da The_machine Visualizza Messaggio
            Restando nel mondo della fantasia...
            .
            Dead Man Walking

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              al liceo rimasi colpito dalle letture di Popper.
              Consiglio questa serie di video (feci la raccolta in DVD una decina di anni fa ), in questo episodio espone Giulio Giorello (recentemente scomparso).
              Last edited by Sly83; 18-08-2020, 00:06:42.



              Originariamente Scritto da Giampo93
              Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza Messaggio


                al liceo rimasi colpito dalle letture di Popper.
                Consiglio questa serie di video (feci la raccolta in DVD una decina di anni fa ), in questo episodio espone Giulio Giorello (recentemente scomparso).
                Popper è affascinante si, a volte credo si incarti un po' su se stesso ma ha rivoluzionato, in un certo senso, il concetto di scienza.


                Inviato dal mio Mi 9T Pro utilizzando Tapatalk
                Originariamente Scritto da claudio96

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                più o meno il triplo

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                  Questo articolo è apparso su Il Foglio il 15.08.2020 “Il Ramo d’oro” di James Frazer contiene, fra le tante, anche le vicende di un’antica tribù africana presso la quale, nel momento stesso in cui veniva nominato, il re fuggiva dal villaggio e doveva venire ricatturato da un gruppo di guerrieri e messo a forza sulContinua a leggere


                  Al solito, ottimo articolo
                  Originariamente Scritto da claudio96

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                    Il falsificazionismo ha il suo fascino, solido e risolutivo.
                    Dead Man Walking

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                      Conversazione con Daniele Rielli, autore di «Odio» (Mondadori), un romanzo che traccia un ritratto chirurgico e spietato del funzionamento della «religione con maggiore potenziale commerciale che la storia abbia mai conosciuto»: quella dei dati


                      Ottima intervista, Rielli merita sempre o quasi
                      Originariamente Scritto da claudio96

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                      più o meno il triplo

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                        Purtroppo ormai sono tutti a pagamento i principali quotidiani online

                        Inviato dal mio SM-G970F utilizzando Tapatalk
                        Originariamente Scritto da Pesca
                        lei ti parla però, ti saluta, è gentile, sei tu la merda hunt

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                          Vado in prigione per voi! (Io lo leggo, non so perché tu no)

                          Hai pensato pizza?»: in Odio, il nuovo romanzo di Daniele Rielli edito da Mondadori, questo è lo slogan con cui l’azienda del protagonista, BEFORE, conquista un posto speciale nel cuore degli italiani. Un po’ perché, grazie a un geniale (ma torbido) colpo di marketing, la frase viene trasformata in un tormentone da un popolarissimo canale YouTube. Un po’ perché l’idea della pizza che arriva a casa ancora calda — come se il fattorino fosse partito per consegnarcela un attimo prima che il nostro desiderio di ordinarla potesse tradursi in azione — fa un’ottima pubblicità al servizio. Già, ma di quale servizio si parla? Cosa vende, esattamente, BEFORE? Di certo non pizze appena sfornate, bensì analisi sui dati. O meglio, le predizioni — spaventosamente accurate — che è possibile estrapolare quando si hanno milioni di dati a disposizione. Fantascienza? Tutt’altro.

                          Il ceo di BEFORE è Marco De Sanctis, protagonista di Odio e voce narrante del romanzo (nonché nome familiare per chi abbia letto la precedente fatica letteraria di Rielli, Lascia stare la gallina, ed. Bompiani). È lui stesso a spiegare che la pizza è solo la punta dell’iceberg.«All’inizio», spiega De Sanctis, «si era effettivamente trattato di far arrivare a destinazione più in fretta ordini di cibo a domicilio utilizzando una tecnologia che prevedeva natura e localizzazione delle richieste. Poi però – ed era stata quella l’intenzione sin dall’inizio – le cose si erano fatte parecchio più complicate». Dietro a quel «parecchio più complicate» c’è un intreccio degno di un thriller. Il romanzo ripercorre l’irresistibile ascesa di una macchina di sorveglianza digitale destinata a cambiare, in modo quasi faustiano, tanto la vita del protagonista, quanto il destino del Paese. Odio è ambientato in un futuro imprecisato ma non troppo distante, in un’Italia incredibilmente familiare (quando De Sanctis decise di buttarsi nel mondo dei big data, per intenderci, il presidente del Consiglio in carica si chiama Matteo Renzi).

                          Rielli traccia un ritratto chirurgico e spietato del funzionamento della «religione con maggiore potenziale commerciale che la storia abbia mai conosciuto», quella dei dati, ma anche dello stato (piuttosto desolante) del dibattito pubblico sul tema nel nostro Paese. Il suo è un romanzo, certo, ma, come ha dichiarato a La Lettura, è «realistico» al punto da essere quasi «documentario». E, proprio per questo, suona come un monito inquietante. Corriere Tecnologia ha raggiunto Rielli su Skype per discutere con lui di sorveglianza digitale, filosofia e letteratura, ma soprattutto di odio.


                          Come mai hai scelto un titolo così analogico per un romanzo così denso di tecnologia?
                          «Perché Odio non è un romanzo tecnologico. La tecnologia è una funzione narrativa, un pretesto, anche se d’eccezione, per raccontare i protagonisti del romanzo. Forse rovescerei la domanda iniziale: perché hai messo la tecnologia in un romanzo che parla dell’odio?»

                          Odio racconta soprattutto la storia di una persona in particolare: Marco De Sanctis. Chi è?
                          «Un ex studente di filosofia scapestrato che quasi per caso approda nel backstage della politica, a Roma, e lì si rende conto di essere cresciuto in un mondo di ideologie, quando il vero motore della contemporaneità è la tecnologia. Da un lato, c’è un mondo astratto, sempre più incapace di leggere la realtà e di offrire occasioni di realizzazione alle persone della sua generazione, dall’altro la tecnologia, ovvero la scienza applicata, che ormai dà forma al nostro tempo».

                          E così si butta anche lui nel mondo del digitale, come imprenditore: dà vita a una società, BEFORE, che grazie a big data e intelligenza artificiale è in grado di prevedere i desideri dei suoi utenti. Ed è solo l’inizio: lo step successivo è un algoritmo ancor più sofisticato, che legge i dati biometrici ed è capace di interpretare le emozioni umane.
                          «Come dicevo, la tecnologia in Odio è un modo per rivelare delle cose sugli esseri umani. Il pretesto romanzesco è un device che è in grado di rivelare delle verità sulle persone che lo usano: inizialmente solo le loro tracce digitali, poi anche le loro emozioni, presenti e future. Si tratta di uno sviluppo che non è ancora attuale, ma che potrebbe diventarlo in un futuro neanche troppo lontano. Cosa succede quando puoi sapere cosa pensano davvero di te I tuoi amici o la tua compagna? Sei davvero sicuro di volerlo sapere?»

                          Il finale solleva il tema delle possibili conseguenze dello sviluppo incontrollato di alcune tecnologie. Il tuo romanzo è un monito?
                          «Il finale ha un che di allegorico: ho voluto deformare alcune delle tendenze secondo me forti nella nostra epoca, soprattutto la centralità del capro espiatorio per come lo intendeva l’antropologo francese René Girard».

                          Ovvero?
                          «Secondo Girard, le società umane primordiali erano attraversate da lotte intestine perenni perché gli esseri umani si imitano a vicenda e finiscono per desiderare tutti le stesse cose. Non riescono a stabilizzarsi finché non identificano un capro espiatorio da sacrificare. Il sacrificato non è responsabile dell’instabilità interna, è innocente, o colpevole di colpe minori, ma questo non conta: il suo sacrificio serve a raggiungere la pace sociale. Con il tempo si perde memoria del fatto che questo innocente è stato ucciso ingiustamente e la sua figura viene divinizzata».

                          Nel romanzo scopriamo che queste teorie sono care anche a uno dei protagonisti del venture capitalism della Silicon Valley: Peter Thiel.
                          «Questo è uno dei motivi, forse il principale, per cui ho iniziato a scrivere Odio. Thiel, uno dei fondatori di PayPal, è stato il primo investitore privato di Facebook. Quando era a Stanford è stato allievo di Girard; ha una fondazione, Imitatio, che si occupa di studi girardiani; parla spesso delle sue teorie e ha scritto un libro in cui le interpreta in chiave aziendalista. Secondo alcuni, me compreso, è possibile che Thiel abbia visto nel funzionamento di Facebook qualcosa delle comunità originarie di Girard».

                          Per esempio?
                          «Quella che Girard chiama imitazione mimetica, ovvero quel meccanismo tale per cui tutti vogliono quello che vogliono gli altri. Pensa agli influencer, amati e odiati in egual misura: da un lato chi li segue vuole essere come loro, dall’altro metà del piacere sta nel detestarli perché “non sanno fare niente” ma al tempo stesso hanno vite desiderabili. Quella rabbia è imitazione mimetica non andata a buon fine: mi sfogo con chi ha più di me per motivi che mi sembrano ingiusti. Facebook funziona così, è una piattaforma imitativa. E al suo interno, proprio come nelle comunità primordiali secondo Girard, ogni giorno si creano nuovi capri espiatori su cui sfogare la frustrazione».

                          Le polemiche sul politico con il maglione da 700 euro, l’indignazione per la frase infelice di questa o quella celebrità, le campagne di odio contro chi si macchia di colpe vere o presunte...
                          «Esatto. Il capro espiatorio archetipale veniva ucciso, su Facebook non lo facciamo, per fortuna: il meccanismo rimane virtuale. Ma cosa succederebbe se, a forza di esercitare questo massacro virtuale, si risvegliasse in noi l’odore del sangue? In Odio esploro una possibile risposta a questa domanda».

                          Di hate speech sui social e cyberbullismo si parla molto, ormai. Faccio l’avvocato del diavolo: l’odio nasce da noi, non dalle piattaforme. E se le stessimo accusando ingiustamente? Non è possibile che i social siano solo strumenti incolpevoli?
                          «Gli strumenti non sono mai incolpevoli. Le piattaforme social sono pensate per massimizzare la permanenza degli utenti, così da vendere più pubblicità, quindi si adattano a ciò che ci piace di più. E’ vero, fanno leva su istinti umani preesistenti, ma funzionano in modo selettivo. Quindi, non sono neutre. Le tecnologie danno forma al consesso sociale, determinano il nostro modo di vedere le cose. È evidente a tutti: sui social ci sono dei toni, dei modi di porsi, che funzionano di più di altri. Esiste un meccanismo di incentivi determinato dall’architettura della piattaforma».


                          De Sanctis se ne accorge abbastanza presto, quando è ancora un blogger e non un imprenditore: monitorando il successo dei suoi post si rende conto che i «concetti espressi senza spargimento di sangue non viralizzano mai» perché «il pubblico agogna il pestaggio».
                          «È così. Se guardi i commenti sotto alle pagine Facebook delle squadre sportive trovi frasi incredibilmente violente, che nessuno direbbe mai nella realtà: è l’architettura della piattaforma a tirarle fuori. Selezionando alcuni tratti in modo quasi evoluzionistico, dà forma ai nostri discorsi. Succede anche nel mondo culturale e in politica, dove molti hanno ormai adottato un tipo di comunicazione aggressiva, in cui è tutto bianco o nero, basata sull’idea che il male sia “l’altro”: per il M5s sono i politici, per Salvini sono i migranti, per le neo-femministe sono gli uomini... Questa modalità comunicativa, che pure dovrebbe essere il contrario del ragionamento intellettuale, è diventata quasi obbligatoria per stare su Facebook in maniera performativa. E poi c’è un’altra cosa. L’hate-speech e il cyber bullismo sono tutte cose di cui si deve discutere, ma per capire meglio l’odio, e auspicabilmente depotenziarlo, dobbiamo prima di tutto accettare il fatto che è uno degli elementi fondamentali della condizione umana. Ogni tanto sento dire che bisogna disinnescarlo con l’empatia o con l’ermeneutica, ma non è così semplice. Alla base del nostro costrutto sociale c’è una quota di amore e solidarietà, certo, ma anche di odio. Dobbiamo fare i conti con la nostra natura primordiale».

                          E cosa succede a questa nostra natura primordiale nell’era digitale?
                          «Ci sembra di vivere in un’era razionalizzata, sterile, fatta di schermi infrangibili e algoritmi, ma siamo ancora gli stessi uomini e donne che eravamo quando la società era fatta da tribù di cacciatori-raccoglitori. Viviamo in un’epoca di tribù che si esprimono principalmente digitalmente. Questo ci porta a chiuderci in bolle: siamo convinti di avere tutta la verità e siamo certi del fatto che gli “altri” siano dei selvaggi, dei non umani. Così l’opinione pubblica si polarizza sempre di più. Ma questo è molto pericoloso, perché la democrazia non può esistere senza un terreno condiviso su cui confrontarsi».

                          L’odio sui social spopola, ma i reati violenti, almeno nel nostro Paese, sono stabilmente in calo. Come te lo spieghi?
                          «Oggi viviamo in una società molto meno violenta rispetto al passato, ma non sappiamo cosa succederà domani. Il Paese potrebbe anche essere una pentola a pressione pronta a esplodere. Gli scontri di strada degli ultimi giorni assomigliano a quelli nell’ultima parte di Odio. La causa del momento è la pandemia con le sue conseguenze economiche, quella profonda sono le forze che da sempre si agitano nell’uomo, ma la causa strutturale sono i social e l’ecosistema informativo digitale. Non solo perché i social rendono possibile la rivolta sul piano organizzativo, ma anche perché il governo è sotto il perenne ricatto delle priorità e dei giudizi che la popolazione esprime in tempo reale sui social. E, di conseguenza, è incapace di un agire coerente, strategico, di lungo respiro: agisce sempre e solo sull’onda dell’emergenza del momento – secondo logiche corporative e di corto respiro – con risultati che destabilizzano l’intero sistema e potranno finire per metterne a rischio l’esistenza stessa. Pensare sempre e solo alla giornata ipoteca il futuro. Prendi gli Usa: vivono una sorta di tempesta perfetta, tra pandemia, polarizzazione del dibattito politico, movimenti di protesta. Anche questi, poi, sono amplificati dai social in un modo che ci costringe a farci delle domande. Black Lives Matter ha beneficiato dell’enorme potere dei social, che gli ha consentito di gettare luce su un problema vero, enorme e urgente come quello delle discriminazioni razziali. Ma cosa succederebbe se qualcuno usasse quello stesso potere con altri scopi? Cosa succederebbe se a diventare virale non fosse un video che denuncia un abuso reale, ma un filmato manipolato ad arte?»

                          Riflettere sui pericoli insiti nei social non rischia di tirare il volano a chi vede complotti ovunque e, magari, vuole abbattere le antenne del 5G perché “correlate con il Covid”?
                          «Un discorso pubblico a misura di deficienti renderebbe deficienti anche noi. L’esistenza dei complottisti preoccupati per il 5G non ci può far dimenticare che esistono società private che accumulano quantità di dati spaventose su di noi e che, grazie all’analisi di quei dati, sanno tutto, o quasi, di noi. Questo è un potere che non hanno mai avuto né il KGB, né la Stasi, né la Cia e rappresenta un problema reale. questa estrazione di ricchezza dalla vita delle persone crea capitali enormi, sposta gli equilibri delle democrazie. Non possiamo affrontare un problema simile preoccupandoci come prima cosa di chi pensa che il 5G sia un’emanazione di Satana».

                          Nel romanzo tracci un ritratto impietoso dell’elite culturale italiana, dello Stato, della burocrazia. I cittadini sembrano soli di fronte al seducente strapotere del digitale. Quale appiglio abbiamo? La letteratura può aiutarci?

                          «Il grande vantaggio della letteratura, come del resto di altre forme di arte, è che può insegnarci a convivere in maniera più virtuosa e intellettualmente onesta con il male. Non dobbiamo diventare il male, ma prendere atto del fatto che fa parte delle nostre vite. Senza questa consapevolezza non possiamo avere democrazie pluraliste, perché si scivola nella guerra tra tribù. Questa è la mia preoccupazione ed è questo che tiene insieme tutti i temi del libro, da Facebook a Girard passando per l’odio: il tribalismo».

                          De Sanctis, nel romanzo, descrive anche un’altra Internet, quella più artigianale, libera e liberatoria che si trovavano di fronte coloro che navigavano prima che i social prendessero piede. Cosa è andato storto? C’entra il fatto che è diventato uno strumento per arricchirsi, in cui tutto — in primis gli utenti — è visto come una risorsa da monetizzare?
                          «Oggi internet è diventato un luogo molto moralista e incredibilmente conformista. Prima non lo era affatto. Forse è il destino delle cose che si diffondono: finché una cosa è di nicchia è più facile che sia meno conformista. Quanto ai soldi, non ci vedo nulla di male nel fatto che qualcuno si arricchisca grazie a internet, ci vorrebbero però delle regole per fare in modo che questo sia compatibile con il funzionamento virtuoso della società. Non mi aspetto, insomma, che il web sia solo un posto di hippie, ma neppure l’anarco-capitalismo va bene: ci vorrebbe una via di mezzo. Per esempio, non è sbagliato al 100% che i dati personali vengano comprati e venduti. Le persone, però, dovrebbero esserne consapevoli. E dovrebbero ricevere qualcosa in cambio. A cambiare Internet, più che la monetizzazione, è stato l’effetto rete. Il digitale tende per sua natura a creare dei grossi monopoli, perché le persone vogliono stare dove sono gli altri. È per questo che non esistono dieci Facebook, ma uno solo. Le piattaforme ingegnerizzate per fare leva sui nostri istinti si sono espanse sempre di più, hanno vinto la lotta per dominare Internet e, così facendo, l’hanno cambiata: si è passati da un ambiente con una biodiversità elevata, a uno in cui c’è un solo re della foresta o quasi».

                          Scrivere questo romanzo ti ha reso più paranoico? Per esempio, hai disinstallato le app che monitorano quanti passi fai ogni giorno?
                          «Quella l’avevo disinstallata da anni! (ride, ndr) Non sono paranoico, o meglio: non credo che la mia sia una paranoia. Per definizione, il paranoico è chi crede di essere osservato ma non lo è. Tutti noi, invece, siamo osservati per davvero! Certo, non c’è un omino in una stanza con una grande cuffia che ci guarda, ci ascolta e prende appunti, però i nostri dati vengono raccolti. Sistematicamente».

                          Sostituiamo “paranoico” con “preoccupato”, allora. Sei più o meno preoccupato di prima?
                          «Scrivere Odio è stato un po’ una catarsi: mi ha messo in pace rispetto alla situazione, permettendomi di accettarla. È come se la preoccupazione si fosse in parte scaricata sul romanzo. Ma non del tutto. Lo stesso per altro vale anche per la componente drammaturgica della storia, i personaggi, I loro conflitti, le loro speranze. Anche e forse soprattutto in questo scrivere è catartico, ora vedo molti dei problemi dei personaggi con occhi diversi».

                          Ti definiresti preoccupato ma ottimista o preoccupato e pessimista?
                          «Oscillo. Ma direi complessivamente pessimista. Per l’Occidente non è un momento bellissimo: la pandemia, gli attentati islamici in Francia, la sorveglianza digitale… sono tutte cose preoccupanti. Così come la crisi generalizzata della libertà di espressione, che è collegata alla questione tecnologica, alle bolle e al tribalismo. Se in passato qualcuno avesse detto “questa è l’unica idea che puoi avere”, non ci sarebbe stato alcun progresso, no? Anche le idee sbagliate servono: per una civiltà, la convinzione di avere già tutte le certezze segna l’inizio della fine. Questo mi preoccupa molto. Però, del resto, se siamo sopravvissuti alla Guerra Fredda, sopravviveremo anche a tutto questo. Sopravvivere, insomma, è una possibilità».

                          Ventiquattro ore dopo l’intervista, ricevo una mail da Rielli. «Riflettendoci meglio», scrive, «sono ottimista, non pessimista, a patto però che ci si decida a guardare in faccia alla realtà, uscendo anche dal paradigma che se si evidenziano delle criticità si è pessimisti». «Tutto sommato», conclude, «è l’atteggiamento di rimozione quello che mi preoccupa di più. Bisogna affrontare i problemi e prima ancora parlarne».

                          Originariamente Scritto da claudio96

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                            Le polemiche sul politico con il maglione da 700 euro, l’indignazione per la frase infelice di questa o quella celebrità, le campagne di odio contro chi si macchia di colpe vere o presunte...
                            «Esatto. Il capro espiatorio archetipale veniva ucciso, su Facebook non lo facciamo, per fortuna: il meccanismo rimane virtuale. Ma cosa succederebbe se, a forza di esercitare questo massacro virtuale, si risvegliasse in noi l’odore del sangue? In Odio esploro una possibile risposta a questa domanda».
                            Chissà se il titolo è una citazione all'episodio di Black Mirror "Hated in the Nation".


                            Comunque sembra interessante, magari me lo leggo, anche se dall'intervista si capisce che abbiamo opinioni un po' differenti sul tema "dati", big tech etc.

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                              Il riferimento a Girard (per quanto ci intraveda, anche per via del malcelato "bravinoismo" che la fine esce verso la fine dell'intervista, un po' di spocchia) è interessante.
                              Originariamente Scritto da Sean
                              mò sono cazzi questo è sicuro.
                              Originariamente Scritto da bertinho7
                              ahahhahah cmq è splendido il tuo modo di mettere le mani avanti prima, impazzire durante, e simil polemizzare dopo

                              Originariamente Scritto da Giampo93
                              A me fai venire in mente il compianto bertigno
                              Originariamente Scritto da huntermaster
                              Bignèw

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                                Originariamente Scritto da Zbigniew Visualizza Messaggio
                                Il riferimento a Girard (per quanto ci intraveda, anche per via del malcelato "bravinoismo" che la fine esce verso la fine dell'intervista, un po' di spocchia) è interessante.
                                Girard non lo conosco in dettaglio, so tuttavia che Thiel è uno dei critici più aspri alla società digitale che stiamo creando, considerato il fatto che ha co-fondato PayPal e investito in Facebook agli albori, è interessante.
                                Senza considerare un sottotesto, per me affascinante. Se siamo prevedibili con tale precisione possiamo dire di avere libero arbitrio?

                                Inviato dal mio Mi 9T Pro utilizzando Tapatalk
                                Originariamente Scritto da claudio96

                                sigpic
                                più o meno il triplo

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