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Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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      Inviato dal mio SM-G988B utilizzando Tapatalk
      Originariamente Scritto da Sean
      Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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        Al Real mancavano parecchi giocatori. Mi ricorda lo scorso anno col Barcellona-baby con medesima sconfitta interna, non avendo saputo approfittare della occasione.

        Stavolta però di partite all'Inter ne restano ancora due, ma la seconda avrà valore solo se vincerà la prossima col Borussia.

        Vediamo se stasera Conte è ancora catatonico o ritrova un pò di spirito, di verve.
        ...ma di noi
        sopra una sola teca di cristallo
        popoli studiosi scriveranno
        forse, tra mille inverni
        «nessun vincolo univa questi morti
        nella necropoli deserta»

        C. Campo - Moriremo Lontani


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          Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
          Conte umilia Eriksen facendolo entrare praticamente alla fine della partita.
          Un cojone

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          Originariamente Scritto da Pesca
          lei ti parla però, ti saluta, è gentile, sei tu la merda hunt

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            Su 12 punti possibili ne ha fatti 2, però se gli si chiede cosa c'è che non va risponde che nessuno capisce di calcio.

            Vedrei bene un'intervista doppia con Balotelli, chiusi in una stanza, verrebbe ricca ricca di contenuti
            Originariamente Scritto da GoodBoy!
            modroc - yy

            piquet - gabbiani

            acquilani - manchini

            maybe - Vendola

            mandjukic - Sjneider

            lialicic - Kongobia

            il Mangio - Cointreau

            izco - Mihajlovich

            Bonacci - Falcata

            Cancrena - Val di fiori

            mouse - Sczesjky

            Jo Amo Mario - Ronado - Juliano

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              Maradona, il ricordo di Bruno Pizzul: «Quando in campo c’era lui, le leggi della fisica si annullavano» – L’intervista.

              Il celebre telecronista racconta di quella volta in cui l’ex ct dell’Argentina Sivori gli confidò: «Questo ragazzo diventerà un fenomeno!»

              «Si gioca in un clima di grande attesa, alimentato dagli strascichi della partita d’andata. L’allenatore della Stoccarda e gli stessi organi di stampa tedeschi hanno vivacemente contestato il direttore del match di andata al San Paolo per la concessione del rigore…».La stagione calcistica era quella del 1988-1989, in campo scendevano il Napoli di Ottavio Bianchi e la Stoccarda di Arie Haan. La voce nasale, e inconfondibile, che ritmava i 90 minuti a suon di nomi e riprese di gioco, era quella di Bruno Pizzul, telecronista Rai dal 1970 al 2002.

              Per lui, racconta ora ad Open, quella è stata la partita più divertente ed emozionante da commentare. Era la finale di Coppa Uefa. Il match era finito con un pareggio: 3-3. E gli azzurri avevano portato a casa il trofeo, con Maradona in campo. «La città tedesca è fredda ma quella sera sembrava di essere a Fuorigrotta», ripete, ricordando una scena che ha rievocato tante volte. Di Maradona – scomparso oggi, 25 novembre -, che all’epoca di quel match aveva quasi 30 anni, Pizzul sapeva da sempre. Agli esordi, a 17 anni, era già un calciatore estremamente popolare. E con un carattere difficilissimo, specie con la stampa: «L’ho incontrato, occasionalmente, racconta. Nonostante il suo rapporto, a volte burrascoso, coi giornalisti, accettava di fare conversazione con chi gli andava più a genio, e io ero uno di quelli. Non ho però mai avuto modo di potermi sedere con lui, in disparte, per fare due chiacchiere».

              Il primo incontro, gli esordi
              «Quando l’ho visto la prima volta in campo ho avuto l’impressione di essere di fronte a un fenomeno», dice. «Mi ricordo che ne sentii parlare quando incontrai per una chiacchierata, in albergo, Omar Sivori (calciatore ed allenatore italo-argentino ora scomparso ndr)». All’epoca Sivori era stato allontanato da pochi anni dalla guida della panchina albiceleste. E il suo successore, César Menotti, non aveva convocato il 17enne Maradona. Anche se quello del 1978 sarebbe diventato il primo mondiale vinto dall’Argentina, la scelta di non convocare il giovane giocatore fu discussa allora ed è oggetto di dibattiti e liti tra gli esperti ancora adesso: «Sivori era furioso contro Menotti, non mi parlava d’altro – spiega Pizzul – “Non l’hanno convocato, ricordati del suo nome perché diventerà un grandissimo giocatore. Ricordati le mie parole!”. È triste che ci abbia lasciati, è stato assolutamente unico nel suo genere, faceva cose con la palla fra i piedi che ancora oggi non so spiegarmi».

              Contro le leggi della fisica
              Sono tanti a chiedere proprio a Pizzul, per trent’anni la voce più popolare delle telecronache calcistiche, un giudizio definitivo sul Pibe. E il celebre telecronista ci spiega che anche a distanza di tanti anni, non sa bene come descrivere quello che allora era un ragazzo riccioluto e di cui avrebbe commentato molte altre partite. «Quel che è difficile, quando si parla di lui, è dare una definizione tecnica di chi fosse nel momento in cui entrava in campo: interpretava il calcio in modo personale. Faceva cose che ti davano l’impressione che le leggi della fisica si annullassero. Questo aspetto mal si conciliava con la sua fisicità, obiettivamente non aveva un fisico prestante, ma era minuto. Per cui strabuzzavi ancora di più gli occhi perché non riuscivi a capire come riuscisse a fare quello che faceva. È stato sicuramente un grandissimo giocatore».



              Inviato dal mio SM-G988B utilizzando Tapatalk
              Originariamente Scritto da Sean
              Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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                .
                Last edited by marcu9; 26-11-2020, 00:24:33.
                Originariamente Scritto da Sean
                Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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                  voglio morire.....
                  Originariamente Scritto da SPANATEMELA
                  parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
                  Originariamente Scritto da GoodBoy!
                  ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?


                  grazie.




                  PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

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                    Inviato dal mio SM-G988B utilizzando Tapatalk
                    Originariamente Scritto da Sean
                    Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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                      Originariamente Scritto da Liam & Me Visualizza Messaggio
                      Erano ancora tempi di un'Italia molto diversa da quella di oggi.

                      Ai TG nazionali, per dire, davano le estrazioni del lotto, e ricordo un periodo in cui ci fu un ritardo clamoroso di un numero sulla ruota di Napoli. Credo il 34, ma non sono sicuro.
                      Quando finalmente usci', ricordo perfettamente un servizio della Rai da Napoli che mostrava gente che festeggiava, mostrando santini di San Gennaro e foto di Maradona.

                      Fa ridere chiaramente, ma mostra quanto Maradona fosse molto piu' di un calciatore, era un pezzo di Napoli.
                      L'amore sacro e l'amor profano
                      Originariamente Scritto da Alberto84
                      Te lo dico io gratis che devi fare per crescere: devi spignere fino a cagarti in mano


                      Originariamente Scritto da debe
                      Chi è che è riuscito a trasformarti in un assassino mangiatore di vite altrui?
                      Originariamente Scritto da Zbigniew
                      Kurt non sarebbe capace di distinguere, pur avendoli assaggiati entrambi, il formaggio dalla formaggia.
                      Un indecente crogiuolo di dislessia e malattie veneree.

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                        Tristezza...Per qualsasi bambino della mia generazione l'equazione era semplice, calcio=maradona. Difficile nasca un altro come lui, non tanto tecnicamente ma per ciò che ha rappresentato. La sua figura ha trasceso il calcio per entrare dritta nel mito. Una vita di eccessi spesso si conclude prematuramente, ma dopo l'ultima operazione sembrava esserne uscito ancora una volta vincitore. E invece no, purtroppo. Rip.

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                          Le storie di maradona hanno tutte dell'incredibile, soprattutto quelle legate alla sua infanzia.

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                          Molto belle le frasi usate nella sigla, una sulla Juve che mi ha sempre colpito: "se fossi finito alla Juve avrei avuto una carriera piu' lunga, tranquilla, vincente. Non rimpiango nulla, ma per quel club ho sempre avuto ammirazione e rispetto".

                          B & B with a little weed










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                            Maradona è morto: «Arresto cardiaco»

                            L'ex Pibe de Oro aveva 60 anni, era nella sua casa di Tigre. Dieci giorni fa aveva lasciato l'ospedale dopo un intervento al cervello


                            Diego Armando Maradona è morto. L’ultimo dribbling non gli è riuscito: aveva seminato tutta l’Inghilterra al Mondiale ‘86 ma un arresto cardiorespiratorio ha sgambettato l’ex Pibe de Oro, che aveva compiuto 60 anni da venticinque giorni. Una notizia terribile in un anno tremendo che getta nella costernazione tutti (non esisteva al mondo sportivo che godesse di popolarità interplanetaria e trasversale superiore a Maradona) e gela il mondo del calcio: in Argentina la sua prima squadra, il Boca Junior, ha annunciato che non scenderà in campo, in Italia la sua Napoli, dove aveva giocato dal 1984 al 1991 vincendo due scudetti e una Coppa Italia, è ammutolita: «Tutti aspettano le nostre parole — è il tweet della società — ma quali parole possiamo usare per il dolore che stiamo vivendo? Ora è il momento delle lacrime».

                            Maradona si era già sentito male nel giorno del suo sessantesimo compleanno, il 30 ottobre scorso. Era stato ricoverato in una clinica di La Plata. Poi era stato trasferito nella clinica Olivos di Buenos Aires, scortato dalla polizia come un primo ministro e accolto da orde di tifosi, tra cori e fumogeni azzurri. Martedì 3 novembre aveva subito una delicata operazione al cervello per rimuovere un ematoma subdurale. Cioè un coagulo di sangue che fuoriesce dalle vene e mette sotto pressione il cervello. Può ferire o lacerare il tessuto cerebrale vicino. Intervento delicatissimo, al termine del quale il suo chirurgo — tifoso di Diego come chiunque abbia avuto la ventura di intercettarlo anche solo per un attimo nell’esercizio delle sue funzioni, il calcio —, Leopoldo Luque, aveva postato su Instagram una foto piena di speranza: «Ti avevo dato la mia parola, ti sei fidato e ce l’abbiamo fatta».

                            Sembrava che il campione, dopo il grande spavento, avesse superato il momento più difficile: Diego infatti era stato dimesso per affrontare la seconda fase del recupero in un’abitazione privata nella zona del Nordelta, centro residenziale alle porte della Capitale argentina. La decisione era stata presa di comune accordo dallo staff medico e dall’entourage intimo di Maradona: le figlie, le sorelle e l’ex fidanzata Veronica Ojeda. Nel momento del bisogno, dopo aver mantenuto per tutta la carriera una corte dei miracoli che non si è fatta scrupolo di approfittare dell’ingenuità di un bambino mai del tutto cresciuto, attorno a Maradona si erano coagulati gli affetti più cari. Le donne della sua vita. Difficile riassumere cosa è stato Diego Armando Maradona. Impossibile capire se sia nato prima il calcio o l’interprete che ha saputo esaltarne più di ogni altro grandezze e bassezze, alternando gioie a dolori, picchi altissimi e clamorosi sprofondi, perché nella sua esistenza El Pibe non si è davvero fatto mancare niente. Maradona, forse, semplicemente, è stato il calcio.

                            Di certo ha vissuto tante vite.
                            I natali poveri a Lanùs, figlio di Diego e Dalma, madre venerata, l’infanzia a Villa Fiorito dove non c’è l’acqua corrente ma non manca un pallone di stracci a cui tirare i primi calci: se non fosse cresciuto in un posto così, inseguendo i sogni a stomaco vuoto, non sarebbe diventato Maradona. Debutta in prima squadra con l’Argentinos Junior il 20 ottobre 1976: mancano dieci giorni al suo 16esimo compleanno. Entra per Ruben Anibal Giacobetti nella sfida con il Talleres di Cordoba, la stessa squadra contro cui esordirà con la maglia del Boca Juniors, a cui l’Argentinos lo presterà nell’81. La seconda vita in Spagna, due stagioni al Barcellona di Menotti: fa in tempo a spaccarsi la gamba (l’intervento di Goicoetxea è da macellaio), lo rimette in piedi il medico di fiducia (uno dei tanti in una vita zeppa di malanni e acciacchi), Ruben Dario Oliva, pronto per l’avventura italiana.


                            La terza vita a Napoli. È lì, con vista mare, che inizia la leggenda di Maradona, acquisto illuminato del presidente Ferlaino. Diego porta la squadra a vincere il primo scudetto della sua storia nel campionato 1986-1987, con Ottavio Bianchi in panchina. In quella stagione il Napoli conquista anche la Coppa Italia. Le vittorie continuano nel 1989, con la Coppa Uefa, e nel 1990 con il secondo scudetto. Maradona diventa un idolo popolare, il simbolo del riscatto di una città. Non si nega a nessuno — tifosi, donne, spacciatori, malavitosi —, la stessa generosità che butta in campo (provate a trovare un ex compagno che parli male di lui) se la porta in tasca dappertutto, fuori: insieme a un talento esagerato è il marchio di fabbrica di un numero 10 amatissimo, strabordante di gol e umanità. L’esperienza italiana di Maradona finisce il 17 marzo 1991 dopo un controllo antidoping al termine della partita di campionato Napoli-Bari (1-0). Positivo alla cocaina, la più seducente tra le sue conquiste.

                            Dopo un anno e mezzo di squalifica per doping, ricomincia al Siviglia di Carlos Bilardo, il c.t. dell’Argentina al Mondiale ‘86 e ‘90. È con la maglia della Seleccion che Maradona, trascinato dall’orgoglio di appartenenza, ottiene la conquista di cui andrà più fiero: la Coppa del mondo in Messico, battendo 3-2 in finale la Germania Ovest. 5 gol e 5 assist nelle sette partite giocate (tutte vinte tranne l’1-1 con l’Italia nella fase a gironi) ma soprattutto, nel secondo tempo dei quarti di finale con l’Inghilterra, le due reti passate alla storia come «la mano de Dios» (battendo Shilton con il pugno) e «il gol del secolo» (mettendo a sedere mezza squadra rivale e arrivando in rete da centrocampo). Italia ‘90 gli riserverà la delusione della vendetta servita fredda dalla Germania, Usa ‘94 un’altra squalifica per doping: positivo all’efedrina, uno stimolante vietato.

                            Ed è proprio l’attrazione di Maradona per il proibito ad averne minato testa e salute. Campione eccelso ma uomo fragile, ha ecceduto in vizi di ogni tipo. È padre di (almeno) cinque figli: Dalma Nerea (‘87) e Gianinna Dinorah (‘89), nate dal matrimonio con Claudia Villafañe (sposata nel 1984 e dalla quale ha poi divorziato nel 2004); Diego Sinagra (‘86), nato a Napoli dalla relazione con Cristiana Sinagra e non riconosciuto da Maradona fino al 2007; Jana (‘96), dalla relazione con Valeria Sabalaín, e Diego Fernando (2013), nato dalla relazione con Veronica Ojeda. Nel 2009 è arrivato Benjamin, figlio del calciatore Sergio Agüero e di Giannina e primo nipote di Maradona. Anche suo figlio Diego jr. è calciatore, così come lo sono stati i suoi fratelli Hugo e Raúl detto Lalo e come lo sono i suoi nipoti Diego Hernán Valeri e i gemelli Nicolás e Santiago Villafañe.

                            Piangono ex compagni di squadra, leggende che ne hanno sempre invidiato la luce più intensa, grandi e piccini, uomini di sport, di spettacolo, della politica, dell’economia. Piangono gli uomini intesi come esseri umani, tutti senza distinzione di sesso, razza, religione, cultura. Da Josè Mourinho («Fottuto amico, mi manchi») a Valentino Rossi («Ciao, mago della pelota»), da Claudio Gentile che lo marcò senza pietà («Io non sono mai stato espulso, lui sì») a Michel Platini che si specchiò nel suo genio («È il nostro passato che se ne va»), da Silvio Berlusconi che lo sognò al Milan a Milly Carlucci che lo convinse ad essere ballerino per una notte in uno show di Raiuno, da Pelè con cui condivise un’antica e tutt’ora irrisolta rivalità («Un giorno spero che potremo giocare insieme in cielo») a Leo Messi, l’erede impegnato in un inseguimento sfinente («Diego se ne va ma il suo ricordo rimarrà con noi per sempre»).

                            Una vita di calcio, per il calcio. Ha allenato, viaggiato, partecipato a svariate trasmissioni televisive. Ha frequentato capi di Stato, uomini politici e figure cui la storia non ha ancora saputo attribuire una squadra certa (celebre la sua amicizia con Fidel Castro, con cui condivideva la passione per i sigari). Ha sedotto ed è stato sedotto. E per averlo ai propri piedi non bisognava sfoderare doti speciali: bastava fargli i grattini sotto il mento, come a un randagio bisognoso di coccole e in cerca di una casa dove arrotolarsi sul divano per fare le fusa. Lui, per conquistare — uomini e donne sono indifferentemente caduti sotto l’incantesimo di un carisma innato — non doveva fare niente. Proprio niente. Gli bastava essere Diego Armando Maradona detto il calcio. E viceversa.


                            CorSera
                            ...ma di noi
                            sopra una sola teca di cristallo
                            popoli studiosi scriveranno
                            forse, tra mille inverni
                            «nessun vincolo univa questi morti
                            nella necropoli deserta»

                            C. Campo - Moriremo Lontani


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                              Morte Maradona: nessuno come lui. Diego costruiva le squadre, Pelè le concludeva

                              Rifiutava anche il confronto con il brasiliano. È stato il migliore: non gli bastava dirigere, doveva essere ovunque. Inventava traiettorie: non ha imparato nulla, sapeva tutto

                              di Mario Sconcerti

                              C’è stata una differenza tra Maradona e Pelé molto significativa: Pelé ha riconosciuto Maradona come avversario, gli ha concesso il diritto di essere sulla sua stessa strada per quel titolo alto e leggero di miglior giocatore al mondo. Maradona no, non voleva nemmeno parlarne, rifiutava l’ipotesi non solo per arroganza ma per diversità evidente. Che c’entrava lui con Pelé, ragazzo educato, morigerato, mai uscito dal Brasile, poi ambasciatore del calcio nel mondo borghese delle sue istituzioni? Nemmeno Pelé lo amava, ma capiva che bisognava condividere, non si può vivere in paradiso e rifiutarsi. Credo che anche lui oggi non sia felice. La morte dell’avversario è una prodezza che porta l’altro in un posto in classifica dove non può essere raggiunto. È la morte che realizza la Storia. Quella di Maradona è compiuta, ora tutto di lui ha diritto a un ricordo e a un aggettivo in più. Credo sia giusto così.

                              Anche se è un po’ infantile dirlo adesso, Maradona è davvero stato il miglior giocatore del mondo. Mi sono sempre rifiutato di considerarla una gara, troppo diversi i concorrenti, ma la morte degli altri è una spinta, tira fuori la realtà anche dentro di noi. Maradona ha costruito squadre, l’Argentina, il Napoli; Pelé le ha concluse. Il suo Brasile era pieno di fuoriclasse, Djalma e Nilton Santos nel ’58, con Didi, Vava, Garrincha. Poi nel ’70 la squadra dei cinque fantasisti, Jairzinho, Gerson, Tostao, Rivelino e lui. Maradona ha dovuto scartare sei inglesi per segnare il gol più bello della storia, non gli bastava dirigere, doveva essere dovunque.


                              Ricordo la partita dell’82 nel vecchio stadio Sarriá a Barcellona. L’Argentina era campione del mondo, noi cominciavamo a nascere. Bearzot mise Gentile su Maradona, l’Italia vinse, Gentile seguì ogni passo del ragazzino di 21 anni e non lo fece segnare. Diventò l’eroe di tutti, ma Maradona giocò una partita splendida dentro una squadra finita. Cambiò continuamente ruolo, da ala a centravanti, dentro e fuori dall’area. Era come in gabbia, la palla gli arrivava in ritardo, Gentile lo soffocava, ma lui non era mai banale, mai battuto. Gentile lo teneva con ogni mezzo, Maradona cambiò tre maglie in quella partita, due gliele aveva strappate Gentile.

                              Pochi giorni dopo partì per Barcellona, cominciavano la sua vita e i suoi peccati. Aveva un piede sinistro morbido come il pane che arrivava dovunque. La palla gli cadeva sul piede come l’avesse convinta parlandole. Aveva un senso del tempo nel dribbling che era davvero musicale. Ha sempre sostenuto, anche da vecchio, che il suo gol più bello lo abbia segnato con l’Argentinos Junior in campionato. Sono andato a cercarlo su YouTube. Rincorre un pallone datogli da centrocampo e arriva in porta senza toccarlo più. Salta tre avversari solo muovendo il corpo, solo togliendo l’attimo agli avversari. Un gol irreale, da calcio che trascende. Questo era spesso il calcio di Maradona, un’entità metafisica. Mi faceva venire in mente le luci mosse dei ceri che da soli accendono la chiesa nelle messe deserte e fredde della prima mattina. Quando tutto è silenzio e odore di bruciato buono. E una perfezione lenta ti scende dentro e tiene lontano il resto. Anche Maradona era perfetto e silenzioso.

                              Oggi il calcio fa rumore, il passaggio è sempre un colpo. Il suo era velluto, arrivava in porta o al compagno, inaspettato e servo, a disposizione degli altri, come tutta la vita di Diego. Non aveva una misura del tempo. Uno bravissimo, tra controllo e tiro impiega un secondo. Il Messi giovane faceva tutto in sei decimi, per questo diventava imprendibile, tradiva il tempo degli altri. Maradona non aveva questo problema perché inventava traiettorie, si faceva l’obbligo di non fare mai due volte la stessa giocata. Non ha imparato niente, sapeva tutto.

                              Una volta a Napoli segnò una punizione da sette metri, con la barriera schierata. Non c’era traiettoria, non c’era lo spazio per permettere alla palla di abbassarsi. Dette un colpo morbido così pieno d’effetto che, arrivato in alto si piegò, su stesso e cadde in porta come fosse un arco gotico.

                              CorSera
                              ...ma di noi
                              sopra una sola teca di cristallo
                              popoli studiosi scriveranno
                              forse, tra mille inverni
                              «nessun vincolo univa questi morti
                              nella necropoli deserta»

                              C. Campo - Moriremo Lontani


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                                Maradona morto: gli ultimi giorni, l’operazione, le liti. E il testamento: «Il calcio mi ha dato tutto»

                                La passeggiata, poi Diego è andato a dormire e non si è più svegliato: il suo cuore tormentato si è fermato mercoledì verso mezzogiorno. L’intervista testamento: «Sono stato molto felice, il calcio mi ha dato tutto»

                                Chi gli è stato vicino, chi l’ha incontrato negli ultimi mesi, chi gli ha voluto bene davvero, dice che è finito il suo inferno, il suo tormento. Perché questo era adesso la vita di Diego Maradona. E questo era diventato lui: un uomo stanco, confuso, svuotato, malato, ormai ostaggio dei suoi demoni e di una vergognosa faida fra clan, tutti a caccia dei suoi soldi, della sua pubblicità, dei suoi slogan. Una caduta nel vuoto cominciata anzi ricominciata due anni fa e accelerata dai troppi eccessi, a partire dall’abuso di alcol, ormai il suo avversario principale, il peggior nemico insieme agli psicofarmaci, dei quali era prigioniero.

                                Anche quando andava in panchina col Gimnasia, la squadra che lo aveva ingaggiato nel 2019 per rilanciare un’immagine opaca, spesso non era lucido: l’impietosa passerella alla quale lo avevano obbligato nel suo giorno del suo sessantesimo compleanno, il 30 ottobre scorso, aveva fatto il giro del mondo: ai limiti dell’irrispettoso, quasi ad approfittarsi della sua generosità, sconfinata almeno quanto il suo talento. Ma era troppo importante l’ostensione del mito, andava lucidato e portato in processione fino in fondo, fino alla fine, nonostante tutto, nonostante tutti.

                                Anche la politica ha chiesto la sua parte, con i peronisti del presidente Alberto Fernandez che ne avevano fatto un formidabile testimonial soprattutto per le classi sociali più umili, una nuova Evita, un nuovo Che. A ognuno la sua parte, indifferenti al fatto acclarato che le sue condizioni fossero preoccupanti da tempo, come tutti benissimo sapevano in Argentina.

                                Perfino le continue rassicurazioni pubbliche successive all’intervento dello scorso 3 novembre per rimuovere un coagulo al cervello somigliavano più a una spietata operazione di marketing che a una reale ricostruzione della situazione. «Abbiamo notato nel processo di recupero post-operatorio alcuni episodi di confusione» aveva ammesso l’onnipresente dottor Leopoldo Luque, suo medico personale, salvo poi aggiungere «abbiamo anche ballato insieme». La verità è che non stava più bene, Diego. Nella testa e nel corpo. La depressione, la paura del Covid, la vistosa zoppia al ginocchio, infine l’operazione al cervello. Non era un caso che dopo l’intervento si fosse deciso di non farlo tornare nella sua casa di La Plata: troppo pericoloso restare tanto distanti dalla fidata clinica Olivos nel centro di Buenos Aires, dov’era stato operato. Il suo clan aveva così scelto di affittare una villa a Tigre, nell’elegante quartiere di San Andrés, a una quarantina di chilometri dalla capitale, in modo da poter raggiungere rapidamente l’ospedale nel caso di un peggioramento improvviso delle condizioni di salute. Esattamente ciò che è avvenuto. Solo che Maradona da quella casa non è uscito vivo. Inutili i tentativi di rianimazione effettuati dal personale medico che lo accudiva ventiquattr’ore al giorno.

                                Se l’è portato via un arresto cardiorespiratorio, verso le 12 argentine, le 16 italiane. A nulla è servito l’intervento delle ambulanze, nove, secondo quanto riporta La Nación. Quando sono arrivate, a sirene spiegate, svegliando la quiete primaverile dell’esclusivo quartiere che ospita le seconde case dei ricchi della capitale, sul fiume Tigre, l’ex Pibe de Oro era già deceduto. E pensare che al mattino si era svegliato bene, aveva fatto due passi in giardino, era stato visitato dallo psichiatra e dall’infermiera e tutto sembrava più o meno a posto. Poi è tornato a letto. E non si è più svegliato, scartando il mondo con un dribbling dei suoi, insieme divino e diabolico, «portandosi per sempre via il fútbol», come ha splendidamente scritto il Clarín, al quale un mese fa Diego aveva affidato il suo testamento spirituale: «Sono stato molto felice, il calcio mi ha dato tutto, più di quello che ho immaginato. Senza la droga, avrei potuto giocare e vincere molto di più».

                                L’epilogo non ha sorpreso chi gli era davvero vicino. «Ha bisogno di aiuto da parte della sua famiglia» aveva avvertito il suo psicologo Diego Diaz due settimane fa. La sua famiglia era però ormai lontana, da tempo, insieme ai giorni felici. Morti gli amati genitori, anche i rapporti con la prima moglie Claudia erano ormai interrotti. Si sentivano solo tramite avvocati, liti e insulti via social non facevano più nemmeno notizia. E difficilissimi erano anche i rapporti con le prime due figlie, Dalma e Giannina. Un anno fa Giannina, la seconda dei cinque figli avuti da quattro donne diverse, aveva lanciato un’accusa pesantissima verso la corte di Diego: «Stanno uccidendo mio padre». Che rispose seccamente, sempre via internet: «A te interessa solo l’eredità, ma non avrai un centesimo».

                                Il figlio Diego jr, avuto dalla napoletana Cristina Sinagra nel 1986, lo ha saputo dalla televisione italiana. Perfino lui ha faticato a superare la cortina di manager, avvocati e sedicenti uomini di fiducia per avere conferma certa della notizia della morte di suo padre.

                                Claudia, con Dalma e Giannina, sono state però le prime ad arrivare nella villa di Tigre, appena l’avvocato di Diego, Matias Morla, ha confermato la notizia. L’ultimo abbraccio a un uomo e un padre troppo grande, troppo ingombrante, troppo tutto per essere solo loro, solo di una squadra, solo di un popolo, solo di un mondo.

                                CorSera
                                ...ma di noi
                                sopra una sola teca di cristallo
                                popoli studiosi scriveranno
                                forse, tra mille inverni
                                «nessun vincolo univa questi morti
                                nella necropoli deserta»

                                C. Campo - Moriremo Lontani


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