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    Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza Messaggio
    La crisi del 1929 secondo Groucho Marx

    Affari ben più sensazionali di quelli dello spettacolo attrassero
    presto la mia attenzione, e quella di tutto il paese. Parlo di una
    cosetta chiamata Borsa. Feci la sua conoscenza intorno al 1926, e
    fu una piacevole sorpresa scoprire che ero un giocatore piuttosto
    scaltro. O almeno cosi sembrava, perché tutto ciò che compravo
    aumentava di valore. Non avevo consulenti Finanziari. Che bisogno
    c'era? Bastava chiudere gli occhi, puntare il dito su un punto
    qualsiasi del tabellone, e i titoli che compravi cominciavano a
    salire. Non incassavo mai: sembrava assurdo vendere un'azione a
    trenta quando sapevi che nel giro di un anno sarebbe raddoppiata o
    triplicata.
    Per Cocoanuts la mia paga era sui duemila dollari a settimana, ma
    erano noccioline in confronto alla grana che teoricamente facevo a
    Wall Street. Badate bene, lavorare in quello spettacolo mi piaceva
    molto, ma la paga m'interessava pochissimo. Prendevo dritte sul
    mercato azionario da tutti. Oggi è difficile crederci, ma in quel
    periodo casi come i seguenti erano normalissimi.
    Ero in ascensore, al Copley Plaza Hotel di Boston. Il lift mi
    riconobbe e disse: "Sa, signor Marx, poco fa qui sono saliti due
    tizi. Pezzi grossi! Col vestito a doppio petto e un garofano
    all'occhiello. Parlavano di Borsa, e creda a me, avevano l'aria di
    saperla lunga. Non hanno pensato che li stavo a sentire, ma io
    quando manovro l'ascensore tengo sempre le orecchie aperte. Non ho
    mica voglia di mandare su e giù queste scatole tutta la vita!
    Comunque," continuò "ho sentito che uno diceva all'altro: "Metti
    tutti i soldi che puoi nelle United Corporation".
    "Come si chiamava il titolo?" domandai.
    Mi guardo con aria sprezzante. "Che c'è, fratello? Qualche guasto
    alle orecchie? Gliel'ho detto. United Corporation".
    Gli diedi cinque dollari e corsi in camera di Harpo, a informarlo
    senza indugio della potenziale miniera d'oro in cui mi ero
    imbattuto in ascensore. Harpo stava finendo di far colazione ed era
    ancora in accappatoio.
    "Giù nell'atrio dell'albergo c'è l'ufficio di un agente di Borsa"
    disse. "Aspetta che mi vesto e scendiamo a acciuffare queste azioni
    prima che la notizia si diffonda".
    "Harpo," dissi io sei matto? Se aspettiamo che ti vesti, le azioni
    possono salire di dieci punti!". Sicché io in soprabito e Harpo in
    accappatoio ci precipitammo giù dall'agente a arraffare
    centosessantamila dollari di azioni United Corporation, con un
    deposito del venticinque per cento.
    Per i pochi fortunati che nel '29 non sono andati in rovina e non
    sanno nulla di Wall Street, lasciatemi spiegare cosa vuol dire
    deposito del venticinque per cento. Per esempio, se uno comprava
    ottantamila dollari di azioni, bastava che versasse ventimila
    dollari in contanti. Il saldo lo anticipava il broker. Era come
    rubare i soldi.
    Un mercoledì pomeriggio Chico incontrò a Broadway un drittaiolo di
    Wall Street, che gli disse sottovoce: "Chico, vengo adesso da Wall
    Street, e là non si parla che delle Anaconda Copper. Si vendono a
    centotrentotto dollari l'una, e corre voce che andranno a
    cinquecento! Prendile prima che sia troppo tardi! E una dritta
    sicura, ci puoi scommettere!".
    Chico, notorio scommettitore, venne di corsa in teatro con
    l'annuncio di questa pacchia. Avevamo una diurna, e aspettammo
    mezz'ora ad alzare il sipario finché il nostro agente ci assicurò
    che eravamo stati tanto fortunati da accaparrarci seicento azioni.
    Andammo in estasi! Chico, Harpo e io possedevamo duecento azioni
    ciascuno di quel titolo mirabile. Anche l'agente si congratulò con
    noi: "Non capita spesso, di investire al momento giusto in una
    società come l'Anaconda!".
    La Borsa saliva, saliva. Quando eravamo in tournee, Max Gordon, il
    produttore teatrale. mi faceva ogni mattina un'interurbana da New
    York, per darmi le quotazioni e le sue previsioni sulla giornata.
    Il pronostico non cambiava mai. Era sempre: "Su, su, su!". Fino
    allora non avevo mai immaginato che si potesse diventar ricchi
    senza lavorare.
    Una mattina Max mi telefono dicendomi di comprare i titoli Auburn.
    Era un'azienda automobilistica, ora defunta. "Marx," disse "questo
    è un titolo che galoppa. Farà balzi da canguro. Prendilo adesso
    finché sei in tempo".
    Poi, come per un ripensamento, aggiunse: "Perché non pianti
    Cocoanuts e non lasci perdere quei miseri duemila alla settimana?
    Sono spiccioli. Da come maneggi le tue finanze, direi che puoi fare
    più soldi in un'ora seduto nell'ufficio di un agente di Borsa che
    strapazzandoti per otto rappresentazioni settimanali a Broadway".
    "Max," risposi "il tuo è senza dubbio un buon consiglio. Ma
    dopotutto ho certi obblighi verso Kaufman, Ryskind, Irving Berlin e
    verso il mio produttore, Sam Harris".
    Allora non sapevo che Kaufman, Ryskind, Berlin e Harris compravano
    anche loro a deposito, e che alla fine, ridendo e scherzando,
    sarebbero stati ripuliti dai loro consiglieri finanziari. Comunque,
    su consiglio di Max, telefonai subito al mio agente e lo incaricai
    di comprarmi cinquecento azioni della Auburn Motor Company.
    Qualche settimana dopo gironzolavo sui prati rasi del country club
    con Max Gordon. Dalle nostre labbra penzolavano grossi e costosi
    sigari Avana. Il mondo andava a meraviglia e negli occhi di Max
    c'era una luce celestiale (e anche un paio di simboli del dollaro).
    Appena il giorno prima le Auburn erano balzate su di trentotto
    punti. Mi volsi al mio compagno di golf e dissi "Max, da quanto
    tempo va avanti questa storia?".
    "Fratello" rispose Max, soffiando una battuta a Al Jolson "ancora
    non hai visto niente!"
    La cosa più stupefacente del mercato di Borsa del '29 era che
    nessuno vendeva mai un titolo. La gente continuava a comprare. Un
    giorno interrogai timidamente il mio agente di Great Neck su questo
    fenomeno speculativo. "Io di Wall Street non so molto," cominciai
    in tono di scusa "ma da che dipende che queste azioni continuano a
    salire? Non ci dovrebbe essere qualche rapporto tra i guadagni di
    una compagnia, i dividendi e il prezzo di vendita dei titoli?"
    Lui mi passò con gli occhi sopra la testa, guardando una nuova
    vittima che entrava nell'ufficio, e disse: "Signor Marx, ne ha da
    imparare sul mercato di Borsa. Con quello che lei non sa sui titoli
    azionari si riempirebbe un libro". "Senta, buon uomo" replicai,
    "Sono venuto qui a chiedere un parere. Se lei non è capace di
    parlare civilmente, vedrò di provvedere ai miei affari altrove.
    Dunque, cosa stava dicendo?".
    Debitamente redarguito e con la coda tra le gambe, rispose: "Signor
    Marx, forse lei non se ne rende conto, ma questo non e più un
    mercato nazionale. Siamo in un mercato mondiale. Riceviamo ordini
    d'acquisto da tutti i paesi d'Europa, dal Sudamerica e perfino
    dall'Oriente. Non più tardi di stamattina abbiamo avuto un ordine
    dalI'Indostan per l'acquisto di mille azioni della Crane Impianti
    Igienici". Con una certa diffidenza, chiesi: "Pensa che sia un buon
    affare?".
    "Niente di meglio. Se c'è una cosa che dobbiamo usare tutti, sono
    gli impianti igienici". (A me venivano in mente varie altre cose,
    ma non ero sicuro che fossero quotate in Borsa).
    "Ridicolo" dissi. "Nel South Dakota ho degli amici indiani che
    impianti igienici non ne anno. Risi di cuore alla mia battuta, ma
    lui no, sicché proseguii. "Lei dice che ordinano le Crane
    dall'Indostan? Hmmm. Se usano gli impianti igienici fin là
    nell'Indostan, si vede che sanno il fatto loro. Mi segni per
    duecento azioni. No, faccia trecento".
    Col mercato che continuava a salire a rotta di collo, cominciai a
    innervosirmi. Quel po' di giudizio che avevo mi diceva di vendere,
    ma come tutti gli altri beoti ero avido. Mi ripugnava dare via
    azioni che in pochi mesi sarebbero di sicuro raddoppiate di valore.
    Oggi leggo spesso sui giornali di gente che va a teatro e si lagna
    di aver dovuto pagare cento dollari per due biglietti di My Fair
    Lady (personalmente, penso che i cento li vale). Be', io una volta
    ho pagato trentottomila dollari per vedere Eddie Cantor al Palace.
    Sappiamo tutti che Eddie è un comico formidabile. Anche lui non
    esita ad ammetterlo. Faceva uno spettacolo stupendo Cantava
    "Margie, Now's the Time to Fall in love", e "If You Knew Susie".
    Raccontava storielle d'attualità da far torcere il pubblico, e
    terminava cantando "Whoopee". Insomma, era uno schianto. Aveva quel
    non so che di magnetico che distingue la grande star dalla mezza
    cartuccia cronica.
    Cantor era mio vicino di casa a Great Neck. Da vecchio amico, al
    termine dello spettacolo andai a trovarlo dietro le quinte. Eddie è
    un parlatore molto persuasivo, e prima che io potessi dirgli quanto
    mi era piaciuta la sua interpretazione mi tirò in camerino, chiuse
    in fretta la porta, diede un'occhiata alla stanza vuota per vedere
    se ci fosse qualcuno in ascolto e disse: "Groucho, ti adoro!". In
    questo saluto non c'era niente di strano. E' solo il modo in cui si
    parla tra gente di spettacolo. In teatro, una tacita legge impone
    che quando due si incontrano (attore e attrice, attrice e attrice,
    attore e attore, e tutte le altre varianti o deviazioni sessuali)
    evitino rigorosamente i soliti saluti barattati dalle persone
    normali. I due, invece, devono bersagliarsi a vicenda con
    espressioni di tenerezza che in altri ambiti sociali sono riservate
    di solito alla camera da letto.
    "Dolcezza mia," continuò Cantor "ti è piaciuto il mio numero?".
    Mi guardai attorno, caso mai alle mie spalle ci fosse una ragazza.
    Purtroppo non c'era e capii che Cantor diceva a me. "Eddie,
    carissimo" risposi con sincero entusiasmo "sei stato superbo!".
    Stavo per lanciargli altri mazzolini quando lui mi scrutò con quei
    suoi occhioni scintillanti, mi appoggio le mani aperte sul petto e
    disse: "Bel giovane, ne hai di Goldman-Sachs?".
    "Tesoro," risposi "a questo gioco ci so fare anch'io "non solo non
    ne ho, ma non so cosa sia. Goldman-Sachs? E' un tipo di cipria?".
    Mi afferrò per i risvolti e mi attiro a sé. Per un attimo pensai
    che volesse baciarmi. "Non mi dire che non hai mai sentito nominare
    la GoldmanSachs!" esclamo incredulo. "E' la holding, più
    sensazionale del tabellone!".
    Guardò l'orologio. "Hmmm" disse. "Per oggi è troppo tardi. La Borsa
    è chiusa. Ma domattina, bimbo, per prima cosa prendi il cappello,
    corri dal tuo agente e acchiappa duecento azioni della
    Goldman-Sachs. Mi pare che oggi hanno chiuso a centocinquantasei...
    e a centocinquantasei sono regalate!". Poi Eddie mi dette un
    colpetto sulla guancia, io un colpetto sulla sua e ci separamrno.
    Caspita, com'ero contento di essere andato in camerino a trovare
    Cantor! Pensate un po', se quel pomeriggio non fossi andato al
    Palace non avrei mai avuto questa dritta. L'indomani mattina, prima
    di colazione, mi precipitai dal mio agente all'apertura della
    Borsa. Sganciai il venticinque per cento di trentottomila dollari e
    diventai il fortunato possessore di duecento azioni della
    Goldman-Sachs, la più grande holding d'America.
    Cominciai a passare le mattine negli uffici degli agenti di Borsa,
    a fissare un tabellone pullulante di simboli che non capivo. Se non
    ci andavo per tempo non riuscivo nemmeno a entrare: certe agenzie
    di Borsa avevano più avventori di molti teatri di Broadway.
    Sembrava che quasi tutti i miei conoscenti fossero scesi in lizza.
    Non si parlava che di quanto aveva guadagnato il tale la settimana
    scorsa o del titolo talaltro che presto sarebbe stato frazionato
    tre a uno. Stagnai, gelatai, macellai, panettieri, tutti con
    l'anelito di arricchire, riversavano su Wall Street le loro esigue
    sostanze, spesso i risparmi di una vita. A volte il mercato
    vacillava, ma poi si scrollava di dosso le remore dei ribassisti e
    del buonsenso e riprendeva la sua ascesa implacabile.
    Di tanto in tanto, qualche veggente finanziario dava voce a cupi
    presagi, ammonendo che i prezzi erano fuori da ogni proporzione con
    i valori effettivi, e ricordando che tutto ciò che sale è destinato
    a scendere. Ma nessuno dava retta a questi insulsi posapiano e ai
    loro stolidi consigli di prudenza. Anche Barney Baruch, il Socrate
    di Central Park, il mago dell'economia americana, disse una parola
    di monito. Non ricordo i termini esatti, ma il senso pressappoco
    era questo: "Quando la Borsa diventa notizia da prima pagina, è ora
    di squagliarsela".
    Io non c'ero al tempo della Febbre dell'Oro del '49 (intendo il
    1849), ma immagino che fosse una febbre molto simile a quella che
    stava contagiando tutto il paese. Il presidente Hoover andava a
    pesca, e il resto del governo federale sembrava completamente
    ignaro di ciò che accadeva. Se il governo ci avesse messo il naso,
    non sono sicuro che sarebbe servito a qualcosa; comunque sia, il
    mercato continuò a galoppare allegramente verso il suo destino.
    Un certo giorno, il mercato cominciò a tentennare. Alcuni dei
    clienti più apprensivi si impaurirono, e presero a vendere. Sono
    passati quasi tent'anni, e non ricordo le varie fasi della
    catastrofe che ci rovinò addosso, ma così come all'inizio
    dell'impennata tutti volevano comprare, adesso, col diffondersi del
    panico, tutti si diedero a vendere.
    Dapprima le vendite si svolsero con ordine ma presto la paura prese
    a calci il buonsenso e tutti, per salvare il salvabile, si misero a
    buttare i loro titoli sulla piazza, ora mutata in un pozzo.
    La paura contagiò gli agenti di Borsa che cominciarono a reclamare
    versamenti d'acconto supplementari. Stavano freschi, perché la
    maggior parte dei clienti erano rimasti senza soldi; e gli agenti
    si misero a dar via i titoli a qualunque prezzo. Io fui uno dei più
    gonzi.
    Disgraziatamente, avevo ancora denaro in banca; onde evitare la
    svendita dei miei titoli mi diedi a firmare febbrilmente assegni
    per reintegrare gli acconti che si liquefacevano rapidamente. Poi,
    un martedì sensazionale, Wall Street gettò la spugna e crollò. La
    spugna veniva a proposito, perché a questo punto il paese era un
    lago di lacrime.
    Certi miei conoscenti persero milioni. Io fui più fortunato: persi
    solo duecentoquarantamila dollari (ossia centoventi settimane di
    lavoro a duemila la settimana). Avrei perso di più, ma quelli erano
    tutti i soldi che avevo. Il giorno convulso del collasso finale, il
    mio amico Marc Gordon, già mio consulente finanziario e scaltro
    operatore, mi telefonò da New York. In cinque parole, fece una
    dichiarazione che in futuro, penso, reggerà bene il confronto con
    le frasi più memorabili della storia americana. Mi riferisco a
    detti imperituri quali "Non mollate la nave", "Non sparate finché
    non vedete il bianco degli occhi", "Datemi la libertà o la morte",
    "Ho solo una vita da donare alla patria". Queste parole sprofondano
    in una relativa banalità accanto al motto lapidario di Max. Mai
    incline a frivole chiacchiere, questa volta egli tralasciò anche il
    "Pronto" di prammatica. Disse soltanto: "Marx, la festa è finita!".
    E prima che potessi rispondere riagganciò.
    Nel gran bailamme di cose scritte dagli studiosi delle leggi di
    mercato, mi sembra che nessuno abbia riassunto quello sconquasso
    con la concisione del mio amico Gordon. Le sue cinque parole
    dicevano tutto. La festa era proprio finita. Credo che la sola
    ragione per cui continuai a vivere fu il conforto di sapere che
    tutti i miei amici erano sulla stessa barca. Anche in campo
    finanziario, come altrove mal comune mezzo gaudio.
    Se l'agente avesse svenduto i miei titoli quando cominciavano a
    franare, avrei risparmiato una vera fortuna; ma poiché non potevo
    concepire che scendessero più in basso di così, mi misi a prendere
    soldi in prestito dalla banca per coprire i depositi d'acconto che
    si dileguavano rapidamente. Le Anaconda Copper (ricordate il
    sipario alzato con mezz'ora di ritardo, per acciuffarle?) si
    liquefecero come le nevi del Kilimangiaro (l'ho letto anch'io
    Hemingway, cosa credete), e alla fine precipitarono a due dollari e
    mezzo. Le United Corporation, provenienti dalla soffiata
    dell'ascensorista di Boston, finirono a tre; le avevamo comprate a
    sessanta. La diurna di Cantor al Palace era stata splendida, degna
    del miglior Broadway. Ma le Goldman-Sachs a centocinquantasei
    dollari? Eddie, tesoro, come hai potuto? A fine crisi si poteva
    averle a un dollaro l'una!
    Bella questa lezione sulla solidarietà quando tutto va in malora per tutti quanti.

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      Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza Messaggio
      Va messo a reddito
      Oppure lo si usa per farcisi i pompini a vicenda dentro.

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        Originariamente Scritto da Luke91 Visualizza Messaggio
        Contadino trader
        Sarebbe un sogno
        Originariamente Scritto da Lorenzo993
        non nominare cristo che se ti avesse incontrato avrebbe mandato a mignotte la bibbia e ti avrebbe preso a calci in culo

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          Originariamente Scritto da Ponno Visualizza Messaggio
          Per fare il contadino devi potertelo permettere, devi poterti comprare la terra, la casa, etc.
          Al momento non posso permetterlo manco per sbaglio pertanto devo cercare di massimizzare quello che ho.
          Fare il massimo significa anche chiedersi che fare con i soldi che si hanno e si guadagnano.

          Avrei preferito pure io crescere con la casetta regalata e l'azienda regalata, ma non è così e quindi amen.

          A volte ste tue uscite sono veramente da ritardato

          Inviato dal mio Mi 9T Pro utilizzando Tapatalk
          Un po' come fare il tassista, insomma.

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            Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza Messaggio
            La crisi del 1929 secondo Groucho Marx

            Affari ben più sensazionali di quelli dello spettacolo attrassero
            presto la mia attenzione, e quella di tutto il paese. Parlo di una
            cosetta chiamata Borsa. Feci la sua conoscenza intorno al 1926, e
            fu una piacevole sorpresa scoprire che ero un giocatore piuttosto
            scaltro. O almeno cosi sembrava, perché tutto ciò che compravo
            aumentava di valore. Non avevo consulenti Finanziari. Che bisogno
            c'era? Bastava chiudere gli occhi, puntare il dito su un punto
            qualsiasi del tabellone, e i titoli che compravi cominciavano a
            salire. Non incassavo mai: sembrava assurdo vendere un'azione a
            trenta quando sapevi che nel giro di un anno sarebbe raddoppiata o
            triplicata.
            Per Cocoanuts la mia paga era sui duemila dollari a settimana, ma
            erano noccioline in confronto alla grana che teoricamente facevo a
            Wall Street. Badate bene, lavorare in quello spettacolo mi piaceva
            molto, ma la paga m'interessava pochissimo. Prendevo dritte sul
            mercato azionario da tutti. Oggi è difficile crederci, ma in quel
            periodo casi come i seguenti erano normalissimi.
            Ero in ascensore, al Copley Plaza Hotel di Boston. Il lift mi
            riconobbe e disse: "Sa, signor Marx, poco fa qui sono saliti due
            tizi. Pezzi grossi! Col vestito a doppio petto e un garofano
            all'occhiello. Parlavano di Borsa, e creda a me, avevano l'aria di
            saperla lunga. Non hanno pensato che li stavo a sentire, ma io
            quando manovro l'ascensore tengo sempre le orecchie aperte. Non ho
            mica voglia di mandare su e giù queste scatole tutta la vita!
            Comunque," continuò "ho sentito che uno diceva all'altro: "Metti
            tutti i soldi che puoi nelle United Corporation".
            "Come si chiamava il titolo?" domandai.
            Mi guardo con aria sprezzante. "Che c'è, fratello? Qualche guasto
            alle orecchie? Gliel'ho detto. United Corporation".
            Gli diedi cinque dollari e corsi in camera di Harpo, a informarlo
            senza indugio della potenziale miniera d'oro in cui mi ero
            imbattuto in ascensore. Harpo stava finendo di far colazione ed era
            ancora in accappatoio.
            "Giù nell'atrio dell'albergo c'è l'ufficio di un agente di Borsa"
            disse. "Aspetta che mi vesto e scendiamo a acciuffare queste azioni
            prima che la notizia si diffonda".
            "Harpo," dissi io sei matto? Se aspettiamo che ti vesti, le azioni
            possono salire di dieci punti!". Sicché io in soprabito e Harpo in
            accappatoio ci precipitammo giù dall'agente a arraffare
            centosessantamila dollari di azioni United Corporation, con un
            deposito del venticinque per cento.
            Per i pochi fortunati che nel '29 non sono andati in rovina e non
            sanno nulla di Wall Street, lasciatemi spiegare cosa vuol dire
            deposito del venticinque per cento. Per esempio, se uno comprava
            ottantamila dollari di azioni, bastava che versasse ventimila
            dollari in contanti. Il saldo lo anticipava il broker. Era come
            rubare i soldi.
            Un mercoledì pomeriggio Chico incontrò a Broadway un drittaiolo di
            Wall Street, che gli disse sottovoce: "Chico, vengo adesso da Wall
            Street, e là non si parla che delle Anaconda Copper. Si vendono a
            centotrentotto dollari l'una, e corre voce che andranno a
            cinquecento! Prendile prima che sia troppo tardi! E una dritta
            sicura, ci puoi scommettere!".
            Chico, notorio scommettitore, venne di corsa in teatro con
            l'annuncio di questa pacchia. Avevamo una diurna, e aspettammo
            mezz'ora ad alzare il sipario finché il nostro agente ci assicurò
            che eravamo stati tanto fortunati da accaparrarci seicento azioni.
            Andammo in estasi! Chico, Harpo e io possedevamo duecento azioni
            ciascuno di quel titolo mirabile. Anche l'agente si congratulò con
            noi: "Non capita spesso, di investire al momento giusto in una
            società come l'Anaconda!".
            La Borsa saliva, saliva. Quando eravamo in tournee, Max Gordon, il
            produttore teatrale. mi faceva ogni mattina un'interurbana da New
            York, per darmi le quotazioni e le sue previsioni sulla giornata.
            Il pronostico non cambiava mai. Era sempre: "Su, su, su!". Fino
            allora non avevo mai immaginato che si potesse diventar ricchi
            senza lavorare.
            Una mattina Max mi telefono dicendomi di comprare i titoli Auburn.
            Era un'azienda automobilistica, ora defunta. "Marx," disse "questo
            è un titolo che galoppa. Farà balzi da canguro. Prendilo adesso
            finché sei in tempo".
            Poi, come per un ripensamento, aggiunse: "Perché non pianti
            Cocoanuts e non lasci perdere quei miseri duemila alla settimana?
            Sono spiccioli. Da come maneggi le tue finanze, direi che puoi fare
            più soldi in un'ora seduto nell'ufficio di un agente di Borsa che
            strapazzandoti per otto rappresentazioni settimanali a Broadway".
            "Max," risposi "il tuo è senza dubbio un buon consiglio. Ma
            dopotutto ho certi obblighi verso Kaufman, Ryskind, Irving Berlin e
            verso il mio produttore, Sam Harris".
            Allora non sapevo che Kaufman, Ryskind, Berlin e Harris compravano
            anche loro a deposito, e che alla fine, ridendo e scherzando,
            sarebbero stati ripuliti dai loro consiglieri finanziari. Comunque,
            su consiglio di Max, telefonai subito al mio agente e lo incaricai
            di comprarmi cinquecento azioni della Auburn Motor Company.
            Qualche settimana dopo gironzolavo sui prati rasi del country club
            con Max Gordon. Dalle nostre labbra penzolavano grossi e costosi
            sigari Avana. Il mondo andava a meraviglia e negli occhi di Max
            c'era una luce celestiale (e anche un paio di simboli del dollaro).
            Appena il giorno prima le Auburn erano balzate su di trentotto
            punti. Mi volsi al mio compagno di golf e dissi "Max, da quanto
            tempo va avanti questa storia?".
            "Fratello" rispose Max, soffiando una battuta a Al Jolson "ancora
            non hai visto niente!"
            La cosa più stupefacente del mercato di Borsa del '29 era che
            nessuno vendeva mai un titolo. La gente continuava a comprare. Un
            giorno interrogai timidamente il mio agente di Great Neck su questo
            fenomeno speculativo. "Io di Wall Street non so molto," cominciai
            in tono di scusa "ma da che dipende che queste azioni continuano a
            salire? Non ci dovrebbe essere qualche rapporto tra i guadagni di
            una compagnia, i dividendi e il prezzo di vendita dei titoli?"
            Lui mi passò con gli occhi sopra la testa, guardando una nuova
            vittima che entrava nell'ufficio, e disse: "Signor Marx, ne ha da
            imparare sul mercato di Borsa. Con quello che lei non sa sui titoli
            azionari si riempirebbe un libro". "Senta, buon uomo" replicai,
            "Sono venuto qui a chiedere un parere. Se lei non è capace di
            parlare civilmente, vedrò di provvedere ai miei affari altrove.
            Dunque, cosa stava dicendo?".
            Debitamente redarguito e con la coda tra le gambe, rispose: "Signor
            Marx, forse lei non se ne rende conto, ma questo non e più un
            mercato nazionale. Siamo in un mercato mondiale. Riceviamo ordini
            d'acquisto da tutti i paesi d'Europa, dal Sudamerica e perfino
            dall'Oriente. Non più tardi di stamattina abbiamo avuto un ordine
            dalI'Indostan per l'acquisto di mille azioni della Crane Impianti
            Igienici". Con una certa diffidenza, chiesi: "Pensa che sia un buon
            affare?".
            "Niente di meglio. Se c'è una cosa che dobbiamo usare tutti, sono
            gli impianti igienici". (A me venivano in mente varie altre cose,
            ma non ero sicuro che fossero quotate in Borsa).
            "Ridicolo" dissi. "Nel South Dakota ho degli amici indiani che
            impianti igienici non ne anno. Risi di cuore alla mia battuta, ma
            lui no, sicché proseguii. "Lei dice che ordinano le Crane
            dall'Indostan? Hmmm. Se usano gli impianti igienici fin là
            nell'Indostan, si vede che sanno il fatto loro. Mi segni per
            duecento azioni. No, faccia trecento".
            Col mercato che continuava a salire a rotta di collo, cominciai a
            innervosirmi. Quel po' di giudizio che avevo mi diceva di vendere,
            ma come tutti gli altri beoti ero avido. Mi ripugnava dare via
            azioni che in pochi mesi sarebbero di sicuro raddoppiate di valore.
            Oggi leggo spesso sui giornali di gente che va a teatro e si lagna
            di aver dovuto pagare cento dollari per due biglietti di My Fair
            Lady (personalmente, penso che i cento li vale). Be', io una volta
            ho pagato trentottomila dollari per vedere Eddie Cantor al Palace.
            Sappiamo tutti che Eddie è un comico formidabile. Anche lui non
            esita ad ammetterlo. Faceva uno spettacolo stupendo Cantava
            "Margie, Now's the Time to Fall in love", e "If You Knew Susie".
            Raccontava storielle d'attualità da far torcere il pubblico, e
            terminava cantando "Whoopee". Insomma, era uno schianto. Aveva quel
            non so che di magnetico che distingue la grande star dalla mezza
            cartuccia cronica.
            Cantor era mio vicino di casa a Great Neck. Da vecchio amico, al
            termine dello spettacolo andai a trovarlo dietro le quinte. Eddie è
            un parlatore molto persuasivo, e prima che io potessi dirgli quanto
            mi era piaciuta la sua interpretazione mi tirò in camerino, chiuse
            in fretta la porta, diede un'occhiata alla stanza vuota per vedere
            se ci fosse qualcuno in ascolto e disse: "Groucho, ti adoro!". In
            questo saluto non c'era niente di strano. E' solo il modo in cui si
            parla tra gente di spettacolo. In teatro, una tacita legge impone
            che quando due si incontrano (attore e attrice, attrice e attrice,
            attore e attore, e tutte le altre varianti o deviazioni sessuali)
            evitino rigorosamente i soliti saluti barattati dalle persone
            normali. I due, invece, devono bersagliarsi a vicenda con
            espressioni di tenerezza che in altri ambiti sociali sono riservate
            di solito alla camera da letto.
            "Dolcezza mia," continuò Cantor "ti è piaciuto il mio numero?".
            Mi guardai attorno, caso mai alle mie spalle ci fosse una ragazza.
            Purtroppo non c'era e capii che Cantor diceva a me. "Eddie,
            carissimo" risposi con sincero entusiasmo "sei stato superbo!".
            Stavo per lanciargli altri mazzolini quando lui mi scrutò con quei
            suoi occhioni scintillanti, mi appoggio le mani aperte sul petto e
            disse: "Bel giovane, ne hai di Goldman-Sachs?".
            "Tesoro," risposi "a questo gioco ci so fare anch'io "non solo non
            ne ho, ma non so cosa sia. Goldman-Sachs? E' un tipo di cipria?".
            Mi afferrò per i risvolti e mi attiro a sé. Per un attimo pensai
            che volesse baciarmi. "Non mi dire che non hai mai sentito nominare
            la GoldmanSachs!" esclamo incredulo. "E' la holding, più
            sensazionale del tabellone!".
            Guardò l'orologio. "Hmmm" disse. "Per oggi è troppo tardi. La Borsa
            è chiusa. Ma domattina, bimbo, per prima cosa prendi il cappello,
            corri dal tuo agente e acchiappa duecento azioni della
            Goldman-Sachs. Mi pare che oggi hanno chiuso a centocinquantasei...
            e a centocinquantasei sono regalate!". Poi Eddie mi dette un
            colpetto sulla guancia, io un colpetto sulla sua e ci separamrno.
            Caspita, com'ero contento di essere andato in camerino a trovare
            Cantor! Pensate un po', se quel pomeriggio non fossi andato al
            Palace non avrei mai avuto questa dritta. L'indomani mattina, prima
            di colazione, mi precipitai dal mio agente all'apertura della
            Borsa. Sganciai il venticinque per cento di trentottomila dollari e
            diventai il fortunato possessore di duecento azioni della
            Goldman-Sachs, la più grande holding d'America.
            Cominciai a passare le mattine negli uffici degli agenti di Borsa,
            a fissare un tabellone pullulante di simboli che non capivo. Se non
            ci andavo per tempo non riuscivo nemmeno a entrare: certe agenzie
            di Borsa avevano più avventori di molti teatri di Broadway.
            Sembrava che quasi tutti i miei conoscenti fossero scesi in lizza.
            Non si parlava che di quanto aveva guadagnato il tale la settimana
            scorsa o del titolo talaltro che presto sarebbe stato frazionato
            tre a uno. Stagnai, gelatai, macellai, panettieri, tutti con
            l'anelito di arricchire, riversavano su Wall Street le loro esigue
            sostanze, spesso i risparmi di una vita. A volte il mercato
            vacillava, ma poi si scrollava di dosso le remore dei ribassisti e
            del buonsenso e riprendeva la sua ascesa implacabile.
            Di tanto in tanto, qualche veggente finanziario dava voce a cupi
            presagi, ammonendo che i prezzi erano fuori da ogni proporzione con
            i valori effettivi, e ricordando che tutto ciò che sale è destinato
            a scendere. Ma nessuno dava retta a questi insulsi posapiano e ai
            loro stolidi consigli di prudenza. Anche Barney Baruch, il Socrate
            di Central Park, il mago dell'economia americana, disse una parola
            di monito. Non ricordo i termini esatti, ma il senso pressappoco
            era questo: "Quando la Borsa diventa notizia da prima pagina, è ora
            di squagliarsela".
            Io non c'ero al tempo della Febbre dell'Oro del '49 (intendo il
            1849), ma immagino che fosse una febbre molto simile a quella che
            stava contagiando tutto il paese. Il presidente Hoover andava a
            pesca, e il resto del governo federale sembrava completamente
            ignaro di ciò che accadeva. Se il governo ci avesse messo il naso,
            non sono sicuro che sarebbe servito a qualcosa; comunque sia, il
            mercato continuò a galoppare allegramente verso il suo destino.
            Un certo giorno, il mercato cominciò a tentennare. Alcuni dei
            clienti più apprensivi si impaurirono, e presero a vendere. Sono
            passati quasi tent'anni, e non ricordo le varie fasi della
            catastrofe che ci rovinò addosso, ma così come all'inizio
            dell'impennata tutti volevano comprare, adesso, col diffondersi del
            panico, tutti si diedero a vendere.
            Dapprima le vendite si svolsero con ordine ma presto la paura prese
            a calci il buonsenso e tutti, per salvare il salvabile, si misero a
            buttare i loro titoli sulla piazza, ora mutata in un pozzo.
            La paura contagiò gli agenti di Borsa che cominciarono a reclamare
            versamenti d'acconto supplementari. Stavano freschi, perché la
            maggior parte dei clienti erano rimasti senza soldi; e gli agenti
            si misero a dar via i titoli a qualunque prezzo. Io fui uno dei più
            gonzi.
            Disgraziatamente, avevo ancora denaro in banca; onde evitare la
            svendita dei miei titoli mi diedi a firmare febbrilmente assegni
            per reintegrare gli acconti che si liquefacevano rapidamente. Poi,
            un martedì sensazionale, Wall Street gettò la spugna e crollò. La
            spugna veniva a proposito, perché a questo punto il paese era un
            lago di lacrime.
            Certi miei conoscenti persero milioni. Io fui più fortunato: persi
            solo duecentoquarantamila dollari (ossia centoventi settimane di
            lavoro a duemila la settimana). Avrei perso di più, ma quelli erano
            tutti i soldi che avevo. Il giorno convulso del collasso finale, il
            mio amico Marc Gordon, già mio consulente finanziario e scaltro
            operatore, mi telefonò da New York. In cinque parole, fece una
            dichiarazione che in futuro, penso, reggerà bene il confronto con
            le frasi più memorabili della storia americana. Mi riferisco a
            detti imperituri quali "Non mollate la nave", "Non sparate finché
            non vedete il bianco degli occhi", "Datemi la libertà o la morte",
            "Ho solo una vita da donare alla patria". Queste parole sprofondano
            in una relativa banalità accanto al motto lapidario di Max. Mai
            incline a frivole chiacchiere, questa volta egli tralasciò anche il
            "Pronto" di prammatica. Disse soltanto: "Marx, la festa è finita!".
            E prima che potessi rispondere riagganciò.
            Nel gran bailamme di cose scritte dagli studiosi delle leggi di
            mercato, mi sembra che nessuno abbia riassunto quello sconquasso
            con la concisione del mio amico Gordon. Le sue cinque parole
            dicevano tutto. La festa era proprio finita. Credo che la sola
            ragione per cui continuai a vivere fu il conforto di sapere che
            tutti i miei amici erano sulla stessa barca. Anche in campo
            finanziario, come altrove mal comune mezzo gaudio.
            Se l'agente avesse svenduto i miei titoli quando cominciavano a
            franare, avrei risparmiato una vera fortuna; ma poiché non potevo
            concepire che scendessero più in basso di così, mi misi a prendere
            soldi in prestito dalla banca per coprire i depositi d'acconto che
            si dileguavano rapidamente. Le Anaconda Copper (ricordate il
            sipario alzato con mezz'ora di ritardo, per acciuffarle?) si
            liquefecero come le nevi del Kilimangiaro (l'ho letto anch'io
            Hemingway, cosa credete), e alla fine precipitarono a due dollari e
            mezzo. Le United Corporation, provenienti dalla soffiata
            dell'ascensorista di Boston, finirono a tre; le avevamo comprate a
            sessanta. La diurna di Cantor al Palace era stata splendida, degna
            del miglior Broadway. Ma le Goldman-Sachs a centocinquantasei
            dollari? Eddie, tesoro, come hai potuto? A fine crisi si poteva
            averle a un dollaro l'una!



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              Capolavoro



              Originariamente Scritto da Giampo93
              Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                Originariamente Scritto da Luke91 Visualizza Messaggio
                Contadino trader

                quando crypto farming acquisisce tutt'altro significato


                Originariamente Scritto da Sean
                mi attacco ai tuoi pantaloni o te lo infilo a forza in gola




                Commenta


                  Crypto PHARMA



                  Originariamente Scritto da Giampo93
                  Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                    Cripto qualità farmaceutica
                    Originariamente Scritto da Lorenzo993
                    non nominare cristo che se ti avesse incontrato avrebbe mandato a mignotte la bibbia e ti avrebbe preso a calci in culo

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                      Ma gli etf si possono comprare anche frazionati come per le cripto?

                      Cercavo un etf ad accumulazione che replica l’ s&p 500 e pensavo all’ Amundi.. è buono o ne esistono di migliori?


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                        Di un ETF acquisti quote, l'andamento delle quali chiaramente dipende dall’andamento dell’indice replicato

                        Sp500 ha diversi ETF tra cui scegliere, alcuni a replica fisica (totale o a campionamento ottimizzato), altri sintetica; alcuni immensi, altri relativamente “piccoli”, con conseguenze sui costi annuali (comunque sempre contenuti).

                        Quello che indichi e’ l’etf che sta performando “meglio” (ma generalmente come ben capibile le differenze non possono essere che marginali comunque a parita’ di sottostante replicato), replica fisica totale, e’ relativamente giovane (2016) relativamente “piccolo” (1200 mln)e per quanto economico in termini di costi fissi e’ comunque tra i piu’ costosi (0,15% anno)

                        Sempre confrontato ad altri etf su sp500..perche’ in senso assoluto...e’ “anziano”, enorme ed economicissimo

                        Come prezzo della quota (107 euro oggi) invece ce ne sono di ben piu’ bassi, così come ben piu’ alti.


                        Migliore o peggiore dipende da troppi elementi, tu perche’ ti sei orientato su questo?
                        Last edited by Sly83; 06-05-2022, 23:53:25.



                        Originariamente Scritto da Giampo93
                        Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                          Urca ho appena controllato il mio portfolio, che è fatto di sole crypto. Che dolore!
                          Originariamente Scritto da Sean
                          Bob è pure un fervente cattolico.
                          E' solo in virtù di questo suo essere del Cristo che gli perdono quei suoi certi amori per le polveri, il rock, la psicologia, la pornografia e pure per Sion.

                          Alice - How long is forever?
                          White Rabbit - Sometimes, just one second.

                          Commenta


                            The live HarryPotterObamaSonic10Inu (BSC) price today is $0.000000002809 USD with a 24-hour trading volume of $63.13 USD. We update our BITCOIN to USD price in real-time.


                            The live StrongHands Finance price today is $0.004187 USD with a 24-hour trading volume of $119.75 USD. We update our ISHND to USD price in real-time.



                            ma io boh



                            Originariamente Scritto da Giampo93
                            Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                              è roba talmente illiquida che basta la comprino in 10 per far schizzare il prezzo, poi rivendono e torna a zero

                              Commenta


                                Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza Messaggio
                                Di un ETF acquisti quote, l'andamento delle quali chiaramente dipende dall’andamento dell’indice replicato

                                Sp500 ha diversi ETF tra cui scegliere, alcuni a replica fisica (totale o a campionamento ottimizzato), altri sintetica; alcuni immensi, altri relativamente “piccoli”, con conseguenze sui costi annuali (comunque sempre contenuti).

                                Quello che indichi e’ l’etf che sta performando “meglio” (ma generalmente come ben capibile le differenze non possono essere che marginali comunque a parita’ di sottostante replicato), replica fisica totale, e’ relativamente giovane (2016) relativamente “piccolo” (1200 mln)e per quanto economico in termini di costi fissi e’ comunque tra i piu’ costosi (0,15% anno)

                                Sempre confrontato ad altri etf su sp500..perche’ in senso assoluto...e’ “anziano”, enorme ed economicissimo

                                Come prezzo della quota (107 euro oggi) invece ce ne sono di ben piu’ bassi, così come ben piu’ alti.


                                Migliore o peggiore dipende da troppi elementi, tu perche’ ti sei orientato su questo?
                                In realtà prima di orientarmi su un etf specifico volevo per l’ appunto capire se, come per il mercato crypto, fossero frazionabili in quanto la mia intenzione sarebbe di acquistarne una certa cifra ogni mese, quindi fare un pac.

                                Detto questo lo cercherei ovviamente ad accumulazione e replica fisica. Relativamente anziano e quindi “sicuro”.


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