Maometto, secondo la tradizione, era solito ritirarsi a meditare in una grotta sul monte Hira vicino Mecca. Una notte, intorno all'anno 610, durante il mese di Ramadan, all'età di circa quarant'anni, gli apparve l'arcangelo Gabriele (in arabo Gibril o Giabrail, ossia "potenza di Dio": da "jabr", potenza, e "Allah", Dio) che lo esortò a diventare Messaggero (rasul) di Allah con le seguenti parole:

Terrorizzato da un'esperienza così anomala, Maometto credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito (majnūn, "impazzito", significa letteralmente "catturato dai jinn") tanto che, scosso da violenti tremori, cadde preda di un intenso sentimento di terrore.
Secondo la tradizione islamica Maometto poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le rocce e gli alberi che gli parlavano. Preso dal panico fuggì a precipizio dalla caverna in direzione della propria abitazione e nel girarsi vide Gabriele sovrastare con le sue ali immense l'intero orizzonte (per quel "gigantismo" che caratterizza le "realtà angeliche", anche in contesti diversi da quello islamico) e lo sentì rivelargli di essere stato prescelto da Dio come Suo messaggero.
Non gli fu facile accettare tale notizia ma a convincerlo della realtà di quanto accadutogli, provvide innanzi tutti la fede della moglie e, in seconda battuta, quella del cugino di lei, Waraqa ibn Nawfal, che alcuni indicano come cristiano ma che, più verosimilmente, era uno di quei monoteisti arabi (ḥanīf) che non si riferivano tuttavia a una specifica struttura religiosa organizzata.
Dopo un lungo e angosciante periodo in cui le sue esperienze non ebbero seguito (fatra), Gabriele tornò di nuovo a parlargli per trasmettergli altri versetti e questo proseguì per 23 anni, fino alla morte nel 632 di Maometto.
Al contrario di una "utile" tradizione che vorrebbe Maometto "analfabeta" (così da rendere del tutto impossibile l'accusa che il Corano fosse una sua personale elaborazione poetica), il profeta dell'Islam era uomo tutt'altro che ignorante, vuoi per la sua professione di commerciante che l'aveva portato in contatto con altre lingue e altre culture, vuoi per alcuni episodi della sua stessa vita (come la sua firma nel Trattato di Ḥudaybiyya). L'equivoco deriva dall'espressione a lui riferita di al-Nabī al-ummī che può voler dire in effetti "il profeta ignorante" ma anche, e più verosimilmente, "il profeta della comunità (araba)". Per altro a Istanbul, presso l'antica residenza dei sultani ottomani del Topkapi è conservato (ed è tuttora oggetto di venerazione) una lettera autografa attribuitagli nella quale intima ai cristiani copti di aderire alla sua professione di fede.
Maometto cominciò dunque a predicare la Rivelazione che gli trasmetteva Gibrīl, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse a Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abu Bakr (destinato a succedergli come califfo, guida della comunità islamica che si fondò con lenta ma sicura progressione malgrado l'assenza di precise indicazioni scritte e orali in merito) e un gruppetto assai ristretto di persone che sarebbero stati i suoi più validi collaboratori: i cosiddetti "Dieci Benedetti" (al-ʿashara mubashara).
La Rivelazione da lui espressa dunque - raccolta dopo la sua morte nel Corano, il libro sacro dell'Islam - dimostrò la validità del detto per cui "nessuno è profeta in casa sua". Maometto ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo 'Othmàn ibn 'Affàn a farlo mettere per iscritto da una commissione coordinata da Zayd b. Thabit, segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffondersi nel mondo a seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo Sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayat).
Nel 619, l'"anno del dolore", morirono tanto suo zio Abu Talib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l'amata Khadija. Fu solo dopo ripetute insistenze che Maometto contrasse nuove nozze, tra cui quelle con Aisha bin Aba Bakr, figlia del suo più intimo amico e collaboratore, Abu Bakr.
L'ostilità dei suoi concittadini tentò di esprimersi con un prolungato boicottaggio nei confronti di Maometto e del suo clan, con il divieto di intrattenere con costoro rapporti di tipo economico commerciale ma i troppi vincoli parentali creatisi fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Maometto.
Nel 622 il crescente malumore di Quraysh nel veder danneggiati i propri interessi - a causa dell'inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe radicato con gli altri arabi politeisti (che con loro proficuamente commerciavano e che annualmente partecipavano ai riti della umra del mese di rajab) - lo indusse a rifugiarsi con la sua settantina di correligionari, a Yathrib, duecento miglia più a nord di Mecca, che mutò presto il proprio nome in al-Madinat al-Nabi, "la Città del Profeta" (Medina). Il 622, l'anno dell'Egira (emigrazione), divenne poi sotto il califfo 'Omar ibn al-Khattàb il primo anno del calendario islamico, utile alla tenuta dei registri fiscali e dell'ammini
piu ' simile a mose' che al papa
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