Originariamente Scritto da Pesca;10089982[B
Io penso che proprio perchè gli uomini sono poca cosa, e presi come individui, quelli che noi chiamiamo popoli, non sono che un insieme di esseri abbastanza brutti da vedere, molto prosaici, senza grandi visioni al di fuori di sè, della propria famiglia, del proprio essere al mondo; ciechi e indifferenti gli uni agli altri, e gli uni agli altri ostili. Proprio per questo noi esseri umani acquisiamo una dignità e un senso solo all'interno di una storia più vasta. La globalizzazione e la società multietnica sono delle grandi sciagure antropologiche. Trovare ovunque le stesse facce: londinesi e parigini neri, milanesi gialli; più nessuna diversità, nessuna ascendenza, nessuna tradizione. Cancellato il concetto di Patria e Heimat, la "terra dei padri", in questo tempo di mobilità umana, come diceva il Pascoli "io, la mia patria, or, è dove si vive". L'uomo è uomo ovunque, ma le singole vite trovano dignità solo entro una storia-luogo. Un uomo, abbandonando la sua terra, rinuncia alle sue radici e alla sua cultura, e non potendo rivestirsi di una cultura non sua, si appropria di quella globale: i jeans e il berretto da baseball, qui, come in america o nei sobborghi di nairobi. Uno straniero qui è nulla, mentre sarebbe molto nella sua storia-luogo di origine, in africa, in asia, in america latina. Pensavo a come la nostra lingua e i nostri dialetti siano il frutto dell'incontro del latino coi substrati linguistici locali, e è affascinante pensare che nelle parole che usiamo e nelle nostre intonazioni noi siamo testimoni di una storia che viene da lontano: è questo che intendo quando dico che noi assumiamo un senso all'interno di una storia più vasta. Lo stesso gli africani: i razzisti deridono il loro modo di parlare, dicono che sembrano versi da scimmie, e invece anche le loro lingue hanno alle spalle storie antiche e affascinanti come la nostra, solo che tutto viene perso, quando l'individuo abbandona il suo paese, che è la sua "storia-luogo": qui ogni altro significato va a perdersi, resta solo un uomo che, per il fatto di non essere più nella sua terra, viene visto come un essere amorfo, senza identità, quasi senza dignità. Sempre più ormai spariscono i dialetti, gli usi locali, sviluppati nel chiuso delle valli e all'ombra dei campanili in una ricchissima antropodiversità. In un mondo senza più confini, nè patria, nè popoli, spariscono le diversità nazionali, figlie dei percorsi storici e delle determinanti ambientali e culturali: il carattere espansivo dei meridionali, la rigida disciplina tedesca, erede del militarismo prussiano, o la grandeur francese, nel futuro, saranno concetti astratti. Senza diversità, in un mondo ovunque uguale, non ci saranno più tradizioni, e si perderà il mistero e la meraviglia di scoprire culture diverse dalla nostra. Non ci saranno più leggende da raccontare, perchè le storie nascono nel chiuso delle valli e vengono tramandate dai nonni ai nipoti. Resteranno solo le piccole storie degli individui, ognuno chiuso nella sua vita, senza una storia comune. E noi abbiamo bisogno di storie, di miti, di leggende e di ricordi, più di qualsiasi altra cosa al mondo.
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