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    Originariamente Scritto da Bob Terwilliger Visualizza Messaggio
    La questione dei dazi è IMHO un grande passo indietro. Se la Cina può produrre a prezzi inferiori, i prodotti creati là (magari da aziende europee) costeranno meno anche qua. In altre parole: possiamo acquistare smartphone e vestiti a prezzi accettabili perché li possiamo produrre a prezzi inferiori delocalizzando. Inoltre questi stessi prodotti li venderemo anche nei paesi in via di sviluppo. Allo stesso tempo la ricchezza prodotta là permette ai cinesi (e agli indiani eccetera) di acquistare Ducati e Lamborghini e Corneliani e spumante Ferrari. Quando abitavo in India avevo nel raggio di un chilometro da casa mi tutte le firme sopra più Maserati, Louis Vuitton, cartier, Bottega Veneta, Diesel, Sheraton, JW Merriott. Potevo comprare pelati Cirio e tonno Riomare e pasta De Cecco, riso piemontese, olio ligure, scarpe venete, sigari cubani, e naturalmente tutta la roba locale. I sarti indiani ti confezionano abiti con lana cinese a 10 euro al metro o con lana Ermenegildo Zegna a sette volte tanto. Ricordo persino un ristorante cinese che aveva il nome italiano, perché in Asia il nome Italia provoca entusiasmo e fa aprire il portafogli spendendo cifre spropositate - denaro guadagnato grazie alla globalizzazione.
    I dazi tendono a ridurre il credito disponibile per il business, e in ultima analisi quindi rallentano l’economia. Insomma, meno ricchezza globale. Il loro scopo è quello di ridistribuire la ricchezza ma di solito falliscono perché il loro costo globale provoca, a livello locale, un impoverimento maggiore del beneficio portato dalla ridistribuzione.
    Se guardi la crescita della ricchezza globale e i beni personali che oggi possiamo permetterci, puoi avere la percezione dei benefici portati dall’eliminazione dei dazi promossa dalla WTO. Abbiamo smartphone con ripresa digitale di ottima qualità alla portata di tutti; automobili che consumano pochissimo, inquinano meno, sono più comode e sicure; cibo di qualità proveniente da tutto il mondo; apparecchiature mediche in continua evoluzione. Questo può essere facilmente ignorato perché sembra scontato, ma è in massima parte merito della crescita inarrestabile della produzione e del commercio globale.
    Anche vivere e lavorare all’estero è più semplice. Il problema dell’immigrazione selvaggia è legato alle masse di subumani che lasciamo entrare illegalmente e riempiamo di benefici, non certo ai professionisti che studiano e lavorano in un mondo globalizzato creando legami personali e professionali che beneficiano la cultura e l’economia di tutti.
    Io sono un imprenditore,produco in Italia X a costo 10,delocalizzo all'estero a produco a costo 5.
    Se produco a costo 5 riesco a rivendere a prezzi concorrenziali non solo all'Italia,ma anche in altri paesi,ho guadagni sorprendenti grazie alla globalizzazione.

    Io sono uno degli operai che produceva a costo 10,non lavoro e come me gli altri operai della fabbrica,ho perdite sorprendenti grazie alla globalizzazione.

    Io sono uno degli operai della seconda fabbrica,quella che produceva a costo 5,abbiamo mangiato per un paio di anni,poi sono andati dove produrre X costa 2.

    Operai in fabbrica 1 producono con un costo 10,fabbrica 2 con un costo 5,fabbrica 3 con un costo 2.
    Gli operai di fabbrica 1 sono stati contenti di avere le merci a basso costo sugli scaffali finchè hanno avuto un lavoro con cui potersele permettere.

    Per far arrivare capitale come ci muoviamo?
    Smantelliamo tutto ciò che può essere smantellato e bruciamo tutto sull'altare del mercato

    Fabbrica 1 arriva a produrre a costo 8,non può toccare/agire sui vecchi contratti di lavoro ma può spremere la pompa idraulica dell'industria sulla carne da cannone del precariato,che compressa oltre una certa misura si arrende alla distillazione della più pura e cristallina sostanza di cui si nutre il Capitale,la Produttività.

    Fabbrica 2 arriva a produrre a costo 3.5,sono passati dalle 12 ore di lavoro al giorno alle 16.

    Fabbrica 3 arriva a produrre a costo 1.5,hanno reintrodotto la schiavitù.

    Adesso,tralasciando i fronzoli che scrivo,il succo è che finisce ad essere una competizione globale
    I meccanismi che hanno promosso globalizzazione senza freni e libera circolazione di merci,persone eccetera eccetera,sono anche quelli che promuovono stato ai minimi termini,immigrazione e tutta la trafila di belle cazzate con cui farciscono i media.

    Quando Angela Kasner ha detto porte aperte ai siriani,lo ha fatto dopo aver incontrato i sempreverdi industriali tedeschi con una facile soluzione per un pò di sano dumping salariale al Lavoratore tedesco.
    Con la globalizzazione ha avuto l'occasione d'oro il Capitale per riprendersi quello che il Lavoro era riuscito a strappare in qualche decennio di lotte.

    Per quello che riguarda la crescita della produzione e del commercio globale un fattore che farà sentire la sua opinione in futuro sarà l'ambiente,perchè qua possiamo anche fare un *10 con la produzione e il commercio globale,ma la Terra è una sola e l'Impronta Ecologica sale.
    Avremo anche macchine che inquinano meno,ma quanto incide l'inquinamento delle navi cargo per farci arrivare gli avocado sulla tavola in qualsiasi giorno dell'anno?

    Paghiamo le merci meno e in 10 anni siamo con metà delle industrie sul territorio
    Produciamo l'inimmaginabile e tra 40 anni al titanic nemmeno l'iceberg per affondare gli lasciamo

    Comunque,in questo post come in tutto il thread mi avventuro per terreni complessi in modo semplicistico e con poche se non nulle conoscenze,lo riconosco.
    Resta il fatto che visto ce ho internet lo uso..

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        Qui una testa di ponte della struttura tecnocratica,il volto innocente e malaticcio risponde a dinamiche e strutture probabilmente evoluzionistiche

        Gli escono pure i tentacoli dal turbante

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            Originariamente Scritto da Lorenzo993 Visualizza Messaggio
            Da 20:00(qualche minuto dopo) Borghi su debito pubblico,una roba tipo:BCE si compra 1.1 trilioni di debito pubblico dell'eurozona,200 miliardi sono dell'Italia,li compra perchè è nelle sue facoltà di BC farlo,li compra perchè può creare denaro dal nulla,domattina brucia i titoli e l'italia ha 200 miliardi in meno di debito.
            All'atto pratico il debito è un problema perchè è in mano a terzi,non per mandato divino.

            Per oggi ho finito i colpi della mauser e i tubi di gelatina,vado a fare rapporto al capitano ano

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              Questa infografica e’ eloquente.
              Mettiamola in relazione a quanto avverra’ al termine del programma di acquisti della BCE, che prima o poi sara’ realta’.



              Originariamente Scritto da Giampo93
              Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                Originariamente Scritto da Lorenzo993 Visualizza Messaggio
                Io sono un imprenditore,produco in Italia X a costo 10,delocalizzo all'estero a produco a costo 5.
                Se produco a costo 5 riesco a rivendere a prezzi concorrenziali non solo all'Italia,ma anche in altri paesi,ho guadagni sorprendenti grazie alla globalizzazione.

                Io sono uno degli operai che produceva a costo 10,non lavoro e come me gli altri operai della fabbrica,ho perdite sorprendenti grazie alla globalizzazione.

                Io sono uno degli operai della seconda fabbrica,quella che produceva a costo 5,abbiamo mangiato per un paio di anni,poi sono andati dove produrre X costa 2.

                Operai in fabbrica 1 producono con un costo 10,fabbrica 2 con un costo 5,fabbrica 3 con un costo 2.
                Gli operai di fabbrica 1 sono stati contenti di avere le merci a basso costo sugli scaffali finchè hanno avuto un lavoro con cui potersele permettere.

                Per far arrivare capitale come ci muoviamo?
                Smantelliamo tutto ciò che può essere smantellato e bruciamo tutto sull'altare del mercato

                Fabbrica 1 arriva a produrre a costo 8,non può toccare/agire sui vecchi contratti di lavoro ma può spremere la pompa idraulica dell'industria sulla carne da cannone del precariato,che compressa oltre una certa misura si arrende alla distillazione della più pura e cristallina sostanza di cui si nutre il Capitale,la Produttività.

                Fabbrica 2 arriva a produrre a costo 3.5,sono passati dalle 12 ore di lavoro al giorno alle 16.

                Fabbrica 3 arriva a produrre a costo 1.5,hanno reintrodotto la schiavitù.

                Adesso,tralasciando i fronzoli che scrivo,il succo è che finisce ad essere una competizione globale
                I meccanismi che hanno promosso globalizzazione senza freni e libera circolazione di merci,persone eccetera eccetera,sono anche quelli che promuovono stato ai minimi termini,immigrazione e tutta la trafila di belle cazzate con cui farciscono i media.

                Quando Angela Kasner ha detto porte aperte ai siriani,lo ha fatto dopo aver incontrato i sempreverdi industriali tedeschi con una facile soluzione per un pò di sano dumping salariale al Lavoratore tedesco.
                Con la globalizzazione ha avuto l'occasione d'oro il Capitale per riprendersi quello che il Lavoro era riuscito a strappare in qualche decennio di lotte.

                Per quello che riguarda la crescita della produzione e del commercio globale un fattore che farà sentire la sua opinione in futuro sarà l'ambiente,perchè qua possiamo anche fare un *10 con la produzione e il commercio globale,ma la Terra è una sola e l'Impronta Ecologica sale.
                Avremo anche macchine che inquinano meno,ma quanto incide l'inquinamento delle navi cargo per farci arrivare gli avocado sulla tavola in qualsiasi giorno dell'anno?

                Paghiamo le merci meno e in 10 anni siamo con metà delle industrie sul territorio
                Produciamo l'inimmaginabile e tra 40 anni al titanic nemmeno l'iceberg per affondare gli lasciamo

                Comunque,in questo post come in tutto il thread mi avventuro per terreni complessi in modo semplicistico e con poche se non nulle conoscenze,lo riconosco.
                Resta il fatto che visto ce ho internet lo uso..
                Il tuo è un discorso molto sensato. Non perdere di vista però che il sistema è un singolo organismo. Uno degli argomenti di cui parliamo troppo poco, e che tu hai brillantemente notato, è che i costi legati alla sostenibilità - sia ambientale sia sociale - li dobbiamo pagare come collettività. I capitali per creare industrie, trasporti e servizi che inquinino meno, escono dalle tasche della collettività come tutto il resto.
                Ora considera che i paesi emergenti sono molto meno interessanti a questi argomenti rispetto a noi. “Meno” ma non “per nulla”, per esempio l’India ha promulgato una legge federale nel 2013 che obbliga tutte le aziende con un Profit Before Tax oltre una certa soglia a investire il 2.5% del profitto in attività di sviluppo sociale e ambientale. Gli indiani non possono dedicare i capitali nostri a queste attività, dato che hanno gente analfabeta che muore di fame e lebbrosi per strada, ma anche loro capiscono che la sostenibilità non può essere rimandata. Il pianeta sarà uno, ma il suolo, le foreste e le falde acquifere sono locali.
                Come mai l’India, all’alba del 2013, si è mossa per la sostenibilità? Perché ora ha i mezzi economici e sociali per farlo. Prima no. Oggi ci sono capitali da investire e una classe media e colta che vuole un paese sostenibile. Per la Cina vale lo stesso. Il pianeta è uno, e senza sviluppo globale la situazione diventerebbe presto impossibile. I cinesi stanno aumentando il loro standard di vita e il loro salario. Ciò che oggi paghi a un operaio cinese è il triplo di quanto gli davi vent’anni fa. La delocalizzazione stessa è quindi un fenomeno dinamico.

                Ti prego di considerare sempre che la competitività è il motore dello sviluppo. Il libero mercato è stato arginato con precisi limiti, giustamente. Ma ci sono limiti anche alle limitazioni, altrimenti si finisce nello statalismo il quale, nelle sue varie istanze, non ha mai avuto successo.

                Originariamente Scritto da Lorenzo993 Visualizza Messaggio
                Da 20:00(qualche minuto dopo) Borghi su debito pubblico,una roba tipo:BCE si compra 1.1 trilioni di debito pubblico dell'eurozona,200 miliardi sono dell'Italia,li compra perchè è nelle sue facoltà di BC farlo,li compra perchè può creare denaro dal nulla,domattina brucia i titoli e l'italia ha 200 miliardi in meno di debito.
                All'atto pratico il debito è un problema perchè è in mano a terzi,non per mandato divino.

                Per oggi ho finito i colpi della mauser e i tubi di gelatina,vado a fare rapporto al capitano ano
                Le banche centrali non creano denaro dal nulla. Il discorso di Borghi è autoricorsivo: il debito pubblico è un problema solo se è garantito dalla banca centrale, la quale ha facoltà di creare denaro dal nulla... No, non funziona così. La banca centrale emette denaro a debito, ovvero dà un corrispettivo virtuale in cambio di un bond. Il quale a sua volta è un’obbligazione a pagare in futuro. In pratica, quando c’è bisogno di nuovo denaro circolante (il buffer di cui parlavamo post addietro) la Banca Centrale acquista dei bond, ma lo fa creando un debito virtuale perché - appunto - non ha denaro e non può creare denaro. Emette denaro a debito nel senso che dà denaro in cambio di bond, ma non avendo facoltà di creare denaro, questi soldi sono iscritti nel ledger centrale come debito. Esiste una termodinamica dell’economia e, come in fisica, nulla si crea e nulla si distrugge.
                Ti cercherò il link alla megadiscussione sul signoraggio che facemmo qui in caffetteria alcuni anni fa, dove il fenomeno dell’emissione di denaro tramite acquisto di bond a debito è spiegato meglio.

                Credo che Borghi intendesse dire altro. La sua questione è che la BCE ha facoltà di acquistare i bond statali a livello europeo, ma i bond sono emessi dal tesoro dei singoli stati. Quindi rompere le palle sul disavanzo pubblico di uno specifico stato diventa strumentale, dato che la BCE ha facoltà di emettere denaro acquistando i bond di uno stato piuttosto che di un altro. La BCE dovrebbe aiutare a risolvere i problemi degli stati in difficoltà, non crearli, dato che può garantire entro certi limiti che il mitologico spread rimanga sotto controllo. Quale sia l’approccio migliore è aperto al dibattito; Borghi ha una sua opinione assolutamente rispettabile.

                EDIT: ecco la discussione, datata millemila anni fa http://www.bodyweb.com/threads/26847...ht=Signoraggio
                Last edited by Bob Terwilliger; 03-03-2018, 00:30:07.
                Originariamente Scritto da Sean
                Bob è pure un fervente cattolico.
                E' solo in virtù di questo suo essere del Cristo che gli perdono quei suoi certi amori per le polveri, il rock, la psicologia, la pornografia e pure per Sion.

                Alice - How long is forever?
                White Rabbit - Sometimes, just one second.

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                    1. Il neoliberalismo e governo attraverso la libertà: un “controllo delle anime” senza resistenze?

                    Il paradosso dell’esperienza della libertà nella fase della storia umana caratterizzata dall’avvento della connessione globale, può essere presa in considerazione solamente compiendo un’analisi del potere. Psicopolitica di Byung-Chul Han[1], professore filosofo coreano presso l’Università di Berlino, è un libro che prova a gettare luce su svariati ambiti della contemporaneità neoliberale a partire da uno sguardo critico che vuole evidenziarne alcune sfaccettature e alcune forme in cui si incanalano le soggettività e il potere.
                    Psicopolitica è il titolo che prova a farsi interpretazione cogente della complessità entro cui oggi tutti ci troviamo collocati. Il tentativo di coniare questo termine si pone l’obiettivo di andare oltre l’oramai celebre concetto di biopolitica di Michel Foucault. Per l’autore coreano la biopolitica deve essere semplicemente intesa come “tecnica di governo della popolazione”, che utilizza forme di sapere che la intendono come un aggregato biologico umano, caratterizzato da tassi di natalità e strumenti propri della demografia, allo scopo di ottimizzare i corpi che è necessario disciplinare, poiché la loro attività deve essere modellata e gestita secondo degli schemi pensati e organizzati dall’esterno. Biopolitica è intesa come “sussunzione reale” dell’intera popolazione messa al lavoro a servizio della produzione, in un modello che si è realizzato pienamente nel quadro di produzione industriale fordista.
                    Psicopolitica è, invece, l’idea che il potere, nella sua complicata versione propria del neoliberalismo, vada oltre il modellamento dei corpi, indirizzandosi direttamente dentro la psiche e penetrando l’inconscio dei soggetti. La messa a valore dei corpi eterodiretti intesi nella loro nudità, nella loro dimensione fisica e materiale, è insufficiente se non controproducente in questa fase storica. Siamo in presenza di uno scarto paradigmatico del potere che ha bisogno di nuovi modi attraverso cui i soggetti agiscono e producono, e di conseguenza, di nuovi modi in cui gli stessi soggetti debbano entrare in relazione con se stessi e con gli altri. La produzione simbolica, comunicativa, affettiva canalizzata all’interno degli strumenti della rete, diviene oggetto di misura, calcolo e quantificazione finalizzata alla costruzione di panorami di mercato ed attività commerciali. L’interazione simbolica si rende dato, oggetto di lavoro dei big data analyst. Oggi, quindi, ad entrare in circolo sono le soggettività nella loro interezza, che si pongono in essere attraverso gli strumenti della comunicazione in rete, dove la produzione simbolica e identitaria è completamente interna agli strumenti di cattura della psicografia collettiva, strumenti che rendono possibile la connessione e al contempo fungono da strumenti del controllo.

                    Psicopolitica apre un ventaglio di elementi caratteristici della fase che stiamo esperendo, facendo emergere le dinamiche entro cui la soggettività viene a costituirsi, soggetti che si ritrovano a essere passivi e isolati all’interno di una trama complessa di cui non sono in condizioni di poter cogliere la complessità e le sfumature. In primo luogo quello che si sperimenta nella vita sociale e nella dimensione personale è un’illusione di libertà. La fase neoliberale, infatti, si caratterizza come esplosione della percezione di libertà di agire. Il vincolo di assoggettamento nei confronti delle imposizioni esterne all’individuo tende a scemare, nel senso che lo schema classico di assoggettamento dei corpi attraverso il loro disciplinamento tende ad essere sostituito da una dimensione di libertà, intesa principalmente come possibilità di scelta e possibilità di espressione. La differenza fondamentale tra la fase disciplinante e quella neoliberale in senso stretto è la fonte dell’obbligazione che in precedenza veniva dall’esterno, ora direttamente dall’interno dei soggetti. Il sistema produttivo ha bisogno che i soggetti siano liberi di esprimersi, ha necessità del frutto di quella espressione, di quella comunicazione, di quelle azioni, di quella cooperazione. La percezione di libertà è controbilanciata dall’obbligazione che il soggetto si autoimpone tentando di aumentare la propria produttività o le proprie performance, diventando una soggettività che realizza se stessa percependo di essere libera e al contempo facendo gli interessi di forze esterne ad esso. L’oramai celebre espressione imprenditore di se stesso è la più lampante spiegazione di una torsione della soggettività che si produce come massimo strumento di autovalorizzazione. Segno più evidente che le forme di sfruttamento si trasferiscano dall’esterno sempre più verso l’interno, è il fatto che i momenti di crisi non sono caratterizzati da una messa in discussione dei meccanismi più generali che possono aver prodotto quel tipo fallimento, e quindi anche da forme di conflittualità verso l’esterno, ma vengono vissute come forme di fallimento personale, che produce depressione. La depressione, così diffuso disagio del nostro tempo appare come qualcosa che deriva dalle autoimposizioni del soggetto. Ma, a focalizzare meglio la questione, essa è chiaramente il prodotto di una forma di potere sociale sui soggetti.

                    La forma della libertà associata all’azione del soggetto neoliberale è quella della libertà di scelta tra offerte che il mercato tende a offrire. I bisogni che i soggetti percepiscono come propri sono in verità espressione dei bisogni del sistema produttivo ma per errore essi vengono percepiti come se derivassero dai soggetti stessi che li esperiscono. Il paradosso dell’autonomia all’interno del neoliberalismo è frutto di un oscuro diagramma di forze e di illusioni legate all’ interpretazione di esse: il neoliberalismo sviluppa il senso dell’autonomia, lo lascia esperire ai soggetti come forma di libertà esaltante, ma al contempo ne lascia agli stessi la custodia del controllo, li forma come sorveglianti di se stessi della loro funzione che i soggetti che attraverso ciò realizzano il capitale in quanto suoi agenti. Il capitale in buona sostanza produce e governa i soggetti attraverso la libertà, poiché ha costruito soggetti la cui disposizione è interamente funzionale al mantenimento della loro produttività per il capitale stesso. Neoliberalismo significa dunque governo attraverso la libertà, come in effetti era già stato messo in evidenza nell’opera di Nikolas Rose Powers of Freedom[2]. Si tratterà di capire come la sia costrizione che il divieto vengono ad esser sostituiti da alcune forme di piacere e soddisfazione, provando a sedurre i soggetti nella dimensione della scelta di mercato.
                    In questa visione del neoliberalismo la necessità dei soggetti di vivere il proprio progetto e le continue, variabili e complesse forme attraverso cui la vita si realizza, vanno di pari passo con le forme del controllo che vengono ad articolarsi attraverso la tecnologia e i sistemi di comunicazione contemporanei. La mutazione da potere che disciplina a potere che lascia fare si scandisce attraverso un campo di controllo che traduce l’agire in dati da danno forma alle dimensioni psicografiche dell’umano. Attraverso l’interpretazione dei flussi di dati si ha accesso a una dimensione che riguarda gli aggregati umani di cui il singolo non può rendersi conto ma che contribuisce a formare nel suo complesso aggregato. Attraverso i dati è possibile avere accesso all’inconscio collettivo, come misura e interpretazione di dati aggregati. Risuona un’idea di realtà sui generis che è la società stessa, la cui sagoma può essere delineata attraverso l’aggregazione di questi dati che compongono un quadro che è esterno ma al contempo coercitivo per gli individui stessi.
                    1. L’impotenza politica di un’analisi che ignora la cooperazione.

                    Byung-Chul Han sulla scia di quanto affermato da Bernard Stiegler, non riconosce nella biopolitica una concezione del potere adeguata a comprendere le dinamiche contemporanee. Ma al cuore di quanto pensato dall’autore sta la produzione di soggettività intesa nella sua singolarità: la posta in gioco del potere diventa il governo del sé. Già Foucault nella sua ultimissima opera poco prima della sua morte precoce aveva iniziato a focalizzare l’attenzione sul passaggio dalle modalità di interazione (in termini di potere) tra vari individui, a quella dell’individuo che agisce su se stesso, le tecnologie del sé. Nella psicopolitica la sfera del dominio e del controllo sul sé sono la posta in gioco più alta del potere, poiché il neoliberalismo tende a colonizzare integralmente questa sfera attraverso dei sistemi che per un verso controllano i soggetti, dall’altro lato cercano di ottimizzarli, di orientali verso un’estetica dell’esistenza, che diviene una meravigliosa illusione perché totalmente agita entro una logica di sfruttamento. Anche le forme della cura di sé, dell’empowerment sono solamente dei sistemi che mirano alla massimizzazione di una resa e un maggiore sfruttamento possibile. Il neoliberalismo spinge affinché l’individuo agisca su se stesso in maniera autonoma, in modo tale che, proprio grazie a questa sensazione di autonomia esperisca un senso di libertà che è però illusione poiché espressione di un rapporto di dominio che lascia essere per massimizzare gli effetti dell’autolavoro del soggetto. Il soggetto che si elabora attraverso le tecniche del sé lavora per l’autottimizzazione delle sue forze in favore delle sue funzioni per il sistema produttivo. Tutto il piano simbolico ed emotivo del soggetto viene incluso in questi processi, in primis però facendo leva non sui sentimenti, di lunga durata e in questo senso potenzialmente disfunzionali rispetto alle logiche della mutevolezza del mercato, ma sulle emozioni, intense ma di breve effetto, che vengono utilizzate per aumentare la resa e le performance, sia per colonizzare il soggetto sul piano preriflessivo e per modellarlo anche in funzione delle sue capacità ad esempio relazionali dove le competenze emozionali e sociali sono sempre maggiormente importanti, e di conseguenza, oggetto di valutazione da parte di chi le governa.

                    Questa analisi psicopolitica è sicuramente un modo di puntare alla carne viva di problematiche pregnanti dei tempi che ci attraversano. L’attraversarci in questo senso non è più un’immagine meramente figurata, ma una reale forma di caratterizzazione di ciò che siamo. Eppure il piano dell’analisi dell’autore si poggia su un presupposto estremamente vago, relativo a ciò entro cui i soggetti produttivi sono coinvolti. Le forme della soggettività sono sconnesse dalle forme della produzione. In quale relazione sono i soggetti in questa epoca? Il piano della produzione oggi, che è anche comprensivo della formazione dei soggetti e della loro cattura all’interno degli strumenti della connessione globale, può essere pensato solamente come un piano di singolarità autonome all’interno dello sciame? La capacità produttiva dei soggetti è dentro una connessione anch’essa produttiva propria di infinite forme di cooperazione che non possono essere pensate come una somma di atomi, ma che sono di un molto di più che riesce a produrre proprio in funzione di questo agire in comune. Queste forme di cooperazione non possono essere ignorate nella misura in cui sono esse stesse costitutive dei processi di valorizzazione contemporanei. La singolarizzazione della dimensione cooperativa della produzione, presupposto dell’analisi dell’autore, non si può definire come una condizione di fatto della vita produttiva contemporanea, ma, paradossalmente, è più che altro una forma governamentale propria del neoliberalismo che vuole i soggetti entro un quadro individualizzato caratterizzato da un frame di regole e di divieti che segmentano le possibilità associative e che separano ciò che invece potrebbe essere unito. Il punto politico fondamentale è che questa prospettiva non riesce a non collocarsi all’interno del problema della soggettività intesa come etica della vita singolare. Se da un lato l’autore non offre alcuna idea di prospettiva di liberazione collettiva dalle morse di queste trame del potere, dall’altro lato l’unica possibile modalità di praticare un’agire politico è una forma di desoggettivizzazione disalienante, un processo di sottrazione a dalle forme assoggettate. Un piano che rimane avvinghiato a una dimensione puramente etica delle realtà individuale, disancorata da pratiche collettive o da processi sociali aggreganti. Se per l’autore la condizione del soggetto all’interno della dimensione sociale di produzione è di isolamento e di autodominio funzionale, così la sola possibilità di sfuggire a questa presa è una via individuale, solitaria e se vogliamo una forma di resistenza autonoma, del tutto astratta dalle condizioni materiali per cui questi meccanismi sono andati a modellare la soggettività stessa. Sembra quasi che sia necessaria per questa forma di liberazione/autonomizzazione una sorta di rifiuto intellettualistico, il cui esito può essere compreso solo da chi ha gli strumenti concettuali per poter vedere, ma che rimane assolutamente ignoto, oscuro e insignificante per coloro che non sanno o che non potranno mai conoscere questa versione della rappresentazione della soggettività all’interno del complesso della vita collettiva. Non esiste alcuna ragione per cui i soggetti debbano sentirsi appellati a cercare di essere altro, se non si prova a mettere in luce le dinamiche di resistenza entro questa organizzazione del potere. Non c’è alcuna possibilità di esito collettivistico percepito, né di cambiamento strutturale. Da qui ne deriva una drammatica prospettiva di impotenza politica, il cui risultato non è altro che l’inasprirsi delle dinamiche che sono oggetto della critica del testo. Se l’analisi del neoliberalismo proverà solamente ad essere focalizzata su una dimensione singolare della soggettività, escludendo le forme di associazione collettive, ogni capacità anche solo di miglioramento non riuscirà a tradursi in una prassi politica concreta che possa provare a scrivere un destino differente.

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                        Originariamente Scritto da Lorenzo993 Visualizza Messaggio
                        Se ti capita leggi “Anschluss”.

                        Ps: l’appunto di Messora attorno al min.18 in realta’ andrebbe un attimino contestualizzato, in quanto la “distruzione della domanda interna” di Monti e’ stata un “rimedio” ai disastri su cui propio stava argomentando Giacche’.
                        Confronta “il romanzo di centro e periferia”’di Bagnai e “il ciclo di Frenkel”.



                        Originariamente Scritto da Giampo93
                        Finché c'è emivita c'è Speran*a

                        Commenta


                          Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza Messaggio
                          Se ti capita leggi “Anschluss”.

                          Ps: l’appunto di Messora attorno al min.18 in realta’ andrebbe un attimino contestualizzato, in quanto la “distruzione della domanda interna” di Monti e’ stata un “rimedio” ai disastri su cui propio stava argomentando Giacche’.
                          Confronta “il romanzo di centro e periferia”’di Bagnai e “il ciclo di Frenkel”.
                          Lo leggerò,ora sto finendo Il tramonto dell'euro di Bagnai

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                            E’ un testo sacro questo di Bagnai, l’avevo letto appena uscito.



                            Originariamente Scritto da Giampo93
                            Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                                La piccola procura di provincia continua a sfidare il gotha della finanza. Dopo la richiesta di condanna per l’analista di Fitch, anche Standard & Poor’s finisce nel mirino della requisitoria del pm Michele Ruggiero nel processo “rating” in corso di svolgimento a Trani. Ora il processo dinanzi al tribunale di Trani (presidente Giulia Pavese) per manipolazione del mercato a carico di cinque tra analisti e manager di Standard & Poor’s e della stessa società di rating, imputata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, è arrivato alle richieste di condanna.
                                Il sostituto ha chiesto la condanna per manipolazione del mercato a 2 due anni di reclusione e 300 mila euro di multa per Deven Sharma, all’epoca dei fatti presidente mondiale di S&P, e a 3 anni di reclusione ciascuno e 500 mila euro di multa per Yann Le Pallec, responsabile per l’Europa, e per gli analisti del debito sovrano Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill e Moritz Kraemer. Per la società Standard e Poor’s è stata chiesta la condanna alla sanzione pecuniaria di 4,647 milioni di euro. “Contro di loro un bazooka fumante”, annuncia il pm di Trani Michele Ruggiero.
                                Nel 2011 l’Italia “stava messa meglio di tutti gli altri” Stati europei, ma da parte di S&P c’è stata “la menzogna, la falsificazione dell’informazione fornita ai risparmiatori” mettendo così “in discussione il prestigio, la capacità creditizia di uno Stato sovrano come l’Italia”, ha detto il pm Ruggiero. In particolare una mail del manager di S&P Renato Panichi “non ci ha dato la pistola fumante, ma il bazooka fumante” perché sia con quello scritto sia con la sua deposizione in aula, “ha affondato la sua società e ha fatto gli interessi dei risparmiatori”.
                                La pubblica accusa ha ricordato che il giorno stesso in cui nel 2012 Standard & Poor’s declassò l’Italia, il 13 gennaio, esprimendo giudizi negativi anche sulle banche, il responsabile per gli istituti di credito di S&P Panichi inviò una mail agli autori del report contestando loro di aver espresso giudizi contrari alla realtà sul sistema bancario.
                                In pratica i vertici di S&P avrebbero fornito “intenzionalmente ai mercati finanziari un’informazione tendenziosa e distorta (come tale anche falsata) in merito all’affidabilità creditizia ed alle iniziative di risanamento e rilancio economico adottate dal governo italiano, in modo da disincentivare l’acquisto di titoli del debito pubblico italiano e deprezzarne, così, il loro valore”. A corollario dell’impianto accusatorio anche un recente patteggiamento fatto da Moody’s con il Dipartimento di giustizia americano per definire una maxi sanzione nata dall’accusa di aver gonfiato il rating di mutui ipotecari rischiosi negli ani della crisi del 2008-2009. Fatti diversi ma che confermerebbero il modus operandi (non corretto) delle agenzie di rating.
                                S&P ha sempre parlato di accuse “totalmente infondate” e ha messo in dubbio la competenza territoriale di Trani. Da parte sua Fitch ha definito la richiesta di giudizio “senza precedenti e infondata”. Nell’ambito delle indagini è stato sentito anche il governatore della Bce Mario Draghi. Senza dimenticare che un anno fa furono chiamati a testimoniare il ministro Pier Carlo Padoan (che dichiarò: “Il declassamento dell’Italia mi sorprese”) e l’ex premier Mario Monti.

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