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    Non sempre è così facile distinguere i buoni dai cattivi. I peccatori possono sorprenderci e lo stesso vale per i santi. Perché cerchiamo di catalogare le persone solo come buone o cattive? Perché nessuno vuole ammettere che la compassione e la crudeltà possono anche convivere in un cuore e che tutti noi siamo capaci di qualunque cosa.


    Non esiste nulla di più ingannevole di un sorriso e nessuno lo sa meglio di chi si nasconde dietro a quello. Alcuni mostrano i denti come cortese avvertimento ai nemici, altri mostrano volti raggianti per non piangere e c'è chi fa strane smorfie per mascherare la paura. Ma poi c'è quel raro sorriso che è veramente genuino. Quello è il sorriso di chi sa che presto i suoi guai saranno finiti.


    Non è sempre facile scoprire la vera natura di una persona: a volte devi guardare sotto la vernice della mascolinità per scoprire un fragile ego; devi ignorare lo scintillio di un gioiello per poter capire che guardi un falso; devi far uscire la verità dalle tenebre per vedere la bellezza di un sorriso. Sì, le persone ci nascondono tutti i giorni la loro vera natura e sfortunatamente lo scopriamo solo quando è troppo tardi.La felicità è una cosa che vogliamo tutti, c'è chi è sicuro che la troverà una volta tornato a casa, c'è chi pensa che la troverà facendo nuove amicizie, c'è chi spera di trovarla una volta sconfitta la concorrenza. Poi c'è chi smette di cercare la felicità perchè un giorno alza lo sguardo e scopre che è sempre stata lì, davanti ai suoi occhi.

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      che fai?ammazzo..........il tempo
      Alboreto is nothing

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        Scary movie
        Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
        Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
        Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.

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          "Trovo che la televisione sia molto educativa. Ogni volta che qualcuno l'accende, vado in un'altra stanza a leggere un libro"

          Groucho Marx
          sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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            Signore, dammi castità e continenza, ma non subito.
            (Sant’Agostino)
            sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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              “Il signor Bond è un tipo orribile, un sadico che uccide
              freddamente i propri avversari... un bruto che si comporta da
              mascalzone con le donne. In fondo il signor Bond ha la condotta
              di un fascista; avrebbe fatto meraviglie con le SS... e poi non ho
              mai visto il signor Bond leggere, andare a teatro o a un concerto.
              Credo che sia un minorato mentale”

              Terence Young, regista di
              Agente 007 licenza di uccidere
              sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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                Non mi sono più guardato in uno specchio, e non mi passa neppure per il capo di voler sapere che cosa sia avvenuto della mia faccia e di tutto il mio aspetto. Quello che avevo per gli altri dovette apparir molto mutato e in un modo assai buffo, a giudicare dalla maraviglia e dalle risate con cui fui accolto. Eppure mi vollero tutti chiamare ancora Moscarda, benché il dire Moscarda avesse ormai certo per ciascuno un significato così diverso da quello di prima, che avrebbero potuto risparmiare a quel povero svanito là, barbuto e sorridente, con gli zoccoli e il camiciotto turchino, la pena d’obbligarlo a voltarsi ancora a quel nome, come se realmente gli appartenesse. Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di jeri; del nome d’oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d’ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace e non ne parli più. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo. L’ospizio sorge in campagna, in un luogo amenissimo. Io esco ogni mattina, all’alba, perché ora voglio serbare lo spirito così, fresco d’alba, con tutte le cose come appena si scoprono, che sanno ancora del crudo della notte, prima che il sole ne secchi il respiro umido e le abbagli. Quelle nubi d’acqua là pese plumbee ammassate sui monti lividi, che fanno parere più larga e chiara, nella grana d’ombra ancora notturna, quella verde plaga di cielo. E qua questi fili d’erba, teneri d’acqua anch’essi, freschezza viva delle prode. E quell’asinello rimasto al sereno tutta la notte, che ora guarda con occhi appannati e sbruffa in questo silenzio che gli è tanto vicino e a mano a mano pare gli s’allontani cominciando, ma senza stupore, a schiarirglisi attorno, con la luce che dilaga appena sulle campagne deserte e attonite. E queste carraje qua, tra siepi nere e muricce screpolate, che su lo strazio dei loro solchi ancora stanno e non vanno. E l’aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com’è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni. La città è lontana. Me ne giunge, a volte, nella calma del vespro, il suono delle campane. Ma ora quelle campane le odo non più dentro di me, ma fuori, per sé sonare, che forse ne fremono di gioja nella loro cavità ronzante, in un bel cielo azzurro pieno di sole caldo tra lo stridio delle rondini o nel vento nuvoloso, pesanti e così alte sui campanili aerei. Pensare alla morte, pregare. C’è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l’ho più questo bisogno, perché muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.









                "Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane.
                Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi:
                vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori".

                (L. Pirandello)

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                  A causa dell'irresistibile forza delle circostanze fallisce anche l'uomo migliore, e da questo gli viene spesso l'attributo di mediocre; ma la fortuna a lungo andare arride per lo più alle persone capaci.


                  Helmuth Karl Bernhard von Moltke
                  Il Mio Diario - Diario di Martin

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                    Sul terremoto di Lisbona del 1° novembre 1755.

                    Voltaire "Poema sul disastro di Lisbona".

                    O infelici mortali! O terra di pietà!
                    O cumulo spaventoso di tutti i flagelli!
                    Successione eterna di inutili dolori!
                    Filosofi illusi, che gridate "Tutto è bene",
                    accorrete, contemplate queste orrende rovine,
                    queste macerie, questi detriti, queste ceneri miserande,
                    queste donne, questi bambini ammucchiati l'uno sull'altro,
                    queste membra disperse sotto i marmi infranti;
                    centomila sventurati divorati dalla terra,
                    che terminano i loro giorni miserevoli sanguinanti, straziati e ancora palpitanti,
                    sepolti sotto le loro case, senza soccorso, fra orribili tormenti!
                    Direte vedendo questi orribili mucchi di vittime
                    "Dio si è vendicato, la loro morte è il prezzo dei loro delitti?"
                    Quale errore, quale delitto hanno commesso questi fanciulli
                    schiacciati, sanguinanti, sul seno materno?
                    Lisbona, che più non esiste, ebbe forse vizi maggiori
                    di Londra, di Parigi, immerse nei loro piaceri?
                    Lisbona è distrutta e a Parigi si danza.



                    Jean-Jacques Rousseau in una lettera del 18 agosto 1756.

                    "Restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Ciascuno sarebbe scappato alle prime scosse e si sarebbe ritrovato l’indomani a venti leghe di distanza, felice come se nulla fosse accaduto. Ma bisogna restare, ostinarsi intorno alle misere stamberghe, esporsi al rischio di nuove scosse, perché quello che si lascia vale più di quello che si può portar via con sé. Quanti infelici sono morti in questo disastro per voler prendere chi i propri abiti, chi i documenti, chi i soldi? Forse non sapete, allora, che l’identità personale di ciascun uomo non è diventata che la minima parte di se stesso e che non vale la pena di salvarla quando si sia perduto tutto il resto?"
                    Avreste voluto — e chi non l’avrebbe voluto! — che il terremoto si fosse verificato in una zona desertica, piuttosto che a Lisbona. Si può dubitare che non accadano sismi anche nei deserti? Soltanto che non se ne parla perché non provocano alcun danno ai Signori delle città, gli unici uomini di cui si tenga conto. Del resto, ne provocano poco anche agli animali e agli indigeni che abitano, sparsi, questi luoghi remoti e che non temono né la caduta dei tetti, né l’incendio delle case. Ma che significa un simile privilegio? Vorrebbe forse dire che l’ordine del mondo deve assecondare i nostri capricci, che la natura deve essere sottomessa alle nostre leggi e che per impedirle di provocare un terremoto in un certo luogo basta costruirvi sopra una città?"
                    sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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                      "Da 0 a 100 metri e poi ancora più giù, a precipizio negli abissi: le pulsazioni rallentano, il corpo svanisce, ogni sensazione galleggia dentro nuove forme. Resta soltanto l'anima. Un lungo tuffo nell'anima che sembra assorbire l'universo. Ogni volta risalire è una scelta: sono io che torno a riappropriarmi della mia dimensione umana, metro dopo metro, per venire di nuovo alla luce. Spesso mi chiedono cosa c'è da vedere laggiù. Forse l'unica risposta possibile è che non si scende in apnea per vedere, ma per guardarsi dentro. Negli abissi cerco il mio io. E' un'esperienza mistica, ai confini col divino. Sono immensamente solo con me stesso, ma è come se mi portassi dentro tutta l'essenza dell'umanità. E' il mio essere umano che supera il limite, che si cerca fondendosi col mare, che si immerge in se stesso e si ritrova".

                      Umberto Pellizzari.
                      sigpic Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.

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